A metà settembre è uscito un nuovo libro del sacerdote e teologo Ariel S. Levi di Gualdo: «La Setta Neocatecumenale – L’eresia si fece Kiko e venne ad abitare in mezzo a noi».
Il libro è edito dalle Edizioni L’Isola di Patmos, nate dalla omonima rivista L’Isola di Patmos fondata nel 2014 da un gruppo di teologi, e di cui Padre Ariel è direttore responsabile. Il libro può essere acquistato a questo shop.
Autore di diversi libri e di centinaia di articoli di carattere teologico e socio-ecclesiale, Padre Ariel è noto al pubblico per il modo in cui non va per il sottile quando c’è da difendere l’ortodossia della dottrina cattolica. Come nel caso di questo suo nuovo libro in cui si lancia all’attacco dei Neocatecumenali in modo frontale con una accusa molto grave e precisa: l’accusa di eresia.
Le Edizioni L’Isola di Patmos lanciano il libro con brevi e incisive parole: «Due sono le principali eresie del Cammino Neocatecumenale: una percezione calvinista dell’Eucaristia e la confusione tra il sacerdozio comune, al quale partecipano tutti i battezzati, ed il sacerdozio ministeriale di Cristo, al quale partecipano solo i ministri in sacris. Colpendo il Sacerdozio e l’Eucaristia, strettamente connessi l’uno all’altra, si colpisce la Chiesa al cuore attraverso alcune delle più antiche eresie di ritorno. Di fatto, i Neocatecumenali, costituiscono una setta di matrice ebraico-protestante, che di cattolico ha solo l’involucro esterno svuotato all’interno degli elementi fondanti del Cattolicesimo. Il riconoscimento amministrativo a loro concesso dal Pontificio Consiglio per i laici, non obbliga affatto vescovi, sacerdoti e fedeli cattolici a una adesione di fede nei riguardi del Cammino Neocatecumenale, che non è certo un dogma, bensì un tumore con metastasi, diffuse all’interno della Chiesa anche a causa della debolezza mostrata dagli ultimi Sommi Pontefici»
Esaminando il testo si nota anzitutto che essere contemporaneamente teologi, letterati e narratori non è facile. Ci sono teologi (anche di altissimo livello) che hanno linguaggi incomprensibili, letterati infarciti di luoghi comuni, narratori che non sanno narrare. Ci sono poi quelli che hanno una di queste qualità, ma mancano delle altre due, o che hanno capacità teologiche e letterarie, però non sanno esporre e narrare.
Qualsiasi nemico di Padre Ariel che sia dotato di sufficiente intelligenza dovrebbe riconoscere anzitutto le sue sagaci qualità intelletti di teologo, letterato e giurista.
Padre Ariel riesce infatti a camminare sul filo del rasoio senza tagliarsi e senza dare adito a giustificate clerical-reprimende. Meglio poi non toccare il rasoio sul quale egli cammina, perché lui non si farebbe niente, chi lo tocca si taglierebbe invece le vene.
Di lui, il Cardinale Carlo Caffarra che gli fu molto affezionato, disse: «Se Padre Ariel non fosse un devoto sacerdote di Cristo, autentico credente e teologo a fedele servizio e difesa della dottrina cattolica, la sua penna così convincente sarebbe pericolosissima, se usata contro la verità anziché a servizio della verità».
Scorrendo il testo si nota con quale profondo garbo Padre Ariel dimostra con la lacrima dolente all’occhio (indubbiamente sincera), perché Papa Giovanni Paolo II «ha agito con imprudenza verso i neocatecumenali, senza ascoltare i consigli e le suppliche a lui rivolte da tutti i migliori esperti, sino a rivelarsi in questo testardo e sordo al fatto che, la totalità della curia romana e dei competenti dicasteri erano contrari a questo movimento, inquietati sia per gli errori dottrinari che diffondevano sia per gli abusi liturgici che praticavano. Quando poi nel 1996 il Sommo Pontefice decise di conceder loro persino di aprire seminari per formare un clero deformato a loro uso e consumo, il parere degli esperti della Santa Sede fu del tutto contrario, al punto che il Cardinale Ugo Poletti, all’epoca Vicario Generale su Sua Santità per la Diocesi di Roma e incaricato di procedere all’apertura del primo seminario neocatecumenale, fu visto piangere disperato da più testimoni oculari».
Questo libro apre due argini opposti: da una parte i Neocatecumenali che tentano di sostenere che Papa Giovanni Paolo II, che li ha accolti, oggi è santo, quindi il nostro Cammino è santo. Dall’altra Padre Ariel che, con tutte le prove e le migliori argomentazioni teologiche e canoniche, spiega con rigore teologico e canonico che «anche i santi hanno sbagliato e possono sbagliare, perché a nessun santo è mai stata chiesta la perfezione e l’esenzione dall’errore umano e dall’errore di valutazione». Per poi buttare giù l’affondo micidiale «… salvo mutare in caso contrario i santi in feticci oggetto di idolatria, ma in tal caso saremo al di fuori di tutti i basilari principi della fede e della dottrina cattolica».
Il Padre Ariel ha menato scudisciate a sangue a destra e a sinistra, dimostrando nelle sue pagine che «il riconoscimento dato ai Neocatecumenali nel 2002 ad experimentum per un quinquennio da Giovanni Paolo II, poi il riconoscimento definitivo dato solo nel 2012 da Benedetto XVI, sono solo degli atti di carattere puramente amministrativo firmati dal Pontificio consiglio per i laici, non sono atti di magistero che vincolano ad una adesione di fede i vescovi, i sacerdoti ed i laici cattolici». Detto questo seguono le graffiate ironiche tipiche del Padre Ariel che afferma: «Purtroppo, per i Neocatecumenali, un puro atto amministrativo firmato dal presidente di un Pontificio consiglio, senza che in esso sia nominato in modo diretto e nemmeno indiretto il Romano Pontefice, equivale però a un dogma della fede cattolica da essi considerato secondo per importanza solo al Prologo del Vangelo del Beato Apostolo Giovanni e all’Inno Cristologico scritto dal Beato Apostolo Paolo nella Lettera ai Filippesi».
Un libro che centra il problema e al tempo stesso gustoso per lo stile espositivo, nel quale una mente terribilmente raffinata e priva di paura ha composto l’intero puzzle del “caso neocatecumenale”, poi lo ha messo sotto vetro e incorniciato alla pubblica esposizione in questo libro, mettendoci sotto una targhetta con la scritta: «siete degli eretici».
Bruno Volpe