di Pietro Licciardi
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NON FU TRADIMENTO MA LA CONSEGUENZA DELLA DECISIONE DI UN RE CHE NON AVEVA COMPRESO IL VERO CARATTERE DI QUELLA GUERRA
Oggi 8 Settembre, è una data nefasta della nostra storia, così sarcasticamente celebrata da Curzio Malaparte nel 1949: «L’otto settembre è giorno memorando – volta la fronte all’invasor nefando – l’Italia con l’antico suo valore – alla vittoria guidò il vincitore – l’otto settembre è memorabil data: volte le spalle all’infausta alleata – già col ginocchio a terra – corremmo a vincere coi nostri nemici – arditamente quella stessa guerra – che avevamo già perso con gli amici».
Data nefasta perché segnò l’inizio di una guerra civile mai terminata che ci procurò un marchio d’infamia e disonore che ancora ci perseguita. Eppure vale la pena tornarci sopra perché qualcosa merita di essere spiegato.
L’8 Settembre del 1943 innanzitutto non fu un tradimento italiano, come da allora ancora ci viene rinfacciato, ma una tragedia. In quella situazione – con metà della Penisola invasa dal nemico e l’altra metà pesantemente bombardata, per l’Italia erano possibili solo due opzioni. La prima così riassumibile: quando la guerra è irrimediabilmente perduta, è dovere del Sovrano cercare di risparmiare al suo popolo nuovi lutti e nuove distruzioni e non importa se l’alleato, alla cui volontà è preciso dovere non essere subordinati, sia d’altro parere. Anche la fuga di Vittorio Emanuele e della famiglia reale a Pescara, definita da più parti ignominiosa, trova giustificazione nella necessità di salvare la continuità dello Stato, benchè sarebbe stato certamente preferibile per l’immaginario collettivo una morte eroica del re, con la spada in pugno in difesa di Roma.
Probabilmente non ci fu dolo neppure nel cambio di alleanza. Intento del re sabaudo non era un capovolgimento di fronte ma, in ossequio ad una concezione tradizionale della guerra, il raggiungimento di una pace separata. Senonchè le due parti in causa avevano già deciso che il secondo conflitto mondiale doveva rappresentare una sorta “guerra di religione senza religione” o di rivoluzione mondiale in cui ciascuno poteva stare o da una parte o dall’altra; pertanto la rottura dell’alleanza era destinata inevitabilmente a diventare quel rovesciamento di fronte che il re non voleva. Tanto più che gli Alleati a Casablanca avevano già deciso per la resa senza condizioni dell’Asse e questo per gli italiani avrebbe voluto dire accettare di diventare anch’essa strumento per l’annientamento della Germania che stavano perseguendo inglesi americani e sovietici
L’altra opzione ovviamente era continuare a combattere fino alla fine al fianco dei tedeschi in nome dell’onore e della fedeltà, Del resto il Duce aveva stretto con la Germania un patto d’acciaio tale che in linea di principio, in virtù della sacralità della guerra cui prima accennato, non poteva essere infranto e su cui la retorica fascista aveva orientato buona parte della sua propaganda.
Date queste circostanze, non stupisce che molti, proprio in nome dell’onore e della fedeltà, giudicassero che la guerra, anche se quasi certamente perduta, dovesse essere combattuta sino alla morte. E infatti oggi gli storici più onesti riconoscono che dalla parte di Salò si schierò gente in buona fede, illusa dal mito della fedeltà all’alleato, pur trovandosi poi in compagnia di avventurieri senza scrupoli e di fanatici ottusi, che però non mancano mai, da una parte e dall’altra, in ogni guerra civile.
Anzi, fu proprio il mito dell’onore e della fedeltà – e non il mito del duce – ad animare il nuovo fascismo repubblicano, specialmente se si considera che il 25 Luglio il fascismo era crollato senza resistenza mentre dopo l’8 Settembre furono in migliaia ad arruolarsi volontari nelle formazioni militari che si andavano riorganizzando, a cominciare dalla X Mas di Junio Valerio Borghese, in cui peraltro nessuna tessera di iscrizione al PNF era richiesta.
La tragedia italiana quindi è consistita in questi due opposti giudizi e soprattutto nel fatto che le ideologie atee che animavano entrambe le opposte fazioni e che avevano appunto trasformato la guerra in una lotta per l’annientamento reciproco, non consentirono quella via d’uscita che in una Europa ancora cristiana sarebbe stata possibile.
Una tragedia che segnò anche il crollo del mito, non nato col fascismo ma già presente nel Risorgimento e poi alimentato dalla partecipazione dell’Italia alla prima guerra mondiale, dell’Italia grande potenza,
Ancora oggi a mancare è forse una convincente spiegazione del comportamento che ebbero i nostri vertici militari, i quali si diedero ad una fuga, questa si ignominiosa, che lasciò senza ordini e senza direttive le forze armate, sparse su tutti i teatri di guerra. Questo non solo comportò che l’esercito nazista potesse invadere in un batter d’occhio la Penisola ma, fatto ancor più grave se possibile, centinaia di migliaia di militari furono lasciati in balia di ex alleati imbufaliti per il tradimento subito, secondo il loro punto di vista. Militari destinati ad essere passati per le armi o ad essere deportati in campi di concentramento privi dello status di prigionieri di guerra e perciò sottoposti ad un regime durissimo che costò innumerevoli vite.