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“Sinodo di compromesso, non era lecito  aspettarsi di  più”: nell’acceso dibattito sul post sinodo  sull’Amazzonia interviene il biblista e teologo del Centro Studi Vannucci e religioso dell’Ordine dei Servi di Maria, padre Alberto Maggi.

Padre Maggi, soddisfatto o no?

“In un certo senso  sì, ma è stato alla fine un sinodo di compromesso e non era lecito aspettarsi o avere di più. Certamente la cosa positiva è che si parlato con franchezza di argomenti che sino a qualche tempo addietro erano un tabù come il celibato dei preti o il diaconato femminile”.

Si poteva andare oltre secondo lei?

“No. Ma su questi due temi io ritengo che siamo addirittura in ritardo, aveva ragione il compianto cardinal Martini quando affermava questo.  E’ sommamente ingiusto che in alcune regioni del mondo non ci siano sacerdoti per celebrare messa e che i fedeli ne siano privati. Per questo è opportuno che siano ordinati uomini di chiara fede e condotta. Lamentabilmente nel passato e in particolare nei precedenti pontificati, l’intransigenza dottrinale ha paralizzato tutto. Col pontificato di Francesco la tendenza si è invertita ed è mutata finalmente”.

In che senso?

“Oggi il bene dell’uomo prevale sulla dottrina che non è qualche cosa di immutabile o di imbalsamato, fermo, ma in movimento continuo. Coloro che contestano vivacemente e non vogliono il cambiamento sono persone ferme, poco inclini al soffio dello Spirito Santo e alla freschezza del Vangelo. Naturalmente costoro fanno una opposizione ben assortita”.

Questa opposizione ha spinto verso la soluzione di compromesso della quale lei parlava..

“Esatto. Il sinodo  si è chiuso in maniera compromissoria, cosa che non è scandalo, sia chiaro. Lo stesso Vaticano II e relativi documenti, sono pieni di compromessi. Innegabilmente sarebbe stato meglio il contrario, ma a volte non è lecito avere tutto e subito. E’ bene non rompere l’ unità, questo va tenuto nel debito conto”.

Che cosa pensa delle accese critiche di idolatria al Papa e alla statua della Pachamama buttata nel Tevere?

“A mio avviso bisogna rispettare le inculturazioni locali e quindi trovo ingiuste certe critiche feroci. La Pachamama rispecchia la sensibilità di quei popoli, del resto anche  nella iconografia cattolica e  mi riferisco ad alcune statue, potrebbe dirsi lo stesso. Prendiamo santa Lucia con gli occhi nel piatto, per esempio. Chi poi ha buttato la Pachamama nel fiume è rozzo, pauroso come un cucciolo  di cane che ha paura del suo stesso latrato”.

Bruno Volpe

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