In un tran tran continuo di inoltri su whatsapp, caratteristici ormai di questa emergenza coronavirus, in questi giorni gira fra i messaggi la lunga riflessione di uno psicologo firmata “F. Morelli” con la quale questo autore non bene identificato valorizza gli aspetti positivi di una situazione evidentemente negativa per trarne insegnamenti di vita.
Al centro della sua osservazione prende posto un cosmo che, come scrive, ha un «suo modo di riequilibrare le cose e le sue leggi, quando queste vengono stravolte».
Segue un’accusa al nostro attuale scenario climatico e politico che, da questa emergenza, verrebbe rimesso al proprio posto da questo cosmo-giudice che entra nelle vicende umane per dare una direzione quando il treno prende un diverso binario.
Continua infatti la riflessione: «Il momento che stiamo vivendo, pieno di anomalie e paradossi, fa pensare. In una fase in cui il cambiamento climatico causato dai disastri ambientali è arrivato a livelli preoccupanti, la Cina in primis e tanti paesi a seguire, sono costretti al blocco; l’economia collassa, ma l’inquinamento scende in maniera considerevole […]. In un momento storico in cui certe ideologie e politiche discriminatorie […] si stanno riattivando in tutto il mondo, arriva un virus che ci fa sperimentare che, in un attimo, possiamo diventare i discriminati, i segregati, quelli bloccati alla frontiera, quelli che portano le malattie».
L’emergenza inevitabilmente chiama a rapporto le nostre capacità di comprensione. Ognuno di noi, cristiano o ateo, deve trovare una spiegazione, una consolazione che gli permetta di non cadere nel caos totale. E così entra in scena qualcuno che in questa società secolarizzata possa sostituire Dio e il Suo nome, la cui pronuncia provoca un così profondo fastidio nella società della massimizzazione della totale libertà personale. La fede in Dio oggi è vista come impedimento di questa libertà, quando invece l’affidamento alla Sua volontà è la più bella forma di libertà che il nostro Creatore potesse donarci.
Ma una cosa molto bella viene evidenziata: «il virus chiude le scuole e costringe a trovare soluzioni alternative, a rimettere insieme mamma e papà con i propri bimbi. Ci costringe a rifare famiglia».
È proprio così. Quello che avevamo dato per scontato, nella corsa frenetica del quotidiano, riappare in tutta la sua concretezza. Il familiare ci chiede di essere visto, guardato e amato, che vuol dire essere messo al primo posto. Il virus, pur nella contingenza inaspettata, ha salvato la famiglia, ha posto al centro l’unica cosa davvero fondamentale della nostra vita.
In un’incessante gara al primo posto fra le strade della metropoli e non solo, all’improvviso ci hanno imposto un secco stop e questo imprevisto ci ha resi più vicini alle cose e alle persone che contano. La lontananza imposta a noi, a famiglie, a fidanzati, ad amici che magari per ragioni lavorative o universitarie si trovavano distanti quando l’emergenza ha irrotto nella nostra vita, ci ha resi impotenti e abbiamo toccato con mano l’umiltà e la piccolezza che ci è propria di fronte a tutto ciò che travalica il nostro desiderio di onnipotenza. Ci ha rimesso al nostro posto.
Non però, sia chiaro, per una punizione o per un «debito» che ci portiamo sulle spalle, come scrive l’autore, ma perché possiamo essere capaci di leggere negli eventi della storia, soprattutto in quelli che scombinano le nostre vite, la mano paterna e misericordiosa di Dio.
È vero che «Dio non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande» (Alessandro Manzoni).
E in queste settimane tribolate dall’emergenza sanitaria, ha avuto l’effetto rilassante di un profondo abbraccio la preghiera dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini di fronte alla Madonnina del Duomo.
Mercoledì 11 marzo, l’arcivescovo è infatti salito sulle terrazze del Duomo per rivolgere a Maria una preghiera di intercessione a salvezza e protezione di Milano e dei suoi cittadini.
Domenica 8 marzo Delpini era stato ospite della trasmissione in onda su Rai2 Che tempo che fa, condotta da Fabio Fazio, durante la quale aveva conservato parole di conforto ai milanesi e ammirazione verso il personale sanitario, in prima linea in questa emergenza.
È gioioso e incoraggiante, in questo momento critico, poter confidare nella figura di un arcivescovo che davvero è pastore delle anime che gli sono affidate, ma ancora più importante è poter leggere, grazie alle sue parole, una situazione di rinascita in queste vicende nuove e inaspettate.
«Anche questo tempo strano e complicato, questo rallentarsi di tutto, questo rarefarsi di attività e di incontri, questo viaggio che si è interrotto e che provoca danni enormi all’economia e all’immagine della nostra terra, forse può contenere una occasione propizia per un dialogo con Gesù che si ferma accanto a noi, se ci fermiamo un po’». Sono le parole dell’arcivescovo durante l’omelia dell’8 marzo.
Ed è proprio così. Nella corsa frenetica del quotidiano abbiamo subito un improvviso stop. Questo imprevisto ci ha resi più vicini alle cose e alle persone che contano, ci ha resi infine più vicini alla preghiera e a Dio.
La speranza da trovare non è quella che per forza deve dirti a gran voce “andrà tutto bene” (slogan che così incessantemente sta girando sui social in questi giorni), ma ti dice “confida e affidati”. È una speranza che si inoltra cieca senza sapere se davvero tutto andrà bene, perché altrimenti non sarebbe più speranza. Sarebbe l’umana tentazione di voler avere a tutti i costi il controllo su ogni cosa. Invece la preghiera non ci dà risposte, ci dona quella relazione con Dio che trasforma ogni difficoltà in occasioni di totale affidamento.
Tutto questo è possibile grazie al tempo che ci è stato donato, al tempo trascorso in casa, con la propria famiglia o da soli (se riusciamo a intuire in questa emergenza la mano misericordiosa di Dio che nulla toglie, tutto dona). Un tempo fruttifero in cui fermarsi e contemplare Dio proprio grazie a quella Madonnina che nella frenesia di ogni giorno avevamo dimenticato essere lì a guardarci e proteggerci.
ROBERTA CONTE