Il patriarca di Venezia, sua eccellenza monsignor Francesco Moraglia, ha scritto ai genitori di Valeria Solesin, la giovane veneziana di San Marcuola morta nell’attentato al Bataclan di Parigi. «Desidero in questa drammatica circostanza farmi presente a Voi e al carissimo Dario per dirVi tutta la mia vicinanza ed affetto, insieme a quelli dell’intera Chiesa che è in Venezia. La tragedia che, con grande dignità e compostezza, state vivendo la sentiamo nostra. Valeria, veramente, appartiene a tutti noi. La sua vicenda ha toccato profondamente tutta la comunità veneziana», scrive il patriarca. Nella sua lettera di condoglianze ai genitori e al fratello della ragazza che a Parigi, da sei anni, svolgeva il suo dottorato alla Sorbonne, spiega che «l’assurdo e irrazionale fatto di sangue in cui la Vostra amatissima figlia ha perso la vita ci ha colpito molto, come ci ha edificato la testimonianza di dignità e fortezza d’animo da Voi data nel momento in cui una mamma e un papà vivono l’esperienza più lacerante: la perdita di una figlia. Il mio dolore si unisce a quello dell’intera Chiesa di Venezia e di tutti gli uomini e donne di buona volontà che vedono in Valeria un simbolo di grande impegno civile e morale oltre che una validissima studiosa impegnata nella ricerca universitaria. Il ricordo della Vostra amatissima figlia ci accompagnerà sempre, per quello che Valeria ha saputo essere, sia come studiosa sia come persona attenta e disponibile ai bisogni e alle necessità del prossimo, in particolare degli ultimi, come testimonia il suo costante impegno nel volontariato». Il patriarca conclude assicurando le sue preghiere ed esprimendo un suo desiderio. Quello di potere incontrare i genitori e il fratello della Soresin personalmente.
Relativamente ai tragici fatti accaduti venerdì 13 novembre nella capitale il patriarca ha commentato: «quella annunciata dai terroristi che hanno fatto strage a Parigi non è religione, è una caricatura della religione, perché la religione è vita, non ciò che queste persone gridano, uccidendo e togliendo la vita agli altri». Spiega monsignor Moraglia che «tutte le religioni si riferiscono, sia pure in modi diversi, al principio e all’origine della vita, perché Dio ha questa caratteristica: è vita. Pensare che si possa gridare il nome del proprio Dio togliendo la vita a qualcuno fa pensare che c’è un’enorme confusione, un grande degrado e un abbrutimento e, soprattutto, che non si è incontrato il Dio che si pensa di annunciare con questi gesti irrazionali e pieni di odio».
Matteo Orlando