La Fede Quotidiana ha intervistato don Marco Pozza, l’ormai celebre “don Spritz”. Don Pozza è un giovane, ma molto valido e dinamico sacerdote che da qualche tempo fa il cappellano nel carcere di Padova, compie incursioni nel mondo dei media e gestisce un interessante blog dal titolo sulla via di Emmaus. Con lui che ha parliamo del Giubileo della misericordia secondo l’ottica dei detenuti.
Il Papa ha scelto di “regalare” una Porta Santa anche alle carceri, perchè?
“Il senso più bello che un Papa avesse potuto darci: fare percepire che il nome di Dio è misericordia. E’ la passione del Papa per la dimensione della periferia. Da questa prospettiva, fare di una chiesetta del carcere una sorta di santuario della misericordia più che una provocazione, è una esistenza che diventa attrazione”.
Che cosa è oggi il carcere?
“Direi che è sempre rimasto in bilico tra due possibilità: essere una discarica sociale, o un giardino sia pur invaso da erbacce. Per coloro che vedono nel carcere un giardino con erbacce, diventa un luogo nel quale scoprire che la terra, sotto sotto, è ancora buona. Basta trovare un giardiniere disposto a usare la zappa, annaffiare e tanta pazienza. Una perla anche gettata nel fango, non si scioglie, al massimo si sporca. Se uno la raccoglie e la pulisce diventa ancora più preziosa”.
Misericordia e giustizia, possono camminare di pari passo?
“Essere misericordiosi con chi ha compiuto un gesto di tradimento nei confronti della società non è sottrargli le responsabilità di ciò che ha liberamente firmato. In questo senso, la giustizia e la misericordia non possono camminare se non a braccetto. La giustizia senza la misericordia è mamma di tortura, ma la misericordia senza la giustizia è mamma di dissoluzione”.
Varie volte lei ha detto che occorre anche saper e voler andare controcorrente, che cosa significa?
“E’ l’esatto contrario del contromano. Per me rappresenta una esistenza di libertà, anche di verità della mia storia. Pretendere di essere protagonista della mia storia. Non accetterei mai che sto indossando un vestito,il pensiero, il ragionamento, lo stile di qualcun altro. Se essere normale oggi significa essere politicamente corretto, chiedo la libertà di essere anormale, magari pure giudicato non di moda.”
Bruno Volpe