Ti è piaciuto? Condividi!

A cura della Redazione

Presentato in Senato il Terzo Rapporto OPA sui costi dell’aborto indotto e i suoi effetti sulla salute delle donne: “Tra clandestinità e indifferenza”

Il 29 ottobre, alle ore 16, nella Sala Nassiriya di Palazzo Madama, l’Osservatorio Permanente sull’Aborto (OPA) ha presentato il Terzo Rapporto sui costi dell’aborto indotto e i suoi effetti sulla salute delle donne, intitolato “Tra clandestinità e indifferenza”. Sono intervenuti Benedetto Rocchi, Presidente dell’Opa, e tre membri del Comitato direttivo: Filippo Maria Boscia e Giuseppe Noia, moderati da Francesca Romana Poleggi. Ha porto i saluti istituzionali il Senatore Ignazio Zullo.

Il Terzo Rapporto Opa presenta i dati aggiornati sul numero degli aborti in Italia, che, tra il 1978 e il 2022, è di 5.987.323, di cui 64.703 nell’ultimo anno rilevato (2022). Il numero è solo apparentemente in declino perché non tiene conto dell’incremento dei criptoaborti causati dalle pillole postcoitali: oltre 760.000 scatole vendute hanno causato almeno altri 76.000 aborti, secondo una stima molto prudenziale. Perché le pillole postcoitali, quando non riescono a inibire l’ovulazione, impediscono l’annidamento in utero dell’embrione, essere umano a tutti gli effetti. In proposito, ha spiegato il prof. Boscia: «L’embrione vale sempre, fin dal suo inizio, come persona, la cui origine si colloca con la singamia, ovvero coincide con l’unione fra i due gameti (maschile e femminile) che sinteticamente definiamo fecondazione. L’embrione è sempre qualcuno e non è mai qualcosa di cui possiamo sbarazzarci. L’OPA desidera cogliere la voce nel suo silenzio, noi desideriamo amplificare questo silenzio, che forse per molti è un rumore fastidioso di un corpo estraneo, ma in realtà è già persona, che merita di essere accolta, ascoltata, amata, ac-curata, non tras-curata»

«La legge 194, in questi 44 anni, non è riuscita ad eliminare gli aborti clandestini, che anzi sono incrementati dall’uso di sostanze off label che provocano l’aborto, soprattutto da parte delle giovanissime. La pratica è purtroppo in qualche modo incentivata dalla propaganda tesa alla promozione planetaria dell’aborto fai-da-te fuori dall’ambiente ospedaliero protetto, a detrimento della salute psicofisica della donna», aggiunge Noia, che esprime la sua viva preoccupazione per il riscontrato aumento del numero di aborti eugenetici: «C’è la possibilità durante la consulenza di proporre una alternativa, come prevede la stessa legge 194: prescrivere precisazioni diagnostiche che spesso evidenziano che non ci sono patologie. Se invece ci sono, si possono proporre terapie in utero che possono portare a guarigione completa sia con interventi invasivi che non invasivi; si possono fare trattamenti palliativi prenatali per non far sentire il dolore al feto. Infine, quando non ci sono altre possibilità, sono possibili terapie o cure palliative prenatali, proponendo alla famiglia il sostegno necessario per accompagnare il feto fino alla fine, sulla scia di quanto indicato anche da organismi internazionali come il CDC di Atlanta. Questo è un servizio che rispetta la libera scelta delle donne e fornisce competenza, empatia e scienza in una condizione di pari opportunità rispetto a chi invece sceglie la interruzione».

«Nel 2022 sono state abortite il 13% delle gravidanze, secondo i calcoli basati su dati ufficiali (erano state il 12,5% nell’anno precedente). Il tasso di abortività totale, anch’esso in crescita, nel 2022, è di 206 donne su 1000», dichiara il prof. Rocchi. «Considerati questi numeri, il costo cumulato dell’aborto legale in Italia aggiornato fino alla fine del 2022 è di 7 miliardi e 290 milioni di Euro. Un fondo destinato ad impieghi produttivi nel quale, nel corso dei 44 anni considerati, fosse stata accumulata ogni anno una cifra corrispondente alle spese abortive sostenute, oggi ammonterebbe a 16 miliardi e 616 milioni di Euro», prosegue Rocchi. «Nonostante il declino delle risorse per la Sanità pubblica, l’aborto rimane una prestazione completamente gratuita e garantita in tempi rapidi» ha concluso commentando i dati relativi all’obiezione di coscienza prevista dalla legge.

«Volendo fare una doverosa analisi costi – benefici della politica abortista in Italia, la legalizzazione dell’aborto nei 44 anni considerati dal ’78 al ’22 ha comportato una enorme spesa improduttiva, una mole di effetti collaterali e avversi sottostimata e sottaciuta alle donne, non ha ridotto la mortalità femminile all’epoca dell’approvazione della legge, non risolto il problema degli aborti clandestini, presenti ancora oggi. E soprattutto ha negato il diritto alla vita a decine di milioni di bambini. Quali benefici ha apportato alla società?», si chiede Francesca Romana Poleggi.

Il Terzo Rapporto OPA, come i precedenti, è liberamente scaricabile dal sito www.osservatorioaborto.it

Sinossi del Terzo Rapporto OPA sui costi dell’aborto indotto e i suoi effetti sulla salute delle donne

Questo Terzo Rapporto sui costi dell’aborto e sui suoi effetti sulla salute delle donne, si pone in continuità con il Primo del 2021 e il Secondo del 2023, nell’ottica di fornire alla collettività e alla politica un servizio di monitoraggio sull’applicazione della legge 194 del 1978. Il lavoro dell’Osservatorio Permanente sull’Aborto è quindi a disposizione – soprattutto – degli amministratori della cosa pubblica che normalmente si premurano di osservare e valutare i costi e i benefici delle politiche implementate al fine di massimizzarne l’efficienza e il grado di raggiungimento del bene comune prefissato.

Come prima cosa questo Terzo Rapporto aggiorna agli ultimi dati ufficiali disponibili (2022) il numero degli aborti in Italia: il totale, tra il 1978 e il 2022, ammonta a 5.987.323, di cui 64.703 nell’ultimo anno rilevato.

Si osserva che la diminuzione annuale delle interruzioni di gravidanza registrate nel lungo periodo è dovuta in misura significativa al declino della popolazione femminile in età fertile, all’invecchiamento della popolazione e al calo delle nascite. Nel 2022 sono state abortite il 13% delle gravidanze, secondo i calcoli basati su dati ufficiali (erano state il 12,5% nell’anno precedente). Il tasso di abortività totale, anch’esso in crescita, nel 2022, è di 206 donne su 1000. Dopo 44 anni di applicazione della legge, quindi, ancora oggi l’aborto volontario è un problema sociale rilevante. Anche perché è evidente che, contrariamente a quanto dichiarato nell’articolo 1 della legge 194, è stato e viene usato come ordinario mezzo di controllo delle nascite e non come extrema ratio in casi drammatici.

Il dato è ancor più allarmante se al numero degli aborti ufficiali si aggiungono i criptoaborti causati dalle pillole post-coitali e gli aborti clandestini. Il numero ufficiale corretto tenendo conto dell’impiego della contraccezione di emergenza mostra una complessiva crescita dell’abortività volontaria negli ultimi anni. Per quanto riguarda gli aborti clandestini, non solo non sono stati eliminati dalla legalizzazione del 1978, ma sono incrementati dall’uso di sostanze off label che provocano l’aborto. Tale pratica è sempre più in voga, soprattutto tra le giovanissime e purtroppo è in qualche modo incentivata dalla propaganda tesa alla promozione planetaria dell’aborto fai-da-te fuori dall’ambiente ospedaliero protetto.

Considerati questi numeri, il costo cumulato dell’aborto legale in Italia aggiornato fino alla fine del 2022 è di 7 miliardi e 290 milioni di Euro. Un fondo destinato ad impieghi produttivi nel quale, nel corso dei 44 anni considerati, fosse stata accumulata ogni anno una cifra corrispondente alle spese abortive sostenute, oggi ammonterebbe a 16 miliardi e 616 milioni di Euro (prezzi 2022).

Nel 2022 la legge 194 ha comportato un costo complessivo di poco più di 56 milioni di Euro, in lieve crescita (+1,3%) rispetto all’anno precedente. Considerando, però, anche il prezzo al dettaglio delle pillole post-coitali si può stimare un costo aggiuntivo per l’anno 2022 pari a quasi 15,7 milioni di Euro, una cifra pari al 31% del costo di applicazione stimato in base ai dati ufficiali (stima media) per lo stesso anno. Tale costo è tuttora per la gran parte a carico della spesa privata. La distribuzione gratuita delle pillole post-coitali come contraccettivi, recentemente proposta, potrebbe essere considerata a tutti gli effetti un costo di applicazione della 194. Anche questo Terzo Rapporto tiene conto delle complicazioni post-aborto. Si è calcolato cioè il tasso di incidenza degli eventi avversi che risulta dall’elaborazione su dati provenienti dalle Schede di Dimissione Ospedaliera forniti da alcune regioni, analiticamente per ciascun anno dell’intero periodo 2010-2020. Se l’aumentata incidenza dell’aborto chimico diminuisce progressivamente il costo medio per singolo aborto, che passa da 907 a 856 Euro, risulta però evidente che l’aborto farmacologico genera un maggior costo per le complicazioni rispetto all’aborto chirurgico. La quota dei costi per le complicazioni, infatti, cresce nei tre anni passando da 5,5 a 6,4 milioni di Euro, raggiungendo una quota dell’11,4% sul totale.

La terza edizione del Rapporto contiene anche una aggiornata rassegna degli studi scientifici sul legame tra aborto e cancro al seno, il tumore femminile più diffuso. Nuovi studi continuano a confermare l’esistenza di tale legame, sul quale le donne dovrebbero ricevere una completa e corretta informazione. Sulla base di dati ufficiali viene inoltre confutata la tesi secondo la quale l’elevata percentuale degli operatori sanitari che esercitano l’obiezione di coscienza ostacolerebbe il diritto di aborto delle donne. Viene in particolare analizzato il caso della Regione Marche, recentemente al centro di polemiche finalizzate alla abolizione del diritto all’obiezione previsto dalla legge.

Infine, il Terzo Rapporto affronta uno dei principali motivi che hanno giustificato nel 1978 la legalizzazione dell’aborto in Italia, cioè quello di evitare le morti materne causate da pratiche non sicure. L’aborto non sicuro viene, infatti, indicato dall’OMS come causa di mortalità materna. L’OPA ha analizzato l’andamento della mortalità femminile in Italia negli anni intorno all’approvazione della legge. Dal 1974 al 1983 i dati ufficiali sulla mortalità femminile non segnalano alcuna discontinuità che possa essere considerata collegata all’approvazione della legge 194. Non esiste alcuna evidenza statistica che prima del 1978 l’aborto clandestino costituisse un problema di salute pubblica rilevante, risolto negli anni successivi con la legalizzazione. L’assenza di qualsiasi impatto della legalizzazione dell’aborto sulla mortalità femminile è un risultato non diverso da quello osservato anche in altri Paesi. Peraltro i dati mostrano che l’aborto clandestino ha continuato ad essere praticato in Italia anche dopo l’approvazione della legge.

Non solo, quindi, la legalizzazione dell’aborto volontario ha introdotto un’ingiustizia, perché ha messo nelle mani degli adulti il diritto di vita o di morte su bambini non ancora nati, non ha costituito neppure un valido strumento di contrasto del fenomeno dell’aborto clandestino, né ha diminuito la mortalità materna.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.