Un mazzo di fiori e un momento di preghiera davanti alla lapide che ricorda la deportazione dei 1259 ebrei romani rastrellati dai nazisti nel 1943: così Papa Francesco, appena arrivato a largo XVI ottobre, nel ghetto ebraico di Roma, si è presentato alla Comunità ebraica romana, dove è stato accolto dalla presidente Ruth Dureghello, dal presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei), Renzo Gattegna, e dal presidente della Fondazione Museo della Shoah, Mario Venezia, prima di raggiungere a piedi il Tempio Maggiore per incontrare il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni. Sei anni dopo la visita di papa Ratzinger e 30 dopo quella storica, prima nella storia, di Giovanni Paolo II nel 1986
17 gennaio 2015, un’ altra data da aggiungere nel calendario storico della Chiesa. Dopo Giovanni Paolo II e Benedetto XVI è arrivato il tempo di Papa Francesco. Il luogo, lo stesso. La città anche. La Sinagoga di Roma ha accolto il Pontefice, in uno stato di allerta per la sicurezza dopo che gli attentati di Parigi ancora si fanno sentire. Ottocento uomini per la sicurezza, imponenti sistemi di controllo aereo. Ma Papa Francesco non ha paura. E forte è il messaggio pronto per la Comunità ebraica: «Il popolo ebraico, nella sua storia, ha dovuto sperimentare la violenza e la persecuzione, fino allo sterminio degli ebrei europei durante la Shoah. Sei milioni di persone, solo perché appartenenti al popolo ebraico, sono state vittime della più disumana barbarie, perpetrata in nome di un’ideologia che voleva sostituire l’uomo a Dio», ha detto il Pontefice. «La Shoah – ha aggiunto – ci insegna che occorre sempre massima vigilanza, per poter intervenire tempestivamente in difesa della dignità umana e della pace». Ancora una volta, come i suoi predecessori, il Pontefice ha voluto richiamare l’attenzione soprattutto sulla dignità dell’Uomo. Lo aveva già fatto Giovanni Paolo II, e lo aveva ribadito Benedetto XVI. Papa Francesco li chiama “fratelli”, sottolineando il carattere ecumenico che ormai dal Concilio Vaticano II ha intrapreso la Chiesa di Roma. Il riferimento alla “Nostra Aetate” non è casuale. Documento conciliare che da poco celebrato il suo cinquantesimo anniversario.
E’ un inno alla pace quello che Francesco vuole dare dalla Sinagoga di Roma, un ulteriore accorato appello al dialogo, al confronto, e non allo scontro. Si comprende bene quanto nella memoria del Pontefice gli accadimenti terroristici che stanno invadendo l’Europa e il Mondo intero, siano ben presenti. Dice il Papa: “La violenza dell’uomo sull’uomo è incompatibile con qualunque religione, tantomeno con le tre grandi fedi monoteistiche. La vita è sacra, dobbiamo portare avanti la logica della pace e del perdono». Quello che colpisce di più di una visita così significativa, proprio in questo delicato momento storico, è una continuità così ben delineata, nei tre Papi che si sono susseguiti. A testimoniare, ancora una volta, di quanto la Chiesa cattolica sia impegnata nel dialogo, di quanto voglia intessere sempre di più i rapporti di fraternità con tutte le religioni.
Antonio Tarallo