“Ashbâl al-khilâfa” (i leoncini del califfato). Sono chiamati in questo modo i circa quattrocento minorenni che dall’inizio del 2015 a oggi l’Isis ha arruolato nelle sue fila per la “guerra santa”, attraverso dei centri di reclutamento sorti in alcune citta siriane come Raqqa, al-Mayâdîn, al-Bûkamâl. I bambini e i ragazzini vengono attirati alla causa jihadista con promesse legate ai soldi, alle automobili e alle armi e vengono convinti ad arruolarsi nei luoghi che generalmente frequentano: scuole, moschee e strade.
I miliziani dell’ISIS, se non riescono a reclutare i minorenni “con le buone”, procedono ai rapimenti con la forza o puntano sulla disperazione economica delle famiglie convincendo i genitori, dietro cospicue somme di denaro, a consegnare loro i figli che poi vengono portati nei campi di addestramento (come quelli di al-Bâb ad Aleppo, che raccoglie quattordicenni e quindicenni, e quello di Raqqa, che annovera bambini dai 10 anni in su), sottoposti ad un programma di indottrinamento sulla sharî‘a, sull’ideologia del califfato e sull’importanza di combattere per ricostituirlo, e pratica sul campo dove imparano a usare le armi e a combattere corpo a corpo.
Naturalmente, da una rapida indagine sulle norme islamiche, emerge chiaramente che questa pratica è contraria alla legge islamica, di cui il Califfato si erge a paladino ma che lo Stato islamico muta a seconda delle convenienze. La maturità (bulûgh) è necessaria per il fard kifâya, cioè il jihad offensivo, e non è un obbligo per il bambino (sabî). Nel caso in cui il jihad sia fard ‘ayn, cioè un dovere personale perché il jihad è difensivo (e non è il caso dell’ISIS), secondo le scuole giuridiche hanafita, shafi‘ita e malikita gli adolescenti che sono capaci di combattere sono tenuti ad andare in battaglia, con o senza il consenso dei genitori, perché l’invasione esterna rappresenta un pericolo per tutti gli abitanti indistintamente e tutti sono chiamati a lanciarsi in battaglia. Per la scuola giuridica hanbalita, invece, non si possono costringere i bambini a combattere.
Matteo Orlando