Intervistato da Dániel Fülep, del Centro John Henry Newman, sezione dell’Ungheria, mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana (Kazakistan), tocca diversi argomenti. «Penso che in questo periodo di confusione sia assolutamente necessario avere un Sillabo […] una lista, un elenco di pericoli, di affermazioni confuse, di cattive interpretazioni, ecc.; l’enumerazione degli errori più comuni e diffusi in ogni area come dogmi, morale e liturgia. D’altro canto occorre anche chiarire e positivamente fissare quegli stessi punti. Ce ne sarà sicuramente bisogno».
A proposito del fraintendimento della “participatio actuosa”, il vescovo Kazako chiarische che la «Sacrosanctum Concilium ci insegna che in pratica la participatio actuosa significa ascoltare, rispondere, cantare, inginocchiarsi, ed anche lo stare in silenzio. È stata la prima volta che il Magistero ha parlato del silenzio come una forma di participatio actuosa, per cui dobbiamo smontare alcuni miti sulla malintesa participatio». A proposito della crisi della Chiesa e della dura lotta tra il modernismo e la tradizione, Sua Eccellenza spiega che «sono già 50 anni che stiamo vivendo e subendo quella dicotomia, fin dal Concilio. Da un lato rileviamo segni positivi nella Chiesa; d’altro canto vediamo che certi sacerdoti e vescovi diffondono errori. Questa situazione è contraria alla natura della Chiesa. Gesù Cristo comandò agli Apostoli e ai loro successori di vigilare sul deposito della fede, cioè la fede cattolica, intatta, per la quale gli Apostoli furono disposti anche a dare la vita. Coloro che hanno autorità nella Chiesa devono agire contro tale situazione e correggerla». Riguardo a certe somiglianze tra i nostri tempi e il periodo ariano, il vescovo spieg che «la crisi ariana del quarto secolo fu causa di una confusione generale in tutta la Chiesa. Le eresie – o ambiguità e mezze verità – riguardanti la divinità di Cristo furono all’epoca assai diffuse. Solo pochi vescovi restarono ad opporsi apertamente all’eresia e all’ambiguità rappresentata dai cosiddetti semi-ariani. In quei giorni solo il clero politicamente corretto veniva promosso all’episcopato o altri alti uffici ecclesiastici, poiché il governo dell’epoca sosteneva e promuoveva l’eresia, in modi simili a quelli del nostro tempo. Nel nostro tempo non viene negata qualche specifica dottrina di fede, ma c’è una confusione generale in quasi tutti gli aspetti della dottrina cattolica, della morale e della liturgia. Nei nostri giorni, inoltre, quanto alla difesa della fede cattolica molti vescovi sono silenziosi o intimoriti. Per cui la mia risposta è “sì”, ci sono somiglianze».
Riguardo al primato petrino mons. Schneider ricorda che «abbiamo il documento Dei Verbum del Concilio Vaticano II sulla divina rivelazione che contiene molte ottime affermazioni. Ci dice che quanto al Magistero, il Papa non è al di sopra della Parola di Dio o della Tradizione ma, in qualità di servo della Parola trasmessa oralmente e per iscritto (= tradizione), ne è al di sotto. Occorre anche insistere sul fatto che il papa, il papato, non è il proprietario della tradizione o della liturgia, ma le deve preservare. Penso che sia un bene approfondire la riflessione sulle relazioni che intercorrono fra il Magistero e la Tradizione». Fornendo dei consigli ai fedeli cattolici in questi tempi difficili, il vescovo spiega che «nella storia della Chiesa ci sono sempre stati momenti di crisi profonda, sia per la fede che per la morale. La crisi più profonda e pericolosa fu senza dubbio la crisi ariana nel quarto secolo. Fu un attacco mortale contro il mistero della Santissima Trinità. In quei tempi furono praticamente i semplici fedeli a salvare la fede cattolica. Nell’analizzare tale crisi, il beato John Henry Newman disse che fu la “ecclesia docta” (cioè i fedeli che ricevono l’insegnamento dal clero) anziché la “ecclesia docens” (cioè i responsabili del magistero ecclesiastico) a salvare l’integrità della fede cattolica nel quarto secolo. In tempi di grave crisi la Divina Provvidenza preferisce usare gli umili e i semplici per dimostrare l’indistruttibilità della Sua Chiesa. Sulla situazione interna della Chiesa si può anche considerare la seguente affermazione di san Paolo: “Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti” (1 Cor 1,27). Quando i semplici fedeli notano che i rappresentanti del clero, e perfino dell’alto clero, trascurano la fede cattolica e proclamano errori, dovrebbero pregare per la loro conversione, dovrebbero riparare gli sbagli del clero attraverso una coraggiosa testimonianza della fede. Certe volte i fedeli dovrebbero anche avvisare il clero e correggerlo, sempre rispettosamente, cioè seguendo il principio del “sentire cum ecclesia”, come ad esempio fecero santa Caterina da Siena e santa Brigida di Svezia. Nella Chiesa tutti costituiamo un unico corpo, il Corpo Mistico di Cristo. Quando la testa (il clero) è debole, il resto dei membri dovrebbe tentare di rafforzare l’intero corpo. In fin dei conti, la Chiesa è guidata dal suo Capo invisibile, che è Cristo, ed è animata dalla sua anima invisibile, che è lo Spirito Santo. Pertanto la Chiesa è indistruttibile».
Sull’errore teologico di considera tutti figli di Dio, mons. Schneider ricorda che si fa confusione quando si mettendo «sullo stesso piano il livello della natura, secondo cui siamo tutti creature di Dio, e il livello soprannaturale, secondo cui solo coloro che credono in Cristo e vengono battezzati sono figli di Dio. Solo coloro che credono in Cristo sono figli di Dio, che non sono nati nella carne. Questo lo ha dichiarato Dio stesso, nel Vangelo di Giovanni. […] È solo in Cristo e attraverso lo Spirito Santo riversato nei nostri cuori che possiamo dire “Abbà, Padre”: cioè è assolutamente chiaro basandosi sulla Parola di Dio. Ovviamente, Cristo ha versato il Suo sangue per redimere tutti, ogni essere umano. Questa è redenzione oggettiva. E perciò ogni essere umano può diventare figlio di Dio se accetta personalmente Cristo nella fede e attraverso il battesimo. Per cui dobbiamo spiegare tali differenze in modo assolutamente chiaro».
Il vescovo ricorda che il «Concilio di Trento è stato uno dei più alti momenti della storia della Chiesa proprio a causa della chiarezza dottrinale e disciplinare». Mentre relativamente a quanto scritto dal card Kurt Koch, cioè che “la Chiesa cattolica non conduce né incoraggia alcuna missione istituzionale rivolta specificamente agli ebrei”, mons. Schneider dice che è totalmente contrario alla parola di Cristo. «Gesù Cristo ha detto: “non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele” (Mt 15,24). E la Sua missione continua, Lui non l’ha abolita. Ha detto: “andate e fate discepole tutte le nazioni” anziché “andate in tutte le nazioni con l’eccezione degli Ebrei”. L’affermazione sopraindicata implica questo. Ma è assurdo. Questo è contro la volontà di Dio e contro l’intera storia e vita della Chiesa lungo duemila anni. La Chiesa ha sempre predicato a chiunque, indipendentemente dalla sua nazione e dalla sua religione. Cristo è l’unico Redentore. Oggi gli Ebrei rifiutano l’Alleanza con Dio. Esiste una sola Alleanza con Dio: l’Antica Alleanza era solo preparatoria e si è compiuta nella Nuova ed Eterna Alleanza. Questo è anche l’insegnamento del Concilio Vaticano II: “L’economia del Vecchio Testamento era soprattutto ordinata a preparare, ad annunziare profeticamente e a significare con diverse figure l’avvento di Cristo redentore… Dio dunque, il quale ha ispirato i libri dell’uno e dell’altro Testamento e ne è l’autore, ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio fosse svelato nel Nuovo” (Dei Verbum, nn. 15-16). Gli Ebrei hanno rifiutato questa Divina Alleanza, dal momento che Gesù aveva detto loro: “chi odia me, odia anche il Padre mio” (Gv 15,23). Queste parole di Gesù sono ancora valide per gli ebrei di oggi: “il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mc 13,31). E Gesù disse: chi non accetta me, non può andare al Padre. Quando gli Ebrei di oggi rifiutano Cristo, rifiutano anche il Padre e la sua Alleanza, poiché infatti c’è solo un’Alleanza, non ce ne sono due: l’Antica si è conclusa nella Nuova Alleanza. Poiché c’è un solo Dio, non ci sono due dèi distinti: un dio dell’Antico Testamento e un dio del Nuovo Testamento. Gli Ebrei di oggi sono i discepoli talmudisti dei Farisei, che rifiutarono l’Alleanza con Dio nella Nuova ed Eterna Alleanza. Comunque, gli Ebrei giusti dell’Antico Testamento – i profeti, Abramo e Mosè – accettarono Cristo. Gesù ci ha detto questo, per cui occorre evidenziarlo». «Gli Ebrei dell’Antico Testamento – i Profeti, Abramo e tutti i santi dell’Antico Testamento – sono i nostri fratelli maggiori. Questo è corretto perché avevano già accettato Cristo, non esplicitamente ma al livello delle prefigurazioni e dei simboli, ed Abramo anche esplicitamente, come Cristo stesso ci ha detto: “Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò” (Gv 8,56).
“Ma come possiamo dire lo stesso – ha proseguito Schneider – a proposito degli Ebrei di oggi del Talmud che rifiutano Cristo e che non hanno fede in Cristo e nella Santissima Trinità? Come possono essere i nostri fratelli maggiori se non hanno fede in Cristo? Che cosa si suppone che abbiano da insegnarmi? Io ho fede in Cristo e nella Santissima Trinità. Ma loro rigettano la Santissima Trinità, perciò non hanno fede. Pertanto non potranno mai essere miei fratelli maggiori nella fede». Sul dialogo con l’Islam, mons. Schneider chiarisce che «c’è una certa confusione anche quando si dice che gli Ebrei, i Musulmani e i Cristiani seguirebbero religioni monoteistiche. Ciò è alquanto caotico. Perché? Perché noi cristiani crediamo sempre non solo in un unico Dio, ma in un Dio uno e trino, Dio, la Santissima Trinità. Noi non crediamo solo in un Dio unico come ogni uomo può credere alla luce della ragione naturale. Gli Ebrei e i Musulmani credono in un unico Dio che è una sola persona. Questa è un’eresia, questo non è vero. Dio non è un’unica persona, ma è in tre Persone. Inoltre non hanno fede poiché credono che il Dio unico non richieda fede, solo la ragione naturale. C’è il dogma della fede che afferma che attraverso la sola illuminazione naturale della ragione naturale l’uomo può riconoscere che c’è Dio. Noi abbiamo una fede soprannaturale, e questa è una differenza sostanziale. Oggettivamente, Dio, che è conoscibile attraverso la ragione, è ovviamente la Santissima Trinità. Ma gli Ebrei e i Musulmani non accettano la Santissima Trinità.”
“Perciò – ha detto ancora Schneider – non possiamo pregare insieme perché la loro preghiera manifesta la loro convinzione che ci sarebbe un solo Dio in una sola Persona, mentre noi cristiani adoriamo sempre Dio in tre Persone. Sempre. Per cui non possiamo partecipare alla stessa preghiera: non sarebbe vera. Sarebbe una contraddizione e una menzogna». Sul tema delle migrazioni mons. Schneider ricorda che «questa è pressoché una questione politica, e non è compito primario dei vescovi fare affermazioni politiche. Ma in qualità di privato cittadino, non da vescovo, direi che la cosiddetta “migrazione” è artificialmente pianificata e programmata: si potrebbe parlare di una specie di invasione. Alcuni poteri politici globali l’avevano preparata già anni fa, creando caos e guerre nel Medio Oriente, “aiutando” quei terroristi, anche non opponendovisi ufficialmente, e così – in qualche modo – hanno contribuito a questa crisi. Trasferire nel cuore dell’Europa una tale massa di persone, che sono prevalentemente musulmane e appartengono a culture molto diverse, è problematico. Per questo c’è un conflitto programmato in Europa, e la vita politica e civile ne viene destabilizzata. Questo dovrebbe essere evidente per tutti».
Sulla santa liturgia cattolica in usus antiquior che potrebbe aiutare l’ecumenismo vero con l’ortodossia mons. Schneider ricorda di aver «spesso avuto contatti con il clero ortodosso. Mi hanno detto che la maniera di celebrare verso il popolo, utilizzando donne come lettrici, per esempio, è simile al rito Protestante. Il sacerdote e i fedeli formano un cerchio chiuso, la celebrazione è come un meeting o una conferenza, ed anche gli aspetti informali durante la Messa sono contro la tradizione cattolica e apostolica che abbiamo in comune con le chiese ortodosse. […] Sono convinto che quando torneremo alla liturgia tradizionale o almeno celebreremo in maniera tradizionale il Novus Ordo Missae, ci avvicineremo di più ai nostri fratelli ortodossi, almeno al livello liturgico. Nel 2001 Giovanni Paolo II scrisse una lettera alla Congregazione per il Culto Divino, nella quale compare un inciso molto interessante, a proposito della particolarmente venerabile liturgia tradizionale romana, che ha somiglianze con le venerabili liturgie orientali. […] Per la prima volta nella storia un Pontefice romano e un Patriarca russo si siano incontrati. Al livello umano e psicologico un tale incontro cancella mutue diffidenze e separazioni di parecchi secoli. Perciò in questo senso è stato un incontro importante. Le questioni teologiche, invece, sono state pressoché totalmente escluse. Le circostanze dell’incontro hanno avuto anche una chiara dimensione politica. Noi speriamo che la Divina Provvidenza sfrutti questo incontro per una futura unità nell’interezza della fede cattolica. [… Come risultato del motu proprio Summorum Pontificum] la liturgia tradizionale ha cominciato lentamente ma decisamente a diffondersi. Un movimento del genere non può più essere fermato. È già molto forte anche nelle giovani generazioni: i giovani, i seminaristi, le giovani famiglie, che desiderano fare esperienza della bellezza della fede cattolica attraverso questa liturgia, e questo per me è un vero segno dell’opera dello Spirito Santo, perché si sta diffondendo così con lentezza e naturalezza, senza l’aiuto di strutture ufficiali della Chiesa, senza il sostegno della nomenklatura ecclesiale. Spesso questo movimento si trova davanti un’opposizione dai rappresentanti ufficiali della Chiesa. Ma al di là dell’ostruzionismo di parte della burocrazia ecclesiale, sta crescendo e diffondendosi, e questo per me è opera dello Spirito Santo. E lo Spirito Santo è più forte di certi vescovi e cardinali e di certe strutture ecclesiastiche ben consolidate. […] Un principio basilare della fede cattolica dice: “Lex credendi est lex orandi”. Cioè che la legge della fede – la verità della fede cattolica – va espressa nella legge della preghiera, nella pubblica liturgia della Chiesa. I testi e i riti della liturgia devono riflettere l’integrità e la bellezza della fede cattolica e delle divine verità. Nell’amare la bellezza della liturgia, nella sua forma tradizionale, dovremmo sentirci toccati nell’anima e nel cuore ad amare di più la verità cattolica e a viverla nella nostra vita cristiana di tutti i giorni. Un vero cattolico deve amare anzitutto l’integrità della fede, e da questo amore segue l’integrità della liturgia, da cui anche l’amore per l’integrità morale. Per cui potremmo espandere quell’assioma tradizionale dicendo: “Lex credendi – lex orandi – lex vivendi”. La cura e la difesa dell’integrità della fede cattolica va comunque tenuta in accordo col principio del “sentire cum ecclesia”, cioè nel rispetto e nella carità». Riflettendo sul Giubileo Straordinario della Misericordia mons. Schneider insegna che «la misericordia di Dio è il Suo amore per noi. E la misericordia di Dio è stata rivelata a noi quando si è incarnato ed è divenuto uno di noi. È per l’ineffabile misericordia di Dio che ha deciso di essere uomo e ci ha redenti sulla croce.
Schneider ha sostenuto che “la misericordia di Dio sta nel fatto che è sempre pronto a perdonarci quando ci pentiamo sinceramente dei nostri peccati. Gesù stesso rispose a Pietro, alla domanda “quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?”, “non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette”, cioè, ogni volta che tuo fratello sinceramente chiede perdono. Tutte le volte che chiediamo a Dio di perdonare i nostri peccati, non importa quanto grandi e orribili siano, Egli ci perdona a condizione che ne siamo sinceramente pentiti, cioè che siamo disposti ad evitarli in futuro. Ma sfortunatamente il gruppo del cardinal Kasper e quei chierici che ne supportano le teorie, fraintendono il concetto di misericordia e ne abusano, introducendo la possibilità che Dio perdonerebbe anche se non abbiamo la ferma intenzione di pentirci e di evitare futuri peccati. Il risultato è la completa distruzione del concetto di divina misericordia. Tale teoria suggerisce: puoi continuare a peccare, tanto Dio è misericordioso. Questa è una menzogna e per certi versi anche un crimine spirituale, perché stai spingendo i peccatori a continuare a peccare, e di conseguenza a perdersi e ad essere condannati per l’eternità. […] La Santissima Eucarestia è il sacramento della Croce di Cristo, il sacramento del Suo sacrificio, che è reso presente in ogni Santa Messa. L’atto della nostra redenzione, che il più grande atto della misericordia di Dio, diventa presente. Così l’Eucarestia è la dimostrazione e la proclamazione della viva misericordia di Dio per noi. L’Eucarestia contiene non solo il sacrificio di Cristo, ma anche la persona di Cristo stesso. Il Suo Corpo e il Suo Spirito sono realmente presenti e questa è la più sacra e santa realtà che abbiamo sulla Terra. Noi possiamo avvicinarci al Santo solo come il pubblico peccatore che disse: “Oh, mio Dio, io non sono degno, ma guariscimi, purificami!” Perciò l’Eucarestia è anche la dimostrazione della misericordia di Dio, che esige che dobbiamo anzitutto essere purificati e lavati dei nostri peccati. L’Eucarestia è la dimostrazione della misericordia di Dio, e richiede necessariamente il sacramento specifico della misericordia, che è il sacramento della Riconciliazione, cosicché l’anima possa essere purificata. L’ingresso nella misericordia avviene col sacramento della Riconciliazione: così si aprono le porte del Cuore di Gesù, quando durante l’assoluzione sacramentale fluisce dal Cuore di Gesù il Suo Sangue, che purifica il peccatore. La stessa Santa Messa contiene in sé la fonte di tutti gli altri sacramenti, e questa fonte è il sacrificio della Croce».
Riguardo alla contrarietà alla Comunione data sulla mano, Mons. Schneider ricorda la Redemptionis Sacramentum e spiega che «prima di tutto abbiamo da difendere Nostro Signore. È un dato di fatto che quasi in ogni distribuzione della Santa Comunione sulle mani c’è il pericolo reale della dispersione di frammenti. Perciò non possiamo dare la Comunione sulle mani. È troppo pericoloso. Dobbiamo decidere se proteggere e difendere Nostro Signore. La legge della Chiesa è subordinata al bene della Chiesa. Ed in questo caso la lettera della legge – il permesso di dare la Comunione sulle mani – è causa di un gran danno spirituale al Santissimo nella Chiesa, cioè Nostro Signore nell’Eucarestia. Dare la Comunione sulle mani è pericoloso e danneggia la Chiesa. Perciò non possiamo seguire questa legge. In pratica è ovviamente difficile, perché in certi posti i fedeli sono già abituati a prendere la Santa Comunione con le mani. Tuttavia dovremmo spiegar loro tutto questo, con grande convinzione ed amore: di solito la maggioranza lo accetta. Perciò dobbiamo fare del nostro meglio per raggiungere tale scopo».
Ulteriori insegnamenti devotamente cattolici sono arrivati da monsignor Athanasius Schneider il 16 aprile quando ha celebrato una Messa Pontificale nella Cattedrale di Costanza, luogo dove si svolse seicento anni fa il Concilio convocato per «raggiungere i seguenti tre obiettivi: – Restaurare l’unità della Chiesa superando il grande scisma che aveva generato letteralmente all’interno della Chiesa l’anarchia e il rifiuto dell’autorità. L’unità dell’autorità e dell’obbedienza venne spezzata dalla presenza di due antipapi nello stesso periodo, nonostante fosse già in carica un papa valido. Persino le persone sante e pie (come per es. San Vincenzo Ferreri) non sempre sapevano a chi la Chiesa in definitiva dovesse dare ascolto; – Vincere le eresie: da tempo serpeggiavano nella Chiesa errori della fede, che sostanzialmente sono stati poi diffusi da Martin Lutero e che in quel periodo erano rappresentati dagli inganni della filosofia soggettivista nominalista e soprattutto dalle false dottrine del sacerdote John Wyclif e di Jan Hus; – La riforma della moralità della vita, in primo luogo di quella del clero. I peccati regnavano incontrastati tra le fila del clero e persino nelle alte gerarchie. Eppure in quel tempo si sapeva ancora in che cosa consistesse il peccato e si chiamavano le cose col loro nome. Per questo tutti invocavano una riforma della struttura e dei vertici della Chiesa. Un decreto del Concilio menzionò concretamente la riforma della Curia romana, perché in quell’epoca il crollo della disciplina si mostrava pubblicamente persino del centro visibile della Chiesa. Nella Curia romana non si sapeva più quale misura efficace potesse essere intrapresa contro la crisi della disciplina ecclesiastica. Per sconfiggere i diversi mali della vita della Chiesa, come la confusione nelle questioni relative all’autorità, gli errori della fede, la mancanza di disciplina e di moralità, bisognava cominciare con l’atto più importante a disposizione della Chiesa, vale a dire con l’adorazione di Dio, e concretamente con l’adeguata venerazione di Dio attraverso la liturgia. Se non si offre a Dio, nel servizio pubblico che Gli si presta, tutto l’immenso onore a Lui dovuto, tutte le altre azioni di riforma della Chiesa, pur così necessarie, rimangono inefficaci. […] Bisogna prendere di nuovo sul serio la Sua incarnazione e la grazia della Sua presenza corporea nella celebrazione della santa messa. Infatti, il santo sacrificio della messa è il modo più grande che esista – e il più gradito a Dio – di venerare il Signore qui sulla terra». Oltre ad una degna e pia liturgia della messa, mons. Schneider citando il Concilio di Costanza ha ricordato che sono necessarie anche le seguenti azioni «per raggiungere l’obiettivo di un’efficace riforma della Chiesa: preghiere, digiuni, elemosine e opere pie. Sarà la disposizione umile e pentita del popolo e del clero che indurrà Dio a concedere alla Sua Chiesa la ricca grazia del suo rinnovamento. Il culto adeguato di Dio nella liturgia richiede certamente la fede adeguata. La fede cattolica autentica e completa è di origine divina ed è pertanto il fondamento essenziale, la roccia su cui si appoggia l’intera vita di ogni fedele e di tutta la Chiesa. […] Mantenere pura la fede cattolica e garantirne la trasmissione fedele e priva di errori è il primo compito del papa, se necessario anche a costo della sua vita.
“Nessun concilio ha ricordato questa verità in modo più chiaro di quello di Costanza, che prescrisse per i tempi futuri la pronuncia della seguente promessa come assunzione d’impegno del papa appena eletto: “Finché vivrò, aderirò fermamente alla fede cattolica in conformità con quanto è stato tramandato dagli apostoli e con quanto è stato decretato e riconosciuto dai concili generali e dagli altri santi padri. Manterrò questa fede inalterata fino al più piccolo apice, la difenderò e la predicherò fino all’offerta della mia anima e del mio sangue. Allo stesso modo seguirò e osserverò pienamente il rito dei sacramenti della Chiesa” (39ª sessione del 9 ottobre 1417). Ai nostri giorni, sarebbe necessario che anche ogni singolo sacerdote e ogni vescovo pronunciasse questa promessa prima della consacrazione», conclude il vescovo Kazako.
Matteo Orlando