In difesa dei 4 cardinali che hanno espresso i 5 “Dubia” al Papa riguardo al documento Amoris laetitia, e per riprendere il vescovo Frangkiskos Papamanolis, presidente della Conferenza episcopale greca, che ha attaccato i cardinali Brandmüller, Burke, Caffarra, e Meisner, scende in campo il canonista Edward N. Peters, dal 2010 referendario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.
Edward Peters scrive nel suo blog che «il prelato greco urla epiteti del tipo apostasia, sacrilegio, eresia, scisma contro quattro fratelli nell’episcopato, dando pochi indizi sul fatto che egli abbia qualche nozione di quale sia il significato di quei termini canonico-teologici. Ma li urla contro quattro confratelli che fanno niente più che un uso da manuale del loro diritto (can. 212 § 3) di porre questioni dottrinali e disciplinari che necessitano di essere affrontate al momento». Poi, amaramente, commenta: «mi piace pensare che anche i più accaniti difensori di Amoris laetitia abbiano visibilmente inorridito leggendo Papamanolis. Ma forse sono ingenuo». In merito alle dichiarazioni del decano della Rota romana, mons. Pio Vito Pinto (che ha sostenuto che Papa Francesco potrebbe privare i quattro Cardinali della loro dignità cardinalizia), Peters rileva che è «inappropriato che l’officiale giuridico più alto della Chiesa si dedichi a pubbliche speculazioni sulla possibile responsabilità giuridica e relative conseguenze canoniche contro vescovi fino ad oggi incensurati» ed aggiunge tecnicamente che «undici canoni (cann. 349-359) regolano l’istituzione cardinalizia nella Chiesa romana, inclusa una norma (can. 351 §1), che stabilisce, in un passaggio qui pertinente, che “dal momento della pubblicazione [quando il papa annuncia i loro nomi] essi sono vincolati dai doveri e godono dei diritti definiti dalla legge”».
Poi Peters spiega: «chi detiene tale nomina può essere “rimosso” dal detto ufficio “per cause gravi e osservato il modo di procedere definito dal diritto” (can. 193 § 1) o può essere “privato” dal detto ufficio come punizione per un crimine canonico presunto e provato a norma di diritto (can. 196 § 1)».
Pensare che i 4 cardinali abbiano commesso un «crimine» canonico, dice Peters «farebbe semplicemente ridere». Quindi, scrive, «rimane solo considerabile la possibilità che Francesco voglia trattare un cardinale che pone domande sul documento Amoris laetitia come una “causa grave” e rimuovere così quattro cardinali dall’ufficio cardinalizio (e eliminando così anche due elettori attualmente elegibili al prossimo conclave). Ma Francesco (che è l’unico a poter giudicare un cardinale, can. 1405 § 1, 2°) non ha detto una parola circa la rimozione di quattro cardinali dalla loro dignità e nemmeno circa la messa al bando di qualcuno di loro dal futuro conclave; finora queste sono soltanto speculazioni di Pio Vito Pinto».
Peters continua la sua riflessione considerando l’ipotesi (« contro ogni precedente e contro lo stesso buon senso») che il Papa possa sollevare i 4 cardinali per una «grave causa» e ricorda che «rimarrebbero ancora da onorare, ad ogni stadio del processo di rimozione, numerosi diritti di natura canonica garantiti espressamente per tutti i fedeli cristiani. Il diritto a “difendere legittimamente i diritti di cui godono nella Chiesa presso il foro ecclesiastico competente”, il diritto “di essere giudicati secondo le disposizioni di legge, da applicare con equità” e il diritto “di non essere colpiti da pene canoniche, se non a norma di legge” (can. 221). E si noti che privare qualcuno “della potestà, dell’ufficio, dell’incarico, di un diritto, di un privilegio, di una facoltà, di una grazia, di un titolo, di un’insegna, anche se semplicemente onorifica” costituisce una pene espiatoria per un crimine (can. 1336 § 1, 2°), perciò gli standard delle prove addotte devono essere davvero assai alte (can. 18)».
Il canonista conclude dicendo: mi «sfugge il modo per il quale qualcuno possa giungere alla conclusione che i quattro Cardinali rischiano di essere privati del loro ufficio. Nessuno, ultimi poi tra tutti i quattro Cardinali in parola, mette in dubbio la speciale autorità che un papa gode sulla Chiesa (can. 331) e nemmeno essi nutrono l’illusione che un papa possa essere forzato a dare una risposta alle questioni da loro avanzate. La mia impressione è che quattro cardinali, per quanto accoglierebbero volentieri una risposta papale, sono probabilmente contenti d’aver comunque posto in cantiere alcune questioni vitali in vista di un giorno nel quale sarà possibile che esse abbiano finalmente una risposta. Tuttavia essi potrebbero senz’altro esercitare il loro proprio ufficio episcopale di maestri della fede (can. 375) e proporre risposte fondate sull’autorità loro propria. Infatti, essi sono uomini, credo, preparati ad accettare anche la derisione e a soffrire l’incomprensione e la cattiva interpretazione delle loro azioni e dei loro motivi». Peters conclude dicendo di non ritenere quello che sta succedendo un «reale attacco contro i loro uffici o contro i loro possibili ruoli in una futura elezione papale».
Adam Loon Otter