E’ un campanello di allarme per il sistema giudiziario in Pakistan, “sta diventando una pratica diffusa in Pakistan chiedere ai detenuti non musulmani di convertirsi all’islam, per ottenere il rilascio”: lo dice all’Agenzia Fides Nasir Saeed, avvocato cristiano che guida l’Ong “Centre for Legal Aid, Assistance and Settlement” (CLAAS), impegnata nell’assistenza legale di molti cristiani accusati falsamente di blasfemia o di altri crimini.
“Ricordo il caso di Rubina Bibi – dice Saeed – in carcere per presunta blasfemia. Le fu detto con chiarezza che, se si fosse convertita all’Islam, le accuse sarebbero subito decadute. Ma la donna rifiutò e dopo un anno fu provata la sua innocenza”.
La pratica illegale è tornata alla ribalta delle cronache dopo che il viceprocuratore distrettuale di Lahore, Syed Anees Shah, è stato accusato da decine di cristiani di aver chiesto loro di convertirsi all’islam in cambio dell’assoluzione nel caso del linciaggio di due musulmani. I due furono uccisi nella violenza di massa che scoppiò due anni fa a Youhanabad, quartiere cristiano di Lahore. La violenza divampò il 15 marzo 2015, dopo l’attacco che i terroristi suicidi avevano sferrato davanti a due chiese, una cattolica e una protestante. Nel parapiglia generale i cristiani identificarono due musulmani come complici del crimine e i due furono linciati dalla folla inferocita.
Nei successivi raid della polizia nel quartiere, circa 500 cristiani furono arrestati come presunti autori del linciaggio e tre diversi processi furono avviati in tribunale. Molti di loro sono stati rilasciati su cauzione ma 42 sono stati condannati (vedi Fides 22 febbraio 2017). Secondo la ricostruzione di CLAAS, all’offerta del procuratore di cambiare religione, gli imputati sono rimasti in silenzio, tranne uno che ha detto d’istinto: “preferisco essere impiccato piuttosto che abbracciare l’Islam”. Il magistrato ha inizialmente negato di aver fatto questa offerta ma, dopo aver saputo dell’esistenza di una registrazione video, ha ammesso di averla pronunciata.
Saeed riferisce: “Non è una novità: alcuni degli accusati hanno raccontato di aver ricevuto la medesima proposta circa sei mesi fa, e di aver rifiutato. Gli imputati continuano a credere nell’indipendenza della magistratura: dal momento che non hanno commesso alcun crimine, hanno fiducia nella giustizia”.
“Tali vergognosi tentativi di confondere la giustizia con la religione – prosegue l’avvocato – sono preoccupanti: il governo dovrebbe prendere provvedimenti severi contro gli ufficiali pubblici che usano il ricatto e compiono un abuso d’ufficio. Urge una apposita legislazione per punire tali atti, dato che è compito del governo proteggere e promuovere la libertà religiosa nel paese. Il governo pakistano è a conoscenza del problema delle conversioni forzate all’islam, che toccano soprattutto ragazze cristiane e indù, è dunque responsabilità del governo fermare tali pratiche che violano la libertà di coscienza”.
Le minoranze religiose in Pakistan da anni chiedono un provvedimento che vieti la conversione forzata. Recentemente il Parlamento della provincia del Sindh, nel Pakistan meridionale, ha approvato una legge in merito ma, a causa delle proteste e delle obiezioni dei gruppi islamici, il governatore di Sindh non ha firmato il disegno di legge. (Agenzia Fides 1/4/2017)