«A proposito di Alfie e del suo “miglior interesse”: noi stiamo discutendo, e contestando, il fatto che si possa considerare per qualcuno il morire come il suo migliore interesse. Ma per Alfie (come per Isaiah) c’è stato un di più, che suscita domande e richiede chiarimenti, e cioè il modo in cui si è raggiunta la morte», ha scritto su Facebook la professoressa Assuntina Morresi, classe 1963, sposata, tre figli, autrice di più di 100 lavori già pubblicati su riviste scientifiche internazionali soprattutto nel settore della Chimica Fisica, e di più di cento contributi a congressi nazionali ed internazionali, attualmente docente di Chimica Fisica Avanzata nella Laurea Magistrale in Scienze Chimiche e Crioconservazione e Biobanche nella Laurea Magistrale in Biotecnologie Molecolari e Industriali dell’Università degli Studi di Perugia, membro del Comitato Nazionale per la Bioetica ed editorialista del quotidiano Avvenire.
«Abbiamo visto che Alfie non è morto subito, ma è sopravvissuto 5 giorni a un distacco improvviso e completo del respiratore (e insieme della nutrizione e idratazione, ripristinate dopo molte ore dal primo distacco). Dai racconti dei genitori stessi, e dalle cronache giornalistiche non smentite, sappiamo che la notte in cui il respiratore gli è stato staccato, i genitori si sono alternati facendogli la respirazione bocca a bocca, per aiutarlo a respirare, mentre il piccolo stava cambiando il colore dell’incarnato. E che dopo quell’alternarsi, dopo molte ore, al bambino è stato dato dell’ossigeno, su insistenza dei genitori, ma non in modo continuativo, in un primo momento solo con una mascherina e poi con le bombole di ossigeno e comunque, sempre secondo le cronache, il respiratore non è stato più rimesso in funzione. E d’altra parte Alfie ha dovuto aspettare quasi un giorno prima di essere di nuovo nutrito».
«Il team legale dell’Alder Hey ha precisato che “non era mai stato detto che la morte sarebbe stata istantanea” (mentre suo padre ha dichiarato “ci era stato detto che non sarebbe durato cinque minuti”).
Isaiah Haastrup, invece, un anno di età, ricoverato al King’s College Hospital di Londra, ha impiegato sette lunghe ore per morire, dopo che gli è stata interrotta la respirazione meccanica (contro la volontà dei propri genitori, e al termine di una lunga battaglia legale). Considerando che si parla tanto di umanizzazione della medicina, di alleanza medico-paziente, di cure palliative e di terapia del dolore, chiedo a tutti, anche a chi è sinceramente convinto che per Alfie fosse meglio morire: di quali protocolli medici stiamo parlando?».
«Faticare a respirare per ore, con brevi interruzioni dovute alla respirazione bocca a bocca fatta dai genitori, è forse una morte dignitosa?
L’ospedale ha dichiarato, sostanzialmente, di non aver mai detto che la morte sarebbe stata istantanea, allora ci chiediamo: quanto tempo pensavano impiegasse Alfie a morire?
Era stato messo in conto che l’agonia del bambino sarebbe potuta durare a lungo?
E quando una persona non muore subito, una volta sospesa la ventilazione meccanica, si mette in conto nei protocolli medici inglesi, la possibilità di una diagnosi sbagliata, e quindi di ripristinare i sostegni vitali?
Si può considerare tutto questo un modo per evitare la sofferenza? Sofferenza dei bambini, ma anche dei genitori?
La procedura seguita per Alfie, rientra nelle normali procedure di cure palliative, anche per chi ritiene che sia necessario interrompere la ventilazione artificiale, e anche la nutrizione? E da ultimo: anche chi pensa che il miglior interesse sia morire, ritiene veramente che il miglior interesse di questi bambini sia morire in questo modo? Non siamo forse davanti a un particolare surplus di inumanità? Non voglio polemiche, chiedo risposte».