Aurelio Porfiri è compositore, direttore di coro e scrittore. Ha pubblicato 19 libri e varie centinaia di articoli su riviste e blogs in Italia, USA e Cina. Le sue composizioni sono pubblicate in Italia, Germania, Stati Uniti, Francia e Cina. Ha svolto attività di musicista di Chiesa in varie Chiese e Basiliche Romane e per 8 anni in Macao (Cina). Tra le sue composizioni: Te Deum per soli, doppio coro femminile, ottoni e organo (edizioni Carrara); Missa pro defunctis per coro femminile a Cappella (Editio Ferrimontana); Magnificat per soprano, coro e orchestra (Editio Ferrimontana); Corpus Domini, Oratorio per soli, coro femminile e orchestra (Editio Ferrimontana). La Fede Quotidiana lo ha intervistato.
Innanzitutto, cos’è la musica sacra?
C’è da dire che non tutti sono d’accordo nel chiamarla “musica sacra”. C’è chi la chiama musica liturgica, musica rituale, musica per il culto e via dicendo. Comunque, usando qui la comune denominazione – musica sacra – diciamo che essa consiste nei repertori musicali per il servizio liturgico e che concorre agli stessi fini della liturgia stessa, la Gloria di Dio e l’edificazione e santificazione dei fedeli. Come ci insegna la Sacrosanctum Concilium al paragrafo 112: “il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne”. Quindi non un accessorio o un lusso della liturgia, ma una sua parte integrale. Per partecipare a questo altissimo fine, ne consegue che la musica deve essere di grande dignità artistica ed adeguata al compito altissimo per cui è preposta. Ho dato qui una interpretazione restrittiva di “musica sacra”, non comprendendo quei repertori su testi liturgici che però non possono trovare posto nel servizio liturgico, pur essendo di fattura artistica eccelsa. Si pensi a certe Messe o Vespri la cui musica durava ore e ore o era influenzata pesantemente da modelli profani. Del passato tanto si può usare, non tutto. Ma il discorso ci porterebbe lontano.
Quali sono dunque i modelli di riferimento?
Il magistero ha sempre indicato il canto gregoriano e la grande polifonia, specie quella della scuola romana del XVI secolo, come modelli riusciti di come la musica sacra dovrebbe essere per la loro speciale aderenza al testo liturgico. Ora, non si deve correre il rischio di cristallizzare i modelli, essi devono continuare ad essere fecondi anche come ispirazione per nuove soluzioni, che è diverso da avere la smania di novità. Così in fondo si è sempre mossa la grande tradizione nella Chiesa Cattolica, innovando progressivamente su quello che già esisteva. Il Concilio non ha detto nulla di diverso.
Come giudicare la situazione attuale della musica sacra?
Certamente non c’è da stare molto allegri. Veniamo da decenni di confusione, di riforma che invece di riformare ha deformato. Ecco che anche coloro che si trovano a gestire uffici liturgici, istituzioni musicali e via dicendo sono spesso il frutto di questa confusione. Alcuni hanno saputo trovare una via per sfuggire alla confusione, altri contribuiscono a crearne altra. Invece di innovare nella tradizione, si è innovato malgrado la tradizione, fino a giungere ad innovare senza la tradizione.
Confusione diceva, in che senso?
In effetti è una confusione non molto “confusa”, sembra che dietro l’apparente ricerca del nuovo a tutti i costi che fa sembrare la liturgia un continuo cantiere a cielo aperto, ci sia proprio questa volontà che non si possa vedere la bellezza originaria dell’edificio, se posso usare questa metafora, la tradizione. Sembra che la rimozione della tradizione sia un tratto distintivo di questi ultimi decenni. Ma c’è anche il rischio contrario, il rischio di coloro che usano la tradizione come un totem, di fatto inaridendola. Non si può strappare la tradizione al flusso vitale, o essa muore. La tradizione è una consegna che il perenne fa al tempo. Essa non è del tempo in senso stretto ma deve vivere in esso. Non dimentichiamo che la più grande creatrice di arte e cultura è stata proprio la Chiesa Cattolica, che cercava una via al nuovo ma con la guida della sua grande tradizione, come detto in precedenza. Quindi, non c’è novità senza tradizione, come non c’è tradizione senza novità. Lo scrittore e saggista austriaco Gerd-Klaus Kaltenbrunner ci avvertiva che coloro che vogliono veramente e sanamente conservare, devono “prendere dal passato non la cenere, ma il fuoco“.
Quali sono i pericoli più grandi per la musica sacra che lei vede all’opera in questo momento?
Io direi, parlando strettamente dei repertori e della mentalità che li ha prodotti, che ci sono state tre grandi correnti di pensiero, ancora oggi esistenti ed estremamente deleterie: il sentimentalismo – figlio delle rimasticature del Romanticismo, il riduzionismo – figlio di un pragmatismo devitalizzato e ridotto a mero funzionalismo, il pauperismo – imparentato al sentimentalismo e figlio di una concezione falsata del rapporto fra la liturgia e la povertà. Altrove ho sviluppato ulteriormente questi concetti parlando delle “cinque piaghe del canto liturgico”, riprendendo queste idee ed integrandole con altre.
Lei è stato in contatto con realtà liturgico musicali molto diverse, quella nordamericana, quella asiatica e, naturalmente, quella italiana. Nel nostro paese a che punto siamo?
Io credo che l’Italia ha risorse straordinarie di talento e creatività, purtroppo siamo bloccati nel pantano di situazioni che si trascinano da secoli. Io ho sempre molto insistito sul problema del clericalismo, che a mio avviso fa tanto male anche nel campo della musica sacra. Ricordiamo che i danni alla riforma liturgica sono stati fatti spesso da sacerdoti che volevano portare avanti una propria agenda di tipo progressista. Dovremmo avere laici che hanno il coraggio di affrontare i sacerdoti a testa alta, credo che i sacerdoti anche apprezzerebbero alla fine un sano confronto più che un vile ossequio, ma purtroppo viviamo in una cultura intrisa da secoli di clericalismo, per cui si da al sacerdote rispetto e riverenza, anche laddove non lo merita. Io non ho quasi mai incontrato sacerdoti che non ammettessero che questo clericalismo facesse più male che bene alla loro missione, ma purtroppo il sistema clericale è così forte che sconfiggerlo è praticamente impossibile. Mi fa piacere che Papa Francesco, come del resto aveva fatto Papa Benedetto XVI, denunci continuamente il clericalismo come un male enorme del cattolicesimo, ma poi anche lui può far poco per scardinarlo e ridurne l’impatto negativo.
Lei che farebbe?
Per me il sacerdote è l’uomo dei Sacramenti. Si prediliga sempre l’aspetto pastorale più che quello di carriera. Non dovrebbe essere per loro un lavoro primario stare negli uffici, fare i segretari ai vescovi o altre occupazioni in fondo secondarie: fate i preti, state nelle parrocchie, state nei confessionali. Certo, andate a cercare le persone dove sono, ma sempre come preti, non come colleghi d’ufficio. Se volete avere una carriera artistica o di altro tipo, non vi fate preti. Certo in passato abbiamo avuto tanti sacerdoti che hanno eccelso in tanti campi del sapere umano, ancora oggi ci sono. Ma in passato c’erano tantissimi sacerdoti, non si sentiva la mancanza se alcuni si dedicavano a tempo pieno ad altro. Oggi abbiamo bisogno del sacerdote che ci aspetta nel confessionale, che dice la Messa, che ci dirige spiritualmente. Ci si lamenta che non ci sono abbastanza preti per le parrocchie quando poi vedi preti in giro a fare tutt’altro. Si vuole valorizzare i laici? Ce ne sono tanti che possono svolgere mansioni non strettamente clericali oggi appannaggio solo di ecclesiastici, probabilmente anche meglio.
Quindi il sacerdote non può essere anche artista, professionista, studioso?
Non solo può ma, in un certo senso, deve. La persona va coltivata in senso olistico. Soltanto con due accorgimenti: primo, la cura pastorale, se ti fai prete, viene prima di tutto il resto, non è una cosa da svolgere dicendo solo una Messa alle 7 di mattina per le suore per poi scappare in ufficio. Il sacerdote deve essere l’uomo dei Sacramenti. Secondo, se svolge una attività professionale di qualunque tipo, non sia favorito per l’abito che porta ma sia messo allo stesso livello dei laici che posseggono qualificazioni adeguate. Questi privilegi che derivano dall’abito – se lo portano ancora – devono cessare di esistere. Ma io so che i miei sono meri sogni. Basta entrare di un metro in Vaticano per capire che il clericalismo non verrà mai sconfitto.
Lei ne parla anche come un problema per la musica sacra…
E per la liturgia! Io credo che abbiamo bisogno di laici che seguano la Chiesa nei suoi insegnamenti autentici, non i vezzi e le fantasie di alcuni, pur dotati di abito ecclesiastico. Bisogna avere il coraggio di dire no, di prendersi gli insulti e reagire, anche denunciando. Ma per come stanno andando le cose, le prospettive non sono rosee. Si va verso una convivenza forzata di due visioni quasi opposte della musica sacra. Con una che domina e l’altra che subisce.
In effetti anche l’ambiente della musica sacra sembra molto avvelenato….
Per carità! Anche io mi prendo la mia dose di insulti se mi permetto di esprimere opinioni, cosa che faccio frequentemente. Ora, dissentire va bene, ma gli insulti proprio no. Oggi, grazie a Dio, ci sono leggi che proteggono dalla diffamazione anche online. Si denuncino coloro che diffamano, pur se anonimi (anonimi per modo di dire, si risale facilmente alla fonte dell’insulto) così che questi poveretti possano smettere di usare la musica sacra, la religione, la liturgia, per sfogare mali e problemi che hanno sicuramente ben altra causa interiore e ben altro disagio psicologico. Non nego che il nostro sia un ambiente avvelenato, c’è anche una ragione che si collega con il clericalismo: proprio i pochi spazi per l’attività dei laici creano frustrazione, anche risentimento. Io capisco questa frustrazione e risentimento, tutti l’abbiamo provata in un certo momento della nostra attività. Ma non capisco e non giustifico l’abitudine di coloro che vigliaccamente, anonimamente, si mettono ad insultare chiunque per sfogare il proprio risentimento. Non è questo il modo di migliorare le cose. Certo, vedere che un qualunque seminarista ti passa davanti dopo che tu hai dedicato decenni di vita e risorse nel diventare un musicista migliore per la liturgia fa male, molto male. Ma la soluzione non è sfogarsi con colleghi che sono sulla tua stessa barca.
Sembra un quadro molto negativo…
In realtà, ci sono musicisti giovani o relativamente giovani molto preparati da noi in Italia. Purtroppo, quando mi capita di parlare con loro, la domanda che più spesso mi viene rivolta è di come poter andare a lavorare all’estero. Oramai si è accettato che da noi la strada è sbarrata. Come ho detto, la nostra situazione è veramente difficile, il sistema clericale non è facile da cambiare. E’ una battaglia quasi disperata. La cosa tragica è che saremmo i migliori al mondo per creatività e talento, anche nella musica sacra. Purtroppo combattiamo con i nostri ritardi culturali anche in seno alla Chiesa Cattolica. Ma se dovessi, potrei fare decine di nomi di ottimi, in alcuni casi eccelsi, compositori italiani i cui repertori anche in lingua vernacolare sarebbero veramente un toccasana per le nostre attuali liturgie. Purtroppo non vengono fatti passare e non vengono promossi adeguatamente.
Ma non è buono dare a tutti la possibilità di suonare in Chiesa?
Facciamo attenzione a questo falso concetto di uguaglianza: essa è una condizione di partenza, non di arrivo. Mi spiego: tutti possono avere la possibilità di formarsi in modo che poi i migliori possano prevalere, quindi uguali opportunità per tutti di partenza. Ma non che tutti, qualunque sia la loro preparazione, devono per forza fare qualcosa. Questo è un concetto tipicamente progressista, che fa disastri. Se ti prepari puoi accedere a posizioni sempre migliori, ma se non ti prepari non hai diritto a metterti a suonare o dirigere in Chiesa perché “siamo tutti uguali”. La realtà è che non siamo tutti uguali negli esiti anche se dobbiamo essere uguali nelle opportunità di partenza
Ma non tutti possono andare in Conservatorio….
Certamente: chi non può andare in Conservatorio – non sempre e non per tutti la strada migliore – faccia corsi, si metta nelle mani di un Maestro, studi, legga i documenti del Magistero, diventi un conoscitore del grande repertorio della musica sacra. Ci sono ottimi musicisti per la liturgia che non sono passati dal diploma del Conservatorio, perché non ne avevano avuto l’occasione. Magari averne dovunque! Ma un percorso di studio è indispensabile, che conduca al diploma o meno. Il pericolo è il volontarismo dilettantistico che è un vicolo cieco. Che si incoraggino anche coloro che sono “dilettanti” a partecipare, ma sempre sotto la guida di un Maestro preparato che li formi e che gli faccia gustare le bellezze del vero canto liturgico.
Lei ha pubblicato un nuovo testo, “Messa in-canto”. Ci può spiegare di che si tratta?
E’ un libro in cui riprendo articoli pubblicati nel tempo sulle parti della Messa nella forma ordinaria del rito romano, breve introduzioni all’introito, all’offertorio e via dicendo che ne mettono in risalto le possibilità musicali. Io che passo per un musicista tradizionalista e conservatore cerco di affrontare questi temi con apertura mentale. Ho valutato molto positivamente quello che c’è nei lavori di studiosi che non sono certo sulla mia stessa lunghezza d’onda, senza avere preclusioni ideologiche. Questo per fare in modo che la Messa, da “Messa in canto” divenga “Messa incanto”, cioè la sua bellezza possa ancora conquistarci alla Bellezza di Dio.
Lei dirige una rivista in lingua inglese su musica e liturgia, Altare Dei. Che ci può dire?
Proprio per le difficoltà nel nostro paese che ho precedentemente elencato, io penso che la rinascita del buon gusto e del buon senso liturgico, verrà dal mondo anglosassone, che mi sembra più vivace intellettualmente e meno schiavo del clericalismo, per evidenti motivi culturali. Questa rivista digitale è un ponte fra il nostro mondo e il loro mondo, un luogo di scambio per fare in modo che loro conoscano meglio le nostre problematiche e noi possiamo conoscere meglio le loro. Il primo numero di questa rivista che esce ogni due mesi è stato acquistato in Italia, Germania, Canada, Stati Uniti, Australia, Brasile, Nigeria e via dicendo. In ogni numero c’è un inserto musicale con una decina di pagine di musica sacra. Il secondo numero vedrà la luce in questo mese, gennaio 2017. Insomma, anche se tra molte difficoltà, tento di andare avanti.
Condivido quanto questo scritto asserisce sempre con la speranza
Alla musica il compito di farci pregustare, nella nostra affannata vita terrena, il paradiso e l’eternità.”
Lino Liviabella (1957)
Condivido quanto l’importante articolo asserisce sempre con la speranza che il miracolo della musica sacra torni a meravigliarci e a illuminarci.
Lucio Liviabella