Cento anni fa nasce a Roma Giulio Andreotti.
Andreotti, che è stato una delle figure centrali del sistema politico italiano, più volte Presidente del Consiglio e ministro, è stato un grande protagonista in Parlamento di tutte le battaglie politiche che si sono svolte in Italia dal 1945 alla sua morte.
Andreotti ha fatto parte della Consulta Nazionale all’Assemblea costituente, seguita dall’elezione a parlamentare dal 1948 al 1991 (nelle file della Democrazia cristiana). Poi è stato nominato senatore a vita.
Nel suo passato, c’è stato anche un celebre processo a Palermo (durato 11 anni) per concorso esterno in associazione mafiosa concluso con l’assoluzione per i fatti successivi al 1980 e la dichiarazione di non luogo a procedere per i fatti anteriori.
Il “Divo Giulio” (uno dei tanti soprannomi che lo hanno accompagnato), con un’intelligenza non comune e un’ironia sbalorditiva, acuta e pungente, è stato un cattolico a tutto tondo. Non si perdeva, infatti, una Santa Messa e partecipava al Santo Sacrificio ogni giorno. Da cattolico rendeva concreta l’idea della politica concreta, sobria nei toni e nei giudizi ma sempre disponibile al dialogo anche con le parti sociali e con corpi intermedi della società italiana.
Rispettoso del senso dello Stato e della Costituzione, proprio perchè cattolico, Andreotti ha collaborato profondamente a consolidare il ruolo e la presenza internazionale dell’Italia.
“Sono un cattolico romano”, diceva di se. “Ho visto e frequentato le catacombe, i segni cristiani mi hanno colmato sin da bambino. Abito in corso Vittorio sul fiume e io dalla mia stanza da letto vedo le finestre del Papa, da un lato, e dall’altro Castel Sant’Angelo. So che il Papa alle 11 esatte dorme, perché si spegne la luce in Vaticano. Tutto questo finisce per essere un privilegio: mi rendo conto che sono stato formato alla memoria dei primi cristiani, a vedere come questo albero è nato su enormi sacrifici. Questo comporta grandissime responsabilità, però porta anche delle certezze. Come questo nel conto finale servirà non so. Ma ognuno di noi deve fare più affidamento sulla misericordia di Dio che sul proprio libretto di lavoro, almeno io penso così”.
Nel giorno del centenario dalla nascita di Giulio Andreotti, emergono novità sul suo pensiero politico. A pronunciare nuove rivelazioni è la figlia Serena, intervistata dalla rivista In Terris.
“Andreotti era un padre molto particolare: affettuoso, attento ma anche spesso assente per via dei numerosi impegni istituzionali. Abbastanza lontano dal ritratto che ne ha disegnato il film Il Divo”, ricorda la figlia descrivendo il padre dal punto di vista familiare.
“Mio padre era molto credente, andava a Messa tutti i giorni e chiedeva sempre dove fosse una chiesa per partecipare alla liturgia. Proprio per questo ebbe una pena enorme nell’aver firmato la Legge sull’Aborto del 1978. Nonostante la firma fu dettata dalla ragion di Stato, l’aver visto delle ecografie ostetriche mostrate dal professor Bompiani lo colpirono al punto che si pentì”. “Mio padre riteneva fondamentale studiare per non improvvisare mai in qualsiasi argomento. Molto importante era anche tenere un tono comunicativo medio, per trattare avversari e amici con rispetto e pacatezza. Sono convinta che non gli piacerebbe per niente la politica di oggi, ma non si tratta di una situazione solo italiana: Andreotti era un convinto europeista, la deriva che ha preso oggi l’Europa sarebbe per lui motivo di dolore”.
Roberto Rotondo, sempre su Interris ha ricordato l’amicizia di Giulio Andreotti con alcune delle personalità più conosciute del Novecento: La Pira, don Mazzolari, don Giuseppe Canovai, don Zeno Santini e don Gnocchi.
Il sette volte premier ha intessuto anche relazioni amichevoli con vari Pontefici.
“Giulio Andreotti conobbe Angelo Roncalli perché quest’ultimo era grande amico e compagno di studi dello zio di sua moglie, monsignor Belvederi. Dunque, i due si conoscevano da ben prima del Conclave del 1958. Roncalli aveva una grande ammirazione per Andreotti come si vede chiaramente dai toni usati nei documenti scritti al tempo in cui il futuro Giovanni XXIII era Arcivescovo a Venezia. Andreotti apprezzò il Papa Buono per il modo in cui fu capace di far passare, durante il suo Pontificato, concetti difficili con un’immediatezza senza precedenti. Al momento dell’elezione, Andreotti stimava Roncalli per essere stato un nunzio in grado di districarsi in situazioni molto difficili e un Arcivescovo dotato di un fortissimo spessore dottrinale. Quindi, non lo considerava certo uno sprovveduto. Quando andava a Venezia, il presidente si fermava sempre dall’allora Patriarca e lo aiutò anche per la costruzione di un seminario”.
Paolo VI fu fondamentale dal punto vista spirituale e politico per Giulio Andreotti e per tutta la sua generazione fucina. Il politico Dc conobbe Giovanni Battista Montini nei primi giorni in cui si iscrisse all’università: gli fu presentato da monsignor Colonna. Montini diventò il mentore di Andreotti: fu lui a segnalarlo a De Gasperi, nell’ambito di quell’operazione – concordata con Pio XII – che portò alla nascita del gruppo dirigente della Dc, connettendo i giovani fucini con i vecchi popolari. Quando Giovanni Battista Montini divenne prima Arcivescovo di Milano e poi Papa, questo rapporto di devozione ed affetto – ma anche di collaborazione e fiducia – continuò.
Per tutta la vita Andreotti mise in pratica un insegnamento avuto dalla madre e dalla zia: non si vuole bene a un Papa, ma si vuole bene al Papa. Questa era una sorta di sua legge universale che rispettò sempre, a prescindere da chi sedesse sul Soglio di Pietro.
Giovanni Paolo II, Papa Wojtyla, si rivolse ad Andreotti sin da subito chiamandolo “diletto figlio”. Giovanni Paolo II ebbe per tutta la vita una grande stima dello statista romano e non lo nascose nemmeno durante il periodo più difficile, quello dei processi. Anzi, il giorno della beatificazione di Padre Pio nel 1999, Wojtyla incoraggiò pubblicamente l’allora senatore a vita.
Andreotti non dimenticò il sostegno continuo di Giovanni Paolo II e quando arrivò la sentenza definitiva di Palermo nel 2003, la prima lettera la scrisse proprio al Santo Padre per ringraziare lui e Madre Teresa Calcutta per la vicinanza. Infatti anche la santa suora albanese lo sostenne e gli profetizzò che sarebbe stato assolto.
Anche il Papa Emerito Benedetto XVI apprezzò Andreotti. Tra i due ci fu sempre una stima ed un interesse reciproco molto forte. Sentimenti che divennero ancora più intensi negli anni in cui uno era cardinale e l’altro senatore a vita. Ratzinger scrisse molto spesso articoli per “30 Giorni”, la rivista che Andreotti diresse e di cui fui vicedirettore. L’ultima cosa che ha fatto Ratzinger da cardinale prima della morte di Wojtyla fu proprio l’introduzione di un libretto di “30 Giorni” dal titolo “Chi prega si salva”: si trattava di una sorta di vademecum che raccoglieva tutte le preghiere più semplici della vita cristiana.
30 Giorni intervistò l’allora Arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio varie volte. Andreotti ebbe modo di incontrare il cardinal Bergoglio e ne rimase colpito. L’allora cardinale argentino venne in due occasioni a celebrare le cresime a San Lorenzo fuori le Mura dove c’era un sacerdote che era l’anima spirituale di 30 Giorni. Andreotti venne tutte e due le volte. Nella prima visita, il senatore a vita rimase talmente colpito dalla semplicità e dalla fede del porporato che volle conoscerlo.
Va bene l’affetto filiale, ma non può giustificare le cose assurde che ho appena letto…
Andreotti si sarebbe pentito della firma _dopo_ averla apposta, quando gli fecero vedere delle ecografie? Ma fatemi il piacere! Prima di tutto un cattolico non ignorante – e certo dunque non Andreotti – doveva sapere già prima che l’aborto è roba da macellai, senza bisogno di vedere le ecografie… E poi io all’epoca avevo otto anni, ma mi ricordo benissimo che gli anti-abortisti non si facevano problemi a far vedere immagini “forti”, e qui parlo della campagna elettorale _prima_ del referendum… Andreotti non poteva non conoscerle. È una scusa puerile quella accampata dalla signora.
Quanto poi al cosiddetto “moderatismo”, esso è stato la peggior cancrena del cattolicesimo. Proprio quel moderatismo ha subito archiviato l’aborto (e altro) come battaglie di retroguardia (tant’è che gli stessi antiabortisti hanno subito smesso di usare le immagini troppo crude), perché sennò i toni sarebbero stati troppo divisivi. Lo stesso motivo che ci ha inflitto, come Stato e come Chiesa, le peggiori cose che vediamo ancora oggi, tutte subite come compromesso (sempre al ribasso, s’intende).
Che il signore li perdoni, ma i democristiani – di cui Andreotti è l’emblema – sono stati una delle peggiori sciagure del cattolicesimo. Che poi andassero ogni giorno a Messa, fatti loro… Comunqe Cristo ha detto che non si salverà chi dice sempre “Signore Signore…”, ma chi compie la Sua volontà.
Il nome più bello attribuito ad andreotti è stato belzebu’. Ricordo falcone, borsellino, moro, pecorella, papa Luciani. Potere, religione, massoneria, mafia, Cia, gladio, p3, Licio Gelli, sindona, marcinkus. Troppe cose non tornano.
Legge 194/1978 a firma del presidente del consiglio dei ministri: Giulio Andreotti. Quanti bambini ha ucciso nel grembo materno; ha tradito Gesù Cristo, sposando la legge del mondo con quella firma.