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Il Vangelo di Domenica 13 agosto 2023 – XIX Domenica per annum

Dal vangelo secondo Matteo 14, 22-36

In quei giorni, dopo che ebbe saziato la folla, Gesù ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull’altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. 
Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù. La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: «E’ un fantasma» e si misero a gridare dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma per la violenza del vento, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!». Compiuta la traversata, approdarono a Genesaret. E la gente del luogo, riconosciuto Gesù, diffuse la notizia in tutta la regione; gli portarono tutti i malati, e lo pregavano di poter toccare almeno l’orlo del suo mantello. E quanti lo toccavano guarivano.   

COMMENTO DI DON RUGGERO GORLETTI

Chissà cosa avranno pensato i discepoli quando si trovavano in mezzo al lago di Tiberiade, in balia di una tempesta per tutta la notte, dopo che il Signore li aveva obbligati a prendere la barca e ad attraversare il lago, e Lui se ne era andato. Chissà cosa avrebbero pensato poi se avessero saputo che Egli, mentre loro combattevano contro la furia della tempesta a rischio della vita, se ne stava sul monte a pregare. Il minimo che avrebbero potuto pensare sarebbe stato: «perché se ne sta là a perdere tempo? Non potrebbe venire a darci una mano?».

In effetti che la preghiera sia una perdita di tempo è un pensiero molto diffuso anche tra i cattolici praticanti. Ricordo qualche tempo fa, un signore, un turista, mi si avvicina, e come spesso succede quando qualcuno incontra un prete, racconta di avere avuto dei parenti religiosi. Tre zie suore, ormai morte da tempo: una lavorava in un ospedale, l’altra in un asilo, la terza era monaca di clausura. E mi diceva: «le prime due sì che hanno fatto qualcosa di utile nella loro esistenza, hanno davvero servito il loro prossimo. Ma la terza, la monaca di clausura, che cosa ha fatto in tutta la sua vita?».

È un pensiero, dicevo, molto comune anche tra i cattolici praticanti, ma non è il pensiero di Gesù, almeno stando a quanto ci dicono i Vangeli. Vediamo che spesso Gesù, dopo giornate di intenso lavoro a vantaggio di altri, si ritira in un colloquio intimo, totale con il Padre. È sufficiente questa breve osservazione a capire quanto siano vuote, inconsistenti e superficiali le opinioni di chi ritiene tempo perso la preghiera.

Talvolta si dice: la vera preghiera consiste nel fare bene il proprio lavoro, nel fare del bene agli altri, nell’esercitare con animo retto la carità, impegnandosi per la giustizia.

Ebbene, a Gesù questo non bastava: tutta la sua vita era un atto di donazione al prossimo, eppure Egli non riteneva che la sua giornata fosse completa senza questo colloquio lungo, personale, intimo, con il Padre.

Certo, chi passasse tutto il suo tempo a pregare e non facesse il proprio dovere e si dimenticasse di aiutare gli altri, non sarebbe nel giusto, e c’è da dubitare della autenticità della sua preghiera. Ma neppure è nel giusto chi non trova mai il tempo di adorare, di ringraziare, di implorare il suo Creatore. Le due cose non si escludono, anzi, si richiamano a vicenda.

Si sente anche dire: io posso rivolgere il mio pensiero a Dio anche durante le occupazioni normali della giornata. Tutta la mia giornata diventa così una preghiera, senza che sia necessario riservare uno spazio alle pratiche religiose.

Ma neanche questo è giusto: l’esempio di Gesù ci mostra come anche questa seconda opinione sia fallace. Siamo sinceri: alle persone a cui teniamo riusciamo a riservare un po’ di tempo per stare con loro. Se a Dio non riusciamo a riservare neppure dieci minuti in un giorno, un’oretta scarsa alla settimana, è perché non ci interessa, è ai margini della nostra vita: si potrebbe dire, con le parole di una canzone di qualche anno fa, «tra i vari interessi che hai, dimmi che posto mi dai!».

Negli ultimi anni si è anche diffusa una teoria secondo cui la vera preghiera sarebbe quella comunitaria, mentre la preghiera personale sarebbe un devozionismo intimistico, sentimentale, dunque un modo non autentico di pregare.

Abbiamo visto che Gesù non la pensava così: certamente la preghiera comunitaria, e massimamente quella liturgica, hanno un’importanza fondamentale nella vita del cristiano: è importante partecipare attivamente alla preghiera della comunità. Ma senza la preghiera personale, senza un colloquio a tu per tu con Dio, la preghiera liturgica rischia di diventare un inutile parlare, un vuoto ritualismo, privo di anima.

Il secondo quadro è quello della barca: gli apostoli, imbarcati nel pomeriggio, vengono sorpresi da una tempesta durante la notte. È un momento pieno di angoscia e di incubi, e il Signore non c’è.

Il Signore si presenta sul fare del mattino. Indugia molto ad intervenire. Sono i ritardi di Dio, che molti di noi avranno sperimentato: perché non mi aiuta in questa circostanza difficile, perché mi ha abbandonato? Le nostre invocazioni sembrano trovare il Cielo sordo, o perlomeno distratto. Ma il Signore prima o poi arriva, non ci abbandona. Ce lo ha promesso: «Coraggio, non abbiate paura». «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo». Il Signore non ci lascia soli. L’orizzonte a cui dobbiamo guardare non è quello di questa vita, ma quello della vita eterna. In questa vita non abbiamo la garanzia che le cose ci vadano bene. Il Signore non ci dimentica, non dimentica la nostra felicità, ma il suo orizzonte non sono i pochi o tanti anni che viviamo su questa terra, ma l’eternità.

Un’ultima annotazione la merita l’episodio di Pietro: passa dall’entusiasmo spavaldo e generoso alla paura insensata. Il suo desiderio di essere vicino al Signore lo porta a fare un atto superiore non solo alle proprie forze, ma anche alla propria fede. E il Signore lo lascia fare, non pone limiti alle sue aspirazioni. Lo aiuta a rendersi conto della sua debolezza e di basarsi con umiltà non sulle proprie capacità ma sull’aiuto del Signore. Ci riconosciamo un po’ tutti in Pietro. La nostra vita e la nostra fede conoscono l’alternarsi della sicurezza e dell’inquietudine e della paura. Ma non temiamo: la mano del Signore c’è anche per noi. Anche a ciascuno di noi è rivolto il rimprovero di Gesù, che scuote e ridona fiducia: «uomo di poca fede, perché hai dubitato?».

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