“I tradizionalisti che denunciano, con asprezza e polemiche, introduzioni di stranezze nelle celebrazioni e nell’uso dello spazio liturgico sovente lo fanno con ragione”. Parola di Enzo Bianchi che certo tutto si può definire tranne che un “tradizionalista”.
Il fondatore della Comunità di Bose lo ha scritto su Vita Pastorale di Febbraio, all’interno della sua rubrica “Dove va la chiesa”.
Nell’articolo, intitolato “L’esilio del vangelo dalle nostre chiese”, Enzo Bianchi denuncia la “marginalità assunta, in questi ultimi anni, dalla liturgia all’interno della vita ecclesiale” e sottolinea che “i presbiteri non hanno molto tempo da dedicare” alla liturgia” “e i fedeli non la sentono più essenziale, non la ritengono più la fonte del loro agire quotidiano nel mondo. Va detto con franchezza: la sterilità della comunità cristiana nel produrre e adottare musiche e canti degni della liturgia cristiana, gli abusi praticati per rendere la liturgia mondanamente attraente e spettacolare, la sciatteria che non conosce l’ars celebrandi e la necessaria bellezza dei riti, rendono a volte la liturgia, non più Vangelo celebrato, ma un insieme di parole e gesti che non genera né fede, né speranza, né carità”.
Tuttavia la soluzione proposta da Enzo Bianchi è, a ben vedere, proprio quella che ha portato al disastro liturgico odierno. Infatti Bianchi non vuole il rilancio della Liturgia di sempre ma parla “di orazioni e formule che, oggi, sono incapaci di far ardere il cuore di chi le ascolta o le ripete. Nella vita ecclesiale si registrano scollamenti e anche vere e proprie contraddizioni tra il linguaggio teologico-pastorale della catechesi, della predicazione con il linguaggio liturgico di testi che rispecchiano antichi modi, perlopiù medioevali, di sentire e vivere la relazione con Dio nella fede e nella preghiera”. Quindi, per Bianchi anche la liturgia deve piegarsi alla pastorale.
Bianchi, correttamente, spiega che “ascolto, silenzio, parola, canto, meditazione sono essenziali alla liturgia cristiana” ma spiega che la liturgia cristiana per ottenere questo “deve essere anche segno di fraternità, gratuità, condivisione, antidoto alla solitudine e all’isolamento dominanti nella nostra società”.
Per Bianchi la liturgia è sempre più “evasa dalla maggior parte dei cristiani, specie i più giovani” (forse non ha mai visto i partecipanti alle liturgie Vetus Ordo, in gran parte proprio giovani). E, tanto per non farsi mancare comunque un attacco alla liturgia tradizionale aggiunge che esistono “piccoli ghetti religiosi e liturgici, che si sentono custodi di un museo, non di una tradizione viva che, come una fonte, può dissetare gli uomini e le donne di oggi. Una liturgia che è valutata non tanto sulla sua capacità di far ardere il cuore, quanto sulla sua capacità di apparire solenne e religiosa, fornisce il senso di un’appartenenza sicura ma superficiale. Se la liturgia non è Vangelo celebrato, l’esistenza cristiana è ridotta a pratica rituale, che spinge a vivere senza un vero riferimento alla liturgia stessa, senza la sorgente della comunione con il Signore”.
Verso la fine del suo intervento Bianchi si occupa anche dei cristiani incoerenti che “disertano le assemblee liturgiche ma tentano di vivere sempre di più ‘le spiritualità’, fabbricandosi itinerari ‘fai da te’ […] con un riferimento al divino, non al Dio di Gesù Cristo” (sarebbe meglio, teologicamente, usare un’altra formula, caro Bianchi: il Dio incarnato che è Gesù Cristo…). Bianchi correttamente spiega che i cristiani fai da te spesso vivono una “spiritualità concepita come etica terapeutica, tesa al benessere personale, allo stare bene con sé stessi e con gli altri nel quotidiano. Una spiritualità che dà conforto, ma non sta più sotto il primato della grazia e della salvezza che solo Dio può dare”.
“Il venir meno della qualità ‘fontale’ della liturgia nella vita dei cristiani provocherà debolezza della fede per molti”, profetizza facilmente Enzo Bianchi. “Cattolici senza vera appartenenza alla Chiesa eucaristica, anestetizzati nei confronti del Vangelo. E, sempre di più, altri percorreranno sentieri di spiritualità che ispirano l’autosalvezza, senza il primato della grazia e senza la dimensione escatologica”.
Da molto tempo non mi interessano le opinioni del monaco di Bose, Enzo Bianchi, che peraltro conosco per la pubblicità perfino smodata ed ossequiente di cui sono fatte oggetto. Ricordo la delusione che ho provato più di quarant’anni fa, quando ne ho ascoltato una conferenza in una Parrocchia di Venezia-Lido (Ca’ Bianca, se ricordo bene) nella quale sosteneva che la legge sul divorzio avrebbe promosso una maggiore responsabilità nello scegliere il matrimonio sacramentale. Prendeva così le distanze dall’Episcopato e dalle iniziative dei cattolici senza vedere la secolarizzazione della famiglia che ne sarebbe seguita e la fragilità che ora notiamo anche in quelle cattoliche. Non mi meraviglierebbe se oggi accettasse l’opportunità del divorzio anche nella dottrina della Chiesa. Lo vedo poi equivoco nel sostenere che non si dovrebbe giudicare l’omosessualità, non avendone Gesù mai parlato. Infine, trovo alquanto ingenuo che divida ancora i Fedeli in “tradizionalisti” (nel nostro caso quelli che denunciano abusi e sacrilegi e chiedono il ricupero del “sacro” nella liturgia!) opponendoli ai “progressisti”: una lettura ecclesiale e sociale del tutto secolarizzata, impropria, insufficiente e obsoleta. Gli riconosco invece di averci trasmesso gran parte del prezioso patrimonio della Chiesa Ortodossa e del monachesimo orientale. Gliene sono grato, ma veda di non sciuparlo credendo di migliorarlo… “modernizzandolo”!