Di Padre Giuseppe Agnello*
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IV Doménica di Quarésima, anno A, 19 Marzo 2023
1 Sam 16, 1b.4.6-7.10-13; Sal 22/23; Ef 5, 8-14; Gv 9, 1-41
La III, la IV e la V Doménica di Quarésima del ciclo A, ci condúcono a riflèttere sul grande dono del battésimo e su ciò che esso detèrmina nella vita del credente. I brani del Vangelo di san Giovanni, infatti, sono brani battesimali, che da sempre i Padri della Chiesa hanno usato e letto come un itineràrio che conduceva il catecúmeno al fonte della sua rigenerazione. Soprattutto il brano di oggi, del cieco nato, era il Vangelo che si commentava ai candidati al battésimo, prima di ricévere il Credo. Ricapitoliamo in chiave battesimale questi brani delle tre Doméniche che precédono la Settimana Santa. Doménica scorsa, alla Samaritana, Gesú parla del dono del battésimo attraverso l’immàgine dell’acqua che zampilla per la vita eterna; questa Doménica ne parla come illuminazione della vista interiore, che conduce a dire: «Credo, Signore» (Gv 9, v.38); Doménica pròssima ne parlerà come vita che viene da Lui, che è la Risurrezione. Vedremo infatti la risurrezione di Làzzaro, un morto da quattro giorni, in un contesto in cui come sempre ci sono gli accusatori di Gesú che dícono: «Egli ha aperto gli occhî a quel cieco. ¿Non poteva anche fare qualche cosa perché questi non morisse?» (Gv 11, v.37). Ritornerà la presunzione che abbiamo visto nel Vangelo di oggi e che ora ci proponiamo di approfondire, tenendo presente che Gesú è colui che ci dona l’acqua viva, cioè lo Spírito Santo; Gesú è la luce del mondo; e sempre Gesú è quella vita eterna che si vorrebbe raggiúngere senza di Lui con clonazioni, ibernazioni, adrenocromo e altre aberrazioni del nostro tempo.
Oggi tutte le letture ci pàrlano della luce che viene dal Battésimo e che ci fa illuminati da Gesú, e non da teorie o patti segreti con la pretesa di potenziare la nostra umanità. Solo Gesú e la fede in Lui sono gli Illuminatori delle persone, della stòria e del mondo. Lo abbiamo sentito dalla bocca del Salvatore: «Finché io sono nel mondo, sono la Luce del mondo» (Gv 9, v.5). E san Pàolo lo conferma agli Efesini: «Fratelli, un tempo eravate tènebra, ora siete luce nel Signore» (Ef 5, v.8). Questo ci fa tristemente comprèndere che il mondo è nel búio piú denso della sua stòria, della ragione, della morale, della cultura e della política, per questo motivo: perché vuole cacciare via da ogni ambiente, da ogni àmbito e da ogni nazione Gesú Cristo e il suo insegnamento. Ogni volta che il mondo si esalta di sé stesso e delle sue “conquiste di civiltà”, sprofonda sempre di piú nella cecità: diventa orbo, anche se crede di vedere. È abbastanza noto come gli Illuministi chiamàssero sècoli buî o Medioevo, i sècoli in cui la Cristianità ha prodotto le università e le cattedrali gòtiche; ma è altrettanto noto come questi dotti del Settecento, che hanno ricevuto i còdici della cultura clàssica pròprio da quel Medioevo che disprezzàvano, con il loro pensiero di “luce”, in opposizione aperta a Cristo, hanno solo prodotto ateismo, Rivoluzioni, immoralità, stragi, e terrore. Questo perché rèstano per sempre vere queste parole di Gesú a tutti i presuntuosi di ogni tempo: «Se foste ciechi, non avreste alcún peccato; ma siccome dite “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane» (Gv 9, v.41). E in effetti la stòria del cieco nato guarito da Gesú, e processato dalla gente e dai farisei, è la drammatizzazione di questa verità: Gesú dà la vista a chi lo accόglie e làscia ciechi coloro che lo rifiútano; dà saggezza e acutezza di ragionamento a chi si ritiene ignorante; mentre rende ridícoli e senza autorità coloro che pènsano di sapere tutto. Per tre volte abbiamo visto il cieco nato, ora guarito, confessare la sua ignoranza:
al versetto 12: «Gli díssero: “Dov’è costui?”. Rispose: “Non lo so”»;
al versetto 25: «Se sia un peccatore non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo»;
al versetto 36: «¿Chi è, Signore, il Fíglio dell’uomo perché io creda in Lui?». Per tre volte, di contro, i farisei mòstrano di sapere chi sia Gesú, ma in realtà manifèstano solo una grande cecità da presunzione; una vista tappata dall’invídia e dalla scienza senza l’umiltà:
al versetto 16: «Quest’uomo non viene da Dio perché non osserva il sàbato»;
al versetto 24: «Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore»;
e al versetto 29: «Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio, ma costui non sappiamo di dove sia». Il risultato di questa contrapposizione tra un ex cieco mendicante e i dotti accusatori che lo càcciano fuori, è che il primo mostra la sua intelligenza e il suo ancoramento nella realtà; gli altri mòstrano di avér perso di vista la giòia e la prodigiosità di quello che è accaduto: «Da che mondo è mondo, non si è mai sentito che uno àbbia aperto gli occhî a un cieco nato» (Gv 9, v.32). Colui che gènera questa distinzione è ovviamente Gesú, che dona la luce, fa il miràcolo della vista ricuperata, ma molto piú conduce alla verità tutta intera chi cerca sinceramente la verità, senza la spavalderia di sapere già tutto. Il cieco nato che ora vede è stato capace di dire: «Credo, Signore» (Gv 9, v.38), perché ha anzitutto saputo fare memòria di ciò che gli è accaduto, ubbidendo a Gesú: «Io sono andato [nella piscina di Síloe], mi sono lavato e ho acquistato la vista» (v.11).
L’umiltà del battezzato è la porta da cui entra la luce di Dio, dal giorno del battésimo in poi. Per non chiúdere mai questa porta, però, dobbiamo sempre gridare col Salmo 17: «Tu, Signore, sei luce alla mia làmpada; il mio Dio rischiara le mie tènebre» (v.29).
Queste parole dovrèbbero diventare le parole della scienza che vuole giovare alla salute della gente; le parole della cultura che vuole incivilire l’uomo nella sua vita sociale; le parole della política che vuole garantire la pace e la giustízia; le parole dell’arte che vuole produrre bellezza; le parole dell’informazione che vuole servire davvero la verità. Se, invece, a guidarci saranno le parole: «Noi vediamo!», come abbiamo fatto esperienza in anni a noi molto recenti, il Vangelo ci annúncia fin d’ora l’èsito di questa presunzione: il cieco che vuole guidare un altro cieco, cadrà con lui nella stessa buca» (Cfr Lc 6, v.39).
Affidiàmoci, caríssimi, di tutto cuore a san Giuseppe, che ha evitato a Gesú e Maria tutti i perícoli del suo tempo, avendo contínua luce da quel Signore di cui fu perfetto custode.
* L’autore aderisce ad una riforma ortografica della lingua italiana