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di Padre Giuseppe Agnello

Dio non vuole ciò che ci avanza; non vuole che invertiamo nella nostra vita le priorità della carità, e non vuole nemmeno che facciamo mostra di èssere generosi, se abbiamo trascurato i pòveri che ci càdono sotto gli occhî. Tutto questo ci inségnano le letture di questa Doménica, ma molto di piú il Vangelo, che è l’applicazione pràtica del grande comandamento dell’amore che abbiamo già visto Doménica scorsa. Se ricordate vi avevo detto che se amiamo Dio come una cosa e le persone come un dio, inevitabilmente viene fuori l’accordo commerciale, anziché la lògica dell’amore: fàccio tutto per interesse: prego per interesse, amo Dio per il mio interesse; non ascolto che cosa ha da dirmi Lui, ma metto al primo posto gli altri: chi mi vede fare il bene, èssere generoso, dare la mia offerta. Quindi si diventa idolatri di sé stessi e ipòcriti agli occhî di Dio, che vede tutto, anche quello che gli altri non vèdono. ¿Che cosa vede Dio che gli altri non hanno visto negli scribi e nei farisei? Che sono pii? Che vèstono bene? Che prègano anche quando sono fuori? Che sono persone che stanno in mezzo alla gente? Che salútano tutti quando sono in piazza? Che sono presenti nelle sinagoghe ogni sàbato? Che accèttano gli inviti a pranzo? Tutte queste cose Gesú non le vede in loro, ma loro le dànno a vedere agli altri. Se fosse questo quello che vede Dio in noi, potremmo stare tranquilli che nessún rimpròvero ci toccherebbe da parte del Signore, il quale ci ha dato l’esèmpio in tutte queste cose: la fede; la dignità di vestire bene; il salutare tutti; l’orazione púbblica oltre che quella privata; lo stare in mezzo agli altri e il pranzare anche in casa di peccatori; l’èssere presente nella sinagoga tutti i sàbato. Questo è quello come vive chi àpplica bene il grande comandamento dell’amore. Gesú, invece si accorge, che manca il vero amore in queste persone che àmano ricévere ma non dare, e àmano dare solo quando sono visti da tutti.
Che àmino ricévere anziché dare, lo capiamo da queste parole: «Divòrano le case delle vèdove». Cioè: sono cosí àvidi di soldi e di beni materiali, che sono disposti ad avere persino la casa di una vèdova, cioè l’único bene di una persona che non ha piú famíglia né chi la sostenta con il suo lavoro.
E l’altra frase che ci fa capire la raccomandazione di Gesú di guardarci dalla loro ipocrisia è questa: «prègano a lungo per farsi vedere». Non prègano a lungo perché c’è ’n’autèntica relazione col il Signore, e dunque stanno parlando con lui. No!: prègano per farsi vedere da chi li osserva, dagli uòmini. E cosí pure si vèstono bene per farsi vedere e sempre nell’òttica del ricévere ciò che dovrèbbero dare: i saluti, l’onore, l’invito a un banchetto a chi non potrebbe restituirci lo stesso invito.
Questi scribi e farisei, dunque, anche andando nel Tèmpio, dàvano la loro offerta al tesoro, «per farsi vedere» in mezzo alla folla anònima di cui parla Gesú.
¿Quanto vale tutto questo agli occhî di Dio. Nulla, anzi il suo disprezzo. Sí, perché Dio che ama tutti, non apprezza tutti. Dio, che ha dato la vita a tutti e ha mandato suo Fíglio a morire per noi, non si compiace di tutti. Infatti Gesú dice: «Essi riceveranno una condanna piú severa». Piú severa di chi? La sconsolata osservazione di Gesú rimane ellíttica del secondo tèrmine di paragone, che manca a parole, ma è chiaro nel pensiero. Chi fa il male conoscendo il bene e mascherando il male con il bene, sarà condannato piú severamente di chi fa il male per ignoranza o non si vergogna del male perché lo crede bene.
Vediamo adesso come Dio si compiace delle due vèdove di oggi: quella di Sarepta di Sidone che nutre Elia e quella del Vangelo che osserva Gesú. La prima, che vuole ospitare degnamente un profeta di Dio, sinceramente dice la sua misèria: «Non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ di òlio nell’òrcio»; poi però prepara la focàccia ad Elia, prima che per sé e il fíglio, perché crede a una promessa di provvidenza: «La farina della giara non si esaurirà e l’òrcio dell’òlio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la piòggia sulla fàccia della terra». C’era infatti una siccità nel paese, che a càusa del re Acab e del suo matrimònio con Gezabele, originària di Sidone, era una punizione per il peccato di sincretismo e apostasia degli Ebrei. Dio promette però a chi lo ascolta, anche se appartiene al regno di Sidone della regina Gezabele, aiuti provvidenziali nella sua povertà. E infatti alla vèdova di Sarepta non mancherà il cibo nel tempo di siccità e carestia. Non mancherà nulla fino al tempo in cui ritornerà la piòggia.
La vèdova del Vangelo è completamente ignorata da tutti, fuorché da Gesú: passa inosservata perché i suoi soldi non fanno rumore: non sono di oro né d’argento (come quelli che gettàvano nel tesoro i ricchi), anzi, messi insieme rièscono a costituire il pasto per un passerotto. Con due monetine che fanno un soldo, infatti, si poteva comprare al mercato un po’ di mangime per gli uccellini, ma non un pasto per una persona. Eppure lei ha solo questo; lo dà del tutto; e da Dio riceve benedizione. Chi invece crede di avere benedizione perché dà di piú, è visto dare di piú ed è lodato per quel di piú, anche se pensa di fare il bene, non ha che il disprègio di Dio, perché dà ciò che gli avanza; non condivide davvero ciò che ha; e fa qualcosa di buono solo se sotto gli sguardi dei curiosi. Questi ha come priorità sé stesso, in un narcisismo che dà il voltastòmaco a Dio stesso, il quale dice: «Essi riceveranno una condanna piú severa».
Che il Signore ci scampi da questo lièvito farisàico e da questo inganno di vívere i comandamenti di Dio, solo perché mostriamo di amarlo in púbblico e siamo solo rapina e avidità nel segreto.

XXXII Doménica del T.O. anno B,
10 Novembre 2024 – 1Re 17,10-16 Sal 145 Eb 9,24-28 Mc 12,38-44.

*L’autore aderisce ad una riforma ortografica della lingua italiana

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