Il Vangelo del 27 dicembre 2023 – San Giovanni Evangelista
Dal vangelo secondo Giovanni 20,2-8
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.
COMMENTO DI DON RUGGERO GORLETTI
La solennità del Natale è seguita, liturgicamente, da altre feste: Santo Stefano il 26 dicembre, San Giovanni Evangelista oggi, e domani i Santi Innocenti, i bambini trucidati da Erode nel tentativo di uccidere Gesù. Queste feste sono legate in modo particolare all’Incarnazione del Signore.
Il Natale, sembra quasi banale ricordarlo, fa memoria della nascita nella carne della seconda persona della Santissima Trinità. La divina persona del Figlio, generato ma non creato prima di tutti i secoli della stessa sostanza del Padre, ad un certo punto della storia ha assunto, ha preso sopra di sé la natura umana. Per intervento prodigioso dello Spirito Santo la persona del Figlio ha preso carne nel grembo della vergine Maria e si è fatto uomo. Il Figlio, coeterno al Padre e allo Spirito Santo, con i quali condivide la natura divina, ha assunto la nostra natura umana pur rimanendo Dio. E perché lo ha fatto? Lo ha fatto per riportare l’uomo alla comunione con Dio, comunione che aveva perso con il peccato originale e con i peccati particolari dei singoli uomini. Dio si è fatto come noi per farci come Lui, dice un canto liturgico. Queste verità, così semplici e elementari, un tempo patrimonio acquisito dalla nostra gente, oggi rischiano di essere dimenticate, o quanto meno messe in secondo piano da visioni del Natale molto riduttive: il Natale sarebbe, tra le altre cose, la festa dei bambini, della famiglia, della solidarietà, e chi più ne ha più ne metta. Tutte cose belle e positive, intendiamoci, ma queste cose mettono in secondo piano la verità del Natale: Dio, rimanendo Dio, ha preso su di Sé la nostra natura umana per riparare i nostri peccati e riportarci, se noi lo vogliamo, alla dignità perduta e ridarci la gioia della comunione con Lui, riportarci alla pienezza della vita su questa terra e riaprirci le porte della vita eterna. Le feste che si celebrano dopo il Natale servono a ricordarci questo. Cosa dice di questo mistero la festa di San Giovanni, che celebriamo oggi? Anzitutto ci dice che quello che viene celebrato nel Natale è vero: la prima lettura ci dice che gli Apostoli ci hanno tramandato quello che hanno visto, toccato, udito: ciò di cui hanno fatto reale esperienza. Non sono invenzioni nate da desideri, fantasie, emozioni, esperienze interne: la nostra fede si basa su fatti realmente accaduti. Anche il brano di Vangelo insiste su questo punto: la testimonianza dell’Apostolo Giovanni è vera. «e vide e credette»: ha creduto perché ha visto. Ha visto davvero, con i suoi occhi, non ha creduto in base a pensieri, riflessioni, emozioni interiori. Noi non crediamo a fantasie, ma a fatti realmente accaduti. Se così non fosse la fede cristiana sarebbe una sciocchezza. Niente è più importante di questo: dobbiamo credere che quello che la Chiesa annuncia è vero, storicamente vero, altrimenti perché credere? Giovanni lo ripete continuamente. Si ricordi quest’altro passo: «Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera ed egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate» (Gv 19,35). La risposta dell’uomo alla verità che gli viene annunciata è la fede.
Crediamo dunque a cose vere, realmente accadute, viste, udite, sperimentate da uomini come noi. E questa fede è necessaria per salvarci. Chi crederà sarà salvo, ci dice la Lettera di San Paolo ai Romani. Ma allora è solo una questione intellettuale? Se credo che certe cose sono vere sono a posto? No. La Lettera di San Giacomo dice che la fede senza le opere è morta. Se credo che quello che il Vangelo mi racconta è vero, la mia vita non può rimanere la stessa, non può continuare a trascorrere come se Dio non esistesse o come se non volesse niente dalla mia vita. La fede è un’esperienza di fiducia in una verità che ci viene detta in modo credibile, e questa verità incide sulle scelte concrete della mia vita. Se crediamo che tutto questo sia vero e camminiamo nelle tenebre, accettiamo cioè di vivere nel peccato e lontani di Dio, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità.
Questa verità, il Dio che si fa uomo, non ci viene annunciata per rovinarci la vita, per opprimere la nostra esistenza con una serie di comandamenti pesanti e di astruse pratiche religiose. Ci viene annunciata perché la nostra vita possa raggiungere lo scopo per cui è stata creata, quello cioè di vivere felici in comunione con Dio già su questa terra in cui però non mancano la sofferenza, il dolore e la morte, e in modo pieno e definitivo in paradiso. In una parola ci viene annunciata perché la nostra gioia sia piena.