Col noto ed autorevole teologo professor Antonio Livi, sacerdote e animatore dell’importante sito Fides et Ratio, La Fede Quotidiana in questa intervista parla a tutto campo di liturgia e Papa Francesco.
Monsignor Livi, di ritorno dal viaggio apostolico in Armenia durante la tradizionale conferenza stampa. Papa Francesco ha detto che tra le varie categorie, la Chiesa dovrebbe chiedere perdono anche ai gay. Qual è la sua opinione?
«Penso che su questo punto il discorso di papa Francesco si presti a troppe interpretazioni diverse sul piano pastorale e a troppi equivoci sul piano dottrinale. Del resto, quello che Bergoglio afferma in una chiacchierata con i giornalisti mentre è in volo di ritorno da un viaggio apostolico è, sì, interessante e anche importante, ma certamente non gli si può attribuire il valore di un atto del Magistero, e tanto meno può essere considerato un discorso dotato di tale solidità dottrinale da poter essere messo in contrapposizione con i documenti del Magistero vero e proprio. La Chiesa cattolica, quando ha voluto prendere ufficialmente posizione su quel tema, ha sempre avuto ed ha una condotta coerente ispirata alla Parola di Dio e alla Dottrina della fede, che interpreta infallibilmente quella Parola. La Tradizione dottrinale della Chiesa (il dogma e le norme morali che ne conseguono) è oggi consultabile facilmente da ogni fedele se fa ricorso alla lettura del Catechismo della Chiesa Cattolica, voluto e promulgato da san Giovanni Paolo II. Anche per quanto riguarda il giudizio della Chiesa sugli atti omosessuali, non ritengo che ci sia tanto da aggiungere a quello che si legge nel Catechismo, che contiene una dottrina certa, definitiva e chiarissima. La Chiesa ha sempre ammonito tutti coloro che vogliono conoscere da Essa la verità rivelata da Dio circa la gravità intrinseca degli atti omosessuali volontari e deliberati, che sono peccati contro natura e che sono tra quei peccati abominevoli che “gridano vendetta al cospetto di Dio”. Non è possibile, pertanto, che il Papa abbia voluto abrogare con due chiacchere in areo tutta la tradizione della Chiesa e le norme del vigente Codice di diritto canonico. Piuttosto, penso che, come al solito, Papa Francesco abbia voluto lanciare un messaggio gradito alla cultura che indubbiamente è egemone in questo nostro mondo occidentale, una cultura che è caratterizzata dalla rivendicazione assurda della liceità, e anzi della pubblica esemplarità, dei comportamenti omosessuali, ivi compresa l’imitazione del vero matrimonio naturale attraverso quella che in Italia hanno chiamato ipocritamente “unione civile”. E’ evidente che in questa occasione, come in tante altre, il Papa, nel parlare con i giornalisti della televisione e della stampa internazionale, ha seguito dei criteri che non sono di Magistero ma di mera diplomazia vaticana e di mera politica mediatica: ha voluto accarezzare il verso del mondo, ha detto quello che la gente ama sentirsi dire, il politicamente corretto. E’ una specie di self promotion (autopromozione) della Chiesa cattolica al ribasso. In questa ottica non è azzardato sostenere che il Papa (senza con questo voler puntare il dito o giudicare le decisioni insindacabili della suprema autorità nella Chiesa) stia portando definitivamente allo sfascio, non la Chiesa come tale , ma l’opinione pubblica all’interno della Chiesa. Infatti, questo modo estemporaneo di parlare fa pensare a molta gente – che ormai legge solo la stampa laicista e massonica – che la Chiesa su questi temi abbia davvero cambiato idea e abbia messo da parte la dottrina di sempre, mentre così non è perché non può essere».
La santa Comunione: come farla correttamente?
«L’ostia consacrata, che è il corpo di Cristo, va ricevuta in bocca e in ginocchio. Questo modo, che la Chiesa ha prescritto per secoli, è l’unico confacente al rispetto per il sacramento dell’Eucaristia, al decoro della Liturgia, al senso di adorazione che è conseguenza della fede autentica nella Presenza Reale di Cristo, che è Dio fatto Uomo, sotto le “specie” del pane e del vino che il sacerdote ha consacrato nella santa Messa. La comunione nella mano, che ha qualche cosa di protestante (perché intende enfatizzare la dimensione di convito che ha l’Eucaristia) , è da evitare, e infatti Papa Paolo VI la concesse solo come eccezione per venire incontro ad alcuni episcopati cattolici d’Europa, e Benedetto XVI era chiaramente contrario. La prassi della comunione nella mano banalizza il sacramento, e poi di fatto si arriva talvolta a profanazioni di massa, come è successo a Manila in occasione della santa Messa di Papa Francesco, alla quale assistettero due milioni di persone, e il momento della Comunione fu un caos indescrivibile. Bisogna amministrare la Comunione nella bocca, e possibilmente a fedeli che si mettono in ginocchio per riceverla. Mettendoci in ginocchio noi esprimiamo tutta la nostra piena adorazione. Oggi ci si inginocchia poco perché è entrato in circolo lo spirito luterano, ed anche perché il senso del sacro tende a scemare. Ci si dimentica che nel Vangelo si legge: “Davanti a Gesù Cristo ogni ginocchio si pieghi in cielo, in terra e da ogni parte”».
Papa Francesco alla consacrazione non si genuflette, perché?
«Occorre chiederlo a lui. Le “rubriche” del Messale Romano (anche quello di Paolo VI, attualmente in vigore per la celebrazione della Messa in rito ordinario) prescrivono che il celebrante, dopo la consacrazione del Pane e poi anche dopo la consacrazione del Vino, debba fare la genuflessione. Nessuno può trascurare volontariamente quanto prescritto dalle vigenti norme liturgiche. Mi risulta, almeno dalle immagini, che il Papa attuale, al Giovedì Santo, si inginocchi per il rito della lavanda dei piedi ,il che mi fa pensare che non è un problema ortopedico, di salute. Temo che questo comportamento sia di cattivo esempio, ma non ne faccio un dramma e non mi scandalizzo. Del resto, la storia della Chiesa è piena di Papi che, in una cosa o nell’altra (sempre accidentale, mai sostanziale), hanno dato il cattivo esempio. Ma quegli stessi Papi hanno dato anche dei buoni esempi di santità, e soprattutto non hanno mai mancato al dovere di mantenere intatto il “deposito della fede”, che non dipende né deriva da loro, ma è la Parola di Dio stesso che ci ama e vuole la nostra salvezza eterna.
Bruno Volpe