«Ho avuto paura di morire, le persone che stavano con me sono state picchiate e minacciate ma per il fatto che indossassi l’abito di sacerdote sono stato risparmiato». Davanti al procuratore aggiunto Francesco Caporale e al pm Sergio Colaiocco della Procura della Capitale, don Maurizio Pallù, sacerdote della diocesi di Roma e vicino alla fondazione del “Cammino Neocatecumenale”, ha ripercorso la sua settimana di sequestro, avvenuto nel sud della Nigeria ad opera di una banda di criminali. Sul caso, i pm indagano per sequestro di persona per finalità di terrorismo.
E’ interessante notare questo timore dei sequestratori nei confronti dell’abito ecclesiastico, rilievo che, spesso, certi ecclesiastici non dimostrano. Ma quella dell’importanza, anzi dell’obbligatorietà dell’abito talare, o di «un abito ecclesiastico decoroso, secondo le norme emanate dalla Conferenza Episcopale e secondo le legittime consuetudini locali» per i sacerdoti (in Italia il clergyman) non è la fissazione di qualche nostalgico del passato. E’ una norma della Chiesa ricordata anche nell’ultimo Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri emanato dalla Congregazione del clero.
L’abito ecclesiastico è il segno esteriore di una realtà interiore: «infatti, il sacerdote non appartiene più a se stesso, ma, per il sigillo sacramentale ricevuto […], è “proprietà” di Dio. Questo suo “essere di un Altro” deve diventare riconoscibile da tutti, attraverso una limpida testimonianza. […] Nel modo di pensare, di parlare, di giudicare i fatti del mondo, di servire ed amare, di relazionarsi con le persone, anche nell’abito, il sacerdote deve trarre forza profetica dalla sua appartenenza sacramentale». Per questa ragione, il sacerdote, come il diacono transeunte, deve: A) portare o l’abito talare o «un abito ecclesiastico decoroso, secondo le norme emanate dalla Conferenza Episcopale e secondo le legittime consuetudini locali»; quando non è quello talare, deve essere diverso dalla maniera di vestire dei laici e conforme alla dignità e alla sacralità del ministero; la foggia e il colore debbono essere stabiliti dalla Conferenza dei Vescovi; B) per la loro incoerenza con lo spirito di tale disciplina, le prassi contrarie non contengono la razionalità necessaria affinché possano diventare legittime consuetudini e devono essere assolutamente rimosse dalla competente autorità. Fatte salve situazioni specifiche, il non uso dell’abito ecclesiastico può manifestare un debole senso della propria identità di pastore interamente dedicato al servizio della Chiesa. Inoltre, la veste talare – anche nella forma, nel colore e nella dignità – è specialmente opportuna perché distingue chiaramente i sacerdoti dai laici e fa capire meglio il carattere sacro del loro ministero, ricordando allo stesso presbitero che è sempre e in ogni momento sacerdote, ordinato per servire, per insegnare, per guidare e per santificare le anime, principalmente attraverso la celebrazione dei sacramenti e la predicazione della Parola di Dio. Indossare l’abito clericale funge inoltre da salvaguardia della povertà e della castità.