È arrivata da don Pietro Cantoni, sulla rivista di Alleanza Cattolica, Cristianità, una disamina teologia sull’Esortazione Amoris Laetitia e sui punti «critici» in particolare. «Scopo del documento è celebrare la bellezza del matrimonio cristiano con il suo ineliminabile carattere d’indissolubilità e di apertura alla vita», scrive don Cantoni.
«All’interno di questo argomento e in stretta dipendenza da questa intenzione vanno letti il capitolo ottavo, “Accompagnare, discernere ed integrare la fragilità”, e in particolare i paragrafi dal n. 300 al n. 312».
Don Cantoni ammette che «una lettura che qualcuno potrebbe chiamare “normalistica” del documento, che cioè pretendesse che “non è cambiato nulla”, anche se proposta da persone autorevoli e certamente intenzionate a fare il bene della Chiesa e del Magistero, preservandolo da ipotetiche critiche, non rende completamente ragione del testo. Questo anche a lume del solo buon senso: non si convocano due sinodi dei vescovi, conducendo discussioni animate e accese per due anni al solo scopo di lasciare tutto esattamente come prima». Don Cantoni parla di «continuità a livello “sostanziale”» e di «discontinuità a livello “accidentale”».
Cercando le «novità» all’interno di una interpretazione alla luce della «riforma nella continuità» di cui parlava Benedetto XVI, per don Cantoni «la novità consiste innanzitutto nell’individuare come ultima istanza insuperabile e ineliminabile il giudizio che si svolge nel contesto del sacramento della riconciliazione, la confessione. Il contesto che rende comprensibile questo sviluppo è il fatto, l’“evento”, costituito dall’avere, per la prima volta nella storia, un Papa gesuita. Ci è certamente nota l’importanza del ministero che i gesuiti hanno svolto nella storia proprio in quanto confessori».
Secondo Cantoni con Papa Francesco «il sacramento della confessione diventa un sacramento centrale nella vita concreta della Chiesa e di tanti suoi figli». Papa Francesco nel documento invita a non aspettarsi che la soluzione alla complessità e alla varietà delle situazioni venga da norme generali che vadano bene per tutti i casi.
Don Cantoni commenta: «si tratta di un dato di fatto di tutti i tempi, però particolarmente urgente ed evidente nell’epoca di transizione che stiamo vivendo, nel momento in cui una civiltà è morta e si stanno creando le condizioni di una rinascita. Questa “novità” contenuta nell’esortazione non annulla la norma, così come rimane indicata nel n. 1650 del Catechismo della Chiesa Cattolica, ma ne costituisce una deroga, una eccezione a fronte di casi particolari, che peraltro sono in aumento nell’attuale situazione in cui si trovano le famiglie nel mondo occidentale. Vi è una legge non scritta che ha sempre costituito una norma pratica per tutti i confessori, ritenuta così importante da diventare una domanda classica da porre al sacerdote che affronta l’esame previo per ottenere il permesso di confessare. Questa norma si trova pressoché in tutti i manuali di teologia morale di indirizzo neoscolastico. La riporto nella formulazione con cui è accolta in un documento recente di un organismo della Santa Sede: «[…] è preferibile lasciare i penitenti in buona fede in caso di errore dovuto ad ignoranza soggettivamente invincibile, quando si preveda che il penitente, pur orientato a vivere nell’ambito della vita di fede, non modificherebbe la propria condotta, anzi passerebbe a peccare formalmente» (Pontificio Consiglio per la Famiglia, Vademecum per i confessori su alcuni temi di morale attinenti alla vita coniugale, del 12-2-1997, n. 8). Questa ignoranza non va confusa con la pura ignoranza dell’esistenza della legge. “Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere ‘valori insiti nella norma morale’” (n. 301). Molto spesso la persona può conoscere l’esistenza della norma, ma essere nella condizione di non capirla, di non coglierne il valore intrinseco. Negli Esercizi di sant’Ignazio ciò costituisce un passaggio essenziale, che però richiede tempo, preghiera e accompagnamento».
Tutto ciò, spiega Cantoni «non ha niente a che vedere con la “morale della situazione”. Questa dottrina, condannata dal venerabile Pio XII (1939-1958) (8), sostiene che […] non esiste un atto “essenzialmente cattivo”, intrinsecamente tale, perché le situazioni sono sempre variabili e non toccano mai l’essenza».
Per il Papa, spiega don Cantoni, «il sacerdote nel sacramento deve prendere per mano il soggetto là dove si trova e condurlo pazientemente a una crescita nella comprensione del valore e, soprattutto, nell’apertura alla potenza trasformante della grazia, cioè della misericordia divina. La “soggettività” e la realtà a essa strettamente collegata della «coscienza» sono un valore che proprio la rivelazione cristiana ha scoperto e valorizzato. Anche qui vi è il rischio che questo immenso valore venga trasformato in una “verità impazzita”: quella della coscienza soggettiva come creatrice del valore. Qui è importante scoprire o riscoprire il valore di una “interiorità oggettiva”. L’oggettività non è garantita soltanto da una sentenza pubblica, ma può e deve essere garantita dalla scoperta della verità in interiore homine, guidati dall’autorità della Chiesa — il confessore — ed eventualmente aiutati dalla grazia del sacramento dell’Eucaristia».
Dopo aver citato un po’ di casi, don Cantoni spiega che «il compito del magistero non è sempre quello di mettere termine alle discussioni. In base al principio più volte invocato che “il tempo è superiore allo spazio”, a volte ritiene opportuno lasciare che il tempo determini quale soluzione sia vera e più adatta alle necessità di una certa situazione storica senza determinare con un decreto puntuale quale debba essere accettata nello spazio attuale».
Relativamente alle critiche al documento papale don Cantoni scrive che «il criterio della “benevolenza interpretativa” è un criterio-base di qualunque interpretazione e da prendere terribilmente sul serio. Conosce, infatti, almeno due tappe: l’atteggiamento positivo di base a priori, seguito da una ricerca mediante domande, che può essere intesa anche come uno sforzo oggettivo di capire, per esempio leggendo con molta e ripetuta attenzione quanto l’altro ha scritto. Se il senso risulta oggettivamente scorretto allora subentra la correzione fraterna, cioè la correzione fatta con lo scopo di essere capito dall’altro e di far passare l’altro dall’errore alla verità. Non da solo: ma accompagnato da tutti i mezzi convenienti per aprire all’errante la via della verità (preghiera, esempio, sofferenza offerta, e così via). E se ci troviamo davanti all’astuzia e all’inganno? Allora essi devono essere smascherati, mettendo in luce la cattiva intenzione che guida la persona nel suo parlare ambiguo e ingannevole. Se chi parla è l’autorità? Se l’autorità è colta come autorità, cioè se si pratica l’obbedienza, allora vale il principio in dubio standum est pro auctoritate, “nel dubbio bisogna stare con l’autorità”. Se l’autorità è ingannevole, se vuole condurci fuori strada? Allora, dopo aver condotto una ricerca proporzionata alla serietà della questione, bisogna avere il coraggio di denunciarne apertamente la falsità, che consiste nel non essere l’autorità vera. Se un Papa usa l’astuzia per condurre la Chiesa all’eresia, evidentemente non va obbedito e dev’essere denunciato pubblicamente come un falso Pontefice. Un Papa cattolico che insegna astutamente cose ambigue con lo scopo di trascinare le anime nell’eresia non esiste. Se lo fa non è il Papa. Se il soggetto che propone questi insegnamenti è l’intero collegio episcopale in comunione con il Papa o — il che è lo stesso — il Papa in quanto capo dell’intero collegio episcopale, o addirittura il Papa in quanto definisce un dogma di fede, allora devo ritornare in me stesso e chiedermi sinceramente se quello che a me “sembra” essere sbagliato lo sia veramente, e non sia quindi il caso di cambiare idea, accettando di mente e di cuore quello che la Chiesa gerarchica m’insegna».
Don Cantoni scrive che «l’infallibilità ha, come qualunque concetto teologico, un valore essenzialmente analogico per cui si dà in modi essenzialmente diversi. Un conto è quando connota la verità di una singola proposizione e un conto quando caratterizza tutta la trasmissione del Vangelo da parte della Chiesa nel suo momento “autentico”, cioè ad opera della trasmissione apostolica. […] Non sono infallibili dunque le singole proposizioni di cui è composto il discorso ma solo quello che il discorso, preso nel suo insieme, intende trasmettere. Di per sé le motivazioni, le formulazioni linguistiche scelte, i fatti addotti a conferma possono contenere errori che non devono però mai essere qualificati come tali da indurre di per sé all’eresia. Un conto sono le qualificazioni teologiche e un conto le censure. Il magistero autentico può e deve essere teologicamente qualificato, ma — quando è supremo — mai censurato».
Si direbbe, conclude Cantoni, «non intende solo “suggerire” ma positivamente insegnare. Rinuncia però a condannare chi intende rimanere su posizioni fissiste, se non richiamando in modo forte il dovere della misericordia […] In fondo, l’atteggiamento del Papa verso chi vive in situazioni “irregolari” è di carattere sostanzialmente missionario».
Adam Loon Otter