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L’astensionismo è il primo partito italiano. Alle ultime elezioni regionali quasi due elettori su tre hanno disertato le urne. Una tendenza che aumenta di legislatura in legislatura e che pare irreversibile. E’ la fine della democrazia partecipativa?

Famiglia Cristiana, nel numero da oggi in edicola, ha cercato di andare alle radici del fenomeno con l’aiuto di politologi, membri della società civile, del sindacato, dell’impresa, del terzo settore e dell’associazionismo. Secondo il segretario nazionale della Cisl Luigi Sbarra il non voto è lo specchio «di tante e sedimentate criticità: inflazione e disoccupazione, polarizzazione del lavoro, marginalità femminile e giovanile, servizi socio-sanitari insufficienti, aumento delle povertà». Per il presidente nazionale delle Acli Emiliano Manfredonia «i partiti dovrebbero essere più aperti alla società e invece oggi la politica è fatta solo di cooptati».

A detta del presidente dell’Azione Cattolica Giuseppe Notarstefano manca «un’offerta politica adeguata anche se tra i giovani c’è voglia di partecipazione». Andrea Dellabianca, presidente della Compagnia delle opere di Milano prevede che «l’astensionismo finirà, o rientrerà nei suoi limiti fisiologici», quando la democrazia tornerà a parlare ai suoi corpi intermedi, al suo tessuto partecipativo e non direttamente agli elettori come fa adesso, scavalcando la società civile». Quanto agli elettori cattolici, secondo le analisi dei sondaggisti Pietro Vento, dell’Istituto Demopolis, e di Nando Pagnoncelli, di Ipsos, non c’è nessuna differenza con il resto degli elettori.

Non si tratta di un “non expedit”, a un secolo detto dalla disposizione di Leone XIII (anzi, la Chiesa oggi considera la partecipazione al voto un dovere morale) ma semplicemente dello specchio dello smarrimento di tanti cattolici. In un’intervista Ilvo Diamanti interpreta l’astensione come un segnale di distacco da parte degli elettori (soprattutto di Centrosinistra) per esprimere il disagio verso una classe politica che disapprovano.

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