Papa Francesco ha nominato arcivescovo metropolita di Cracovia (Polonia) Sua Eccellenza Monsignor Marek Jędraszewski, dopo la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi del cardinale Stanislaw Dziwisz (che fu segretario personale di San Giovanni Paolo II).
Jędraszewski, classe 1949, dal 2012 era Arcivescovo di Łódź e dal 2014 è vicepresidente della Conferenza dei vescovi polacchi. Monsignor Jedraszewski poco tempo fa aveva dichiarato: «Noi vescovi polacchi difenderemo ciò che ha insegnato Giovanni Paolo II nell’esortazione Familiaris Consortio. Nessun Papa è creatore della dottrina della chiesa, ma solo il suo primo protettore, in collaborazione con l’intero episcopato […] l’urgenza è quella di scoprire il matrimonio alla luce della rivelazione di Dio, e non di adattare il Vangelo e l’insegnamento della chiesa agli atteggiamenti culturali che cambiano».
Il 27 luglio 2016, durante un dialogo con Papa Francesco, ha chiesto: «Santo Padre, sembra che i fedeli della Chiesa cattolica e in genere tutti i cristiani nell’Europa occidentale vengano a trovarsi sempre più in minoranza nell’ambito di una cultura contemporanea ateo-liberale. In Polonia assistiamo a un confronto profondo, a una lotta enorme tra fede in Dio da una parte, e dall’altra un pensiero e degli stili di vita come se Dio non esistesse. Secondo Lei, Santo Padre, che tipo di azioni pastorali dovrebbe intraprendere la Chiesa cattolica nel nostro Paese, affinché il popolo polacco resti fedele alla sua ormai più che millenaria tradizione cristiana?».
Il Papa aveva risposto: «è vero, la scristianizzazione, la secolarizzazione del mondo moderno è forte. È molto forte. Ma qualcuno dice: Sì, è forte ma si vedono fenomeni di religiosità, come se il senso religioso si svegliasse. E questo può essere anche un pericolo. Credo che noi, in questo mondo così secolarizzato, abbiamo anche l’altro pericolo, della spiritualizzazione gnostica: questa secolarizzazione ci dà la possibilità di far crescere una vita spirituale un po’ gnostica. Ricordiamo che è stata la prima eresia della Chiesa: l’apostolo Giovanni bastona gli gnostici – e come, con che forza! -, dove c’è una spiritualità soggettiva, senza Cristo. Il problema più grave, per me, di questa secolarizzazione è la scristianizzazione: togliere Cristo, togliere il Figlio. Io prego, sento… e niente più. Questo è gnosticismo. […] Trovare Dio senza Cristo: un Dio senza Cristo, un popolo senza Chiesa. Perché? Perché la Chiesa è la Madre, quella che ti dà la vita, e Cristo è il Fratello maggiore, il Figlio del Padre, che fa riferimento al Padre, che è quello che ti rivela il nome del Padre. Una Chiesa orfana: lo gnosticismo di oggi, poiché è proprio una scristianizzazione, senza Cristo, ci porta a una Chiesa, diciamo meglio, a dei cristiani, a un popolo orfano. E noi dobbiamo far sentire questo al nostro popolo. Che cosa consiglierei io? Mi viene in mente – ma credo che sia la pratica del Vangelo, dove c’è proprio l’insegnamento del Signore – la vicinanza. Oggi noi, servitori del Signore – vescovi, sacerdoti, consacrati, laici convinti –, dobbiamo essere vicini al popolo di Dio. Senza vicinanza c’è soltanto parola senza carne. Pensiamo – a me piace pensare questo – ai due pilastri del Vangelo. Quali sono i due pilastri del Vangelo? Le Beatitudini, e poi Matteo 25, il “protocollo” con il quale tutti noi saremo giudicati. Concretezza. Vicinanza. Toccare. Le opere di misericordia, sia corporali, sia spirituali. “Ma Lei dice queste cose perché è di moda parlare della misericordia quest’anno…”. No, è il Vangelo! Il Vangelo, opere di misericordia. C’è quell’eretico o miscredente samaritano che si commuove e fa quello che deve fare, e rischia anche i soldi! Toccare. C’è Gesù che era sempre fra la gente o con il Padre. O in preghiera, da solo con il Padre, o fra la gente, lì, con i discepoli. Vicinanza. Toccare. E’ la vita di Gesù… Quando Lui si è commosso, alle porte dalla città di Nain (cfr Lc 7,11-17), si è commosso, è andato e ha toccato la bara dicendo: “Non piangere…”. Vicinanza. E la vicinanza è toccare la carne sofferente di Cristo. E la Chiesa, la gloria della Chiesa, sono i martiri, certamente, ma sono anche tanti uomini e donne che hanno lasciato tutto e hanno passato la loro vita negli ospedali, nelle scuole, con i bambini, con i malati…».
Il Papa in quell’occasione aveva ricordato che «in Centrafrica, una suorina, aveva 83/84 anni, magra, brava, con una bambina… È venuta a salutarmi: “Io non sono di qua, sono dell’altra parte del fiume, del Congo, ma ogni volta, una volta alla settimana, vengo qui a fare le spese perché sono più convenienti”. Mi ha detto l’età: 83/84 anni. “Da 23 anni sono qui: sono infermiera ostetrica, ho fatto nascere due/tre mila bambini …” – “Ah… e viene qui da sola?” – “Sì, sì, prendiamo la canoa…”. A 83 anni! Con la canoa faceva un’oretta e arrivava. Questa donna – e tante come lei – hanno lasciato il loro Paese – è italiana, bresciana – hanno lasciato il loro Paese per toccare la carne di Cristo. Se noi andiamo in questi Paesi di missione, nell’Amazzonia, in America Latina, nei cimiteri troviamo le tombe dei tanti uomini e donne religiosi morti giovani, perché per le malattie di quella terra loro non avevano gli anticorpi, e morivano giovani. Le opere di misericordia: toccare, insegnare, consolare, “perdere il tempo”. Perdere il tempo. Mi è piaciuto tanto, una volta, un signore che è andato a confessarsi ed era in una situazione tale che non poteva ricevere l’assoluzione. E’ andato con un po’ di paura, perché era stato mandato via alcune volte: “No, no… vattene via”. Il prete lo ha ascoltato, gli ha spiegato la situazione, gli ha detto: “Ma tu, tu prega. Dio ti ama. Io ti darò la benedizione, ma tu ritorna, me lo prometti?”. E questo prete “perdeva tempo” per attirare quest’uomo ai sacramenti. Questo si chiama vicinanza. E parlando ai Vescovi di vicinanza, io credo che devo parlare della vicinanza più importante: quella con i sacerdoti. Il vescovo deve essere disponibile per i suoi sacerdoti. Quando ero in Argentina ho sentito di sacerdoti… – tante, tante volte, quando andavo a dare gli Esercizi, a me piaceva dare gli Esercizi –; dicevo: “Parla con il vescovo su questo…” – “Ma no, io l’ho chiamato, la segretaria mi dice: No, è molto, molto impegnato, ma ti riceverà entro tre mesi”. Ma questo sacerdote si sente orfano, senza padre, senza la vicinanza, e incomincia ad andare giù. Un vescovo che vede nel foglio delle chiamate, alla sera, quando torna, la chiamata di un sacerdote, o quella stessa sera o il giorno dopo deve chiamarlo subito. “Sì, sono impegnato, ma è urgente?” – “No, no, ma mettiamoci d’accordo…”. Che il sacerdote senta che ha un padre. Se noi togliamo ai sacerdoti la paternità, non possiamo chiedere a loro che siano padri. E così il senso della paternità di Dio si allontana. L’opera del Figlio è toccare le miserie umane: spirituali e corporali. La vicinanza. L’opera del Padre: essere padre, vescovo-padre. Poi, i giovani […] sono “noiosi”! Perché vengono sempre a dire le stesse cose, oppure “io la penso così…”, oppure “la Chiesa dovrebbe…”, e ci vuole pazienza con i giovani. Io ho conosciuto, da ragazzo, alcuni preti: era un tempo in cui il confessionale era più frequentato di adesso, passavano ore ascoltando, o li ricevevano nell’ufficio parrocchiale, ad ascoltare le stesse cose… ma con pazienza. E poi, portare i giovani in campagna, in montagna… Ma pensate a san Giovanni Paolo II, cosa faceva con gli universitari? Sì, faceva scuola, ma poi andava con loro in montagna! Vicinanza. Li ascoltava. Stava con i giovani… E un’ultima cosa vorrei sottolineare, perché credo che il Signore me lo chieda: i nonni. Voi, che avete sofferto il comunismo, l’ateismo, lo sapete: sono stati i nonni, sono state le nonne a salvare e a trasmettere la fede. I nonni hanno la memoria di un popolo, hanno la memoria della fede, la memoria della Chiesa. Non scartare i nonni! In questa cultura dello scarto, che è appunto scristianizzata, si scarta quello che non serve, che non va. No! I nonni sono la memoria del popolo, sono la memoria della fede. E collegare i giovani con i nonni: anche questo è vicinanza. Essere vicini e creare vicinanza. Risponderei così a questa domanda. Non ci sono ricette, ma dobbiamo scendere in campo. Se aspettiamo che suoni la chiamata o che bussino alla porta… No. Dobbiamo uscire a cercare, come il pastore, che va a cercare gli smarriti. Non so, mi viene questo. Semplicemente».
Matteo Orlando