di Mariella Lentini*
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È il “Santo dalla penna nera”, questo è il suo soprannome: un “prete alpino” tra gli alpini dispersi nella gelida steppa, sulle sponde del fiume Don, in Russia, che promette di tornare in patria e di prendersi cura dei bambini rimasti orfani. Carlo Gnocchi nasce a San Colombano al Lambro (Milano) nel 1902. Suo padre Enrico, modesto marmista, a causa del suo lavoro insalubre, muore quando Carlo ha tre anni. La mamma Clementina Pasta, rimasta sola con tre bambini da sfamare, si trasferisce a Milano dove lavora come sarta. Carlo decide di diventare sacerdote (1925).
Appassionato, pieno di entusiasmo, i suoi primi incarichi in due parrocchie milanesi, Cernusco sul Naviglio e San Pietro in Sala, lo vedono impegnato con i giovani. Li educa, li ascolta, sta loro vicino, diventa amico delle loro famiglie. Sempre a Milano, segue i giovani studenti dell’Istituto Gonzaga, dell’Istituto Schiapparelli e dell’Università del Sacro Cuore. Quando scoppia la Seconda guerra mondiale, Don Gnocchi decide di seguire il destino dei suoi ragazzi. Vuole condividere difficoltà e pericoli. Nel 1942 parte per la Russia con gli alpini della “Tridentina”. È una disfatta immane. Gennaio 1943: gli alpini fuggono dal freddo che arriva a toccare i quaranta gradi sotto zero. Pochissimi si salvano. Il sacerdote si dimostra coraggioso: sta vicino ai suoi ragazzi incurante del pericolo, ma si sente impotente di fronte alla mancanza di bende, cibo e coperte. Intorno a lui solo morte. Raccoglie dagli zaini degli alpini, sepolti dalla neve, fotografie e indirizzi, con la promessa di prendersi cura dei loro bambini. Anche Don Carlo rischia la vita, ma una slitta lo trova quasi assiderato, portandolo via dall’inferno di ghiaccio.
Carlo torna in Italia con un solo pensiero: mantenere la sua promessa. Attraversa campagne, colline e montagne, con un motorino, alla ricerca dei poveri orfanelli dei caduti in Russia. Li accoglie ad Arosio (Como) e poi in una struttura più grande a Cassano Magnano (Varese).
Le richieste di assistenza aumentano sempre di più anche da parte di bambini mutilati dai bombardamenti. Arrivano da tutta Italia, ma lo Stato ha altre emergenze di cui occuparsi in un Paese distrutto. Così Don Carlo organizza una raccolta fondi e apre collegi in Lombardia e altre regioni. Nel 1952 fonda l’associazione Pro Juventute. Nel 1956 il “Padre dei mutilatini” o il “Don Bosco di Milano”, come viene chiamato, getta le basi di un centro di riabilitazione a Milano, vicino allo stadio San Siro. Non ne vede la conclusione poiché nello stesso anno si ammala e muore, a Milano, non prima di aver offerto le sue cornee a due mutilatini rimasti ciechi che, dopo il trapianto, riacquistano la vista.
Oggi la Fondazione Don Carlo Gnocchi ha più di venti istituti di riabilitazione in Italia e assiste migliaia di disabili di ogni età, persone colpite da patologie invalidanti e anziani non autosufficienti; inoltre è impegnata in attività di ricerca scientifica, formazione e in progetti di solidarietà nei Paesi in via di sviluppo: «Amis, ve raccomandi la mia baracca» è stata la sua ultima raccomandazione. Tra i suoi libri più famosi, citiamo il commovente Cristo con gli alpini, scritto nel 1943, che racconta la tragica ritirata di Russia (Mursia, Milano 2008).
Il beato oggi riposa nella chiesa a lui dedicata, annessa al Centro Santa Maria Nascente, presso la sede milanese della sua fondazione. L’esempio di Don Carlo Gnocchi è quanto mai attuale: ancora oggi, purtroppo, nel mondo, tanti bambini rimangono mutilati dai bombardamenti, vittime innocenti della millenaria barbarie umana, perpetrata da uomini nemici della pace.
* Autrice del libro
“Santi compagni guida per tutti i giorni”