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di Alvise Parolini

Enrico nacque il 6 maggio 973, figlio di Enrico II, duca di Baviera, e di Gisella di Borgogna. Il padre era cugino dell’imperatore del Sacro Romano Impero Ottone III, col quale entrò in conflitto a causa di reciproche rivendicazioni sul ducato di Svevia. Due volte Enrico cercò di muovere rivolta all’imperatore, fallendo in entrambi i casi: Ottone lo depose dal titolo di duca di Baviera e nell’aprile del 978 lo mandò in esilio sotto la custodia del vescovo di Utrecht.

Il figlio Enrico venne istruito dal vescovo di Ratisbona, San Volfango. Suo fratello Bruno rinunciò agli agi della vita di corte per poi divenire vescovo di Augusta, sua sorella Brigida si fece monaca, mentre un’altra sorella, Gisella, sposò il grande Santo Stefano, Re d’Ungheria. Il giovane Enrico divenne duca di Baviera nel 995 e Re di Germania nel 1002, succedendo al cugino Ottone III. Sconfitto Arduino d’Ivrea, che aveva faticosamente ottenuto la corona d’Italia col consenso di alcuni “potentes” italiani e si era successivamente opposto ad Enrico, giunse a Roma con la casta sposa Santa Cunegonda per essere incoronato imperatore del Sacro Romano Impero da Papa Benedetto VIII.

È ricordato come grande benefattore della Chiesa: oltre a restaurare varie sedi vescovili, nel 1006 fondò la diocesi di Bamberga, dove eresse anche un monastero, oltre che cattedrale della città (consacrata dal Papa stesso nel 1020).
Grande ammiratore di Sant’Odilone di Cluny, fu sostenitore della riforma cluniacense. Sollecitò l’introduzione della recita del Credo nella Messa festiva, nella versione già includente il Filioque.

Diedero qualche problema agli agiografi le sue campagne contro i polacchi di Boleslao e contro i bizantini di Basilio (ma anche le alleanze e le concessioni religiose date ad alcune popolazioni pagane) pur di raggiungere i suoi obiettivi politico-militari.
Riporta Padre Bonaventura da Sorrento che, nel 1022, dopo aver sconfitto l’imperatore d’Oriente Basilio ed averlo confinato in un angolo della Calabria, il Nostro fosse giunto, pellegrino, alla Grotta di San Michele Arcangelo, presso il Gargano. Qui, esausto dalle fatiche, assistette ad una messa mistica, alla presenza di una moltitudine di angeli, San Michele, Maria Santissima, San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista e Gesù Stesso come sacerdote officiante. Nell’estasi, il principe degli angeli avrebbe toccato il fianco dell’imperatore, rendendolo zoppo come Giacobbe dopo la celebre lotta notturna.

Più recentemente, la Beata Katharina Emmerick riportava al suo biografo Brentano una visione di un simile avvenimento, questa volta non in una grotta, ma in una chiesa (12 luglio 1820):
“Ho avuto una visione dell’imperatore Enrico. L’ho visto ieri sera in una bella chiesa, inginocchiato da solo davanti all’altare maggiore. Conosco la chiesa; c’è una bella cappella del Sacro Presepe. L’ho vista una volta prima della festa di Nostra Signora della Neve. Mentre s’inginocchiava e pregava, una luce brillò sopra l’altare e la Beata Vergine apparve sola. Indossava una veste di un bianco azzurrino che emanava raggi, e portava qualcosa in mano. Pose sull’altare un panno rosso sul quale ne stese uno bianco, e vi depose un magnifico libro luminoso incastonato di pietre preziose. Poi accese le candele della lampada del santuario. Molte altre luci a forma di piramide bruciarono contemporaneamente. Poi si sedette alla destra dell’altare. Ora venne il Salvatore stesso in vesti sacerdotali, portando il calice e il velo. Due angeli lo servivano e altri due lo accompagnavano. Il capo di Nostro Signore era scoperto. La casula era un grande, pesante mantello rosso e bianco nel quale splendevano pietre scintillanti e preziose. Gli angeli ministri erano vestiti di bianco. Non c’era la campanella, ma c’erano delle ampolle. Il vino era rosso come il sangue e c’era anche dell’acqua. La Messa era breve e alla fine non c’era il Vangelo di San Giovanni. Ho visto l’Offertorio e l’Elevazione; l’Ostia era come la nostra. L’angelo lesse il Vangelo e portò il libro a Maria per baciarlo, e poi, su un segno di Gesù, ad Enrico perché facesse lo stesso. All’inizio non osava obbedire, ma alla fine si fece coraggio per farlo. Al termine della messa, Maria andò da Enrico e gli diede la mano destra, dicendo che onorava così la sua castità e lo esortava a non esitare. Poi vidi un angelo avvicinarsi e toccarlo sul fianco destro come era stato fatto a Giacobbe. Enrico mostrò segni di dolore intenso e in seguito zoppicò un po’. Durante tutta questa cerimonia c’erano numerosi angeli in adorazione, con gli occhi fissi sull’altare.”

Anche qui la Beata Katharina cita un imperatore Enrico. Il prologo di San Giovanni detto in presenza del popolo al termine della liturgia è una pratica successiva ai tempi di Enrico II, almeno un paio di secoli. Il mistero rimane… Successivamente a questo episodio, pare che Enrico si sia ammalato gravemente e che, giunto a Montecassino, avesse chiesto sulla tomba di San Benedetto la grazia della guarigione. Enrico venne guarito dalla sua infermità, ma rimase misteriosamente zoppo fino alla morte, sopraggiunta a cinquantadue anni, il 13 luglio 1024, a Bamberga.
Venne canonizzato nel 1046 da Papa Eugenio III, mentre Papa San Pio X lo proclamò patrono degli oblati benedettini.

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