Per circa dieci anni ha seguito, come commentatore e regista televisivo di Rete Blu, San Giovanni Paolo II del quale si celebrano i cento anni dalla nascita. Parliamo del sacerdote romano ( in verità nativo di Tivoli) don Mario Pieracci, opinionista Rai. Ne viene fuori un quadro assolutamente inedito ed anche commovente.
Don Mario, lei lo ha seguito per la tv nelle visite alle parrocchie romane…
“Giovanni Paolo II teneva moltissimo al contatto con il suo gregge ed ogni domenica andava a fare visita ad una parrocchia, talvolta anche due. Quando il fisico non lo ha più permesso, le riceveva in Vaticano”.
Dal punto televisivo era facilmente gestibile?
“Certo. Aveva i ritmi televisivi, sapeva rispettare molto bene i tempi e tutto sommato non era difficile lavorare con lui. Spesso sorprendeva, perché parlava a braccio e diceva: i testi ufficiali li leggerete domani sull’Osservatore. Tuttavia sempre rispettoso della retta dottrina cattolica”.
Che cosa metteva al centro della sua vita?
“L’eucarestia e quando celebrava messa, cambiava aspetto, toccava il soprannaturale, emanava un fluido di santità. Era un mistico. Al centro di tutto poneva il rispetto e la sacralità dell’ eucarestia e le dico un aneddoto”.
Prego..
“Ogni mercoledì con la squadra dei tecnici e della Casa Pontificia, facevamo il sopralluogo alla parrocchia di turno. Alla chiesa di San Giustino, dovevano partecipare alla messa dei bambini, così il parroco pensò di spostare il Santissimo in fondo e mettere i bimbi al centro. Quando la domenica iniziò la messa, Giovanni Paolo II si accorse che mancava il tabernacolo al centro dell’ altare e domandò: ‘Il Santissimo dove sta?’. Il parroco disse che era in fondo e non la prese bene. Fece dietro front e volle andare ad inginocchiarsi. Pensi che un medico del Gemelli sulle sue ginocchia ha riscontrato calli per quanto si inginocchiava in adorazione”.
Uomo di spirito?
“Amava scherzare. Un’ altra volta, in altra visita, era il suo compleanno. I bambini gli cantarono una canzoncina polacca che voleva dire cento anni. Lui quel giorno ne festeggiava 77. Si imbrogliò nel fare il conto tra cento e 77 e alla fine scoppiò a ridere”.
Che legame aveva con la sua Polonia?
“Fortissimo e molto intenso. Per tutti gli anni del suo pontificato, ogni santa sera dopo cena ha ricevuto nel suo appartamento 200 polacchi per salutarli. E le dico che avrebbe voluto prendere il nome di Stanislao come Papa, ma gli suggerirono che era troppo locale e allora scelse in continuità con Giovanni Paolo I. Tuttavia alla fine della sua vita era amareggiato con la Polonia. Vedeva profilarsi un certo secolarismo nei costumi ed un appannamento della fede e diceva quasi in lacrime: Polonia, mi hai tradito”.
Che cosa gli deve la sua patria?
“Tanto. E’ riuscito, senza un colpo, a sconfiggere il comunismo e abbattere il muro di Berlino. Un gigante della storia , della fede , della morale, della Chiesa, prova che lo Spirito Santo non si sbaglia”.
Bruno Volpe