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La teologa Giuliva Di Berardino* commenta (in versione testuale e audio) il Vangelo del giorno.

Ecco l’audio

Ecco il testo

Mc 8, 14-21

In quel tempo, i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un pane solo. Allora Gesù li ammoniva dicendo: “Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!”. E quelli dicevano fra loro: “Non abbiamo pane”. Ma Gesù, accortosi di questo, disse loro: “Perché discutete che non avete pane? Non intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?” Gli dissero: “Dodici”. “E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?” Gli dissero: “Sette”. E disse loro: “Non capite ancora?”

In questo Vangelo abbiamo un serio avvertimento di Gesù: stare lontano dal “lievito dei farisei”, un’espressione che non è facile capire, se non si conosce cosa significa il lievito nella cultura ebraica. Infatti il lievito per Israele è un elemento simbolico, viene chiamato chamez, che, per ragioni rituali, ancora oggi viene eliminato nei giorni di preparazione alla Pasqua. Secondo la prescrizione contenuta nel capitolo XII dell’Esodo; la preparazione del pane azzimo spettava ai leviti, ed era collegata al sacrificio degli agnelli pasquali sacrificati nel tempio.  Oggi, poichè il tempio non c’è più, gli ebrei celebrano il rito del Biur chametz – Eliminazione del lievito – celebrato nella notte che precede il giorno in cui inizia Pesach, la Pasqua, e consiste nel ricercare il chametz in tutti gli angoli della casa, a lume di candela, per assicurarsi che non ci siano briciole da nessuna parte. Così, durante la settimana pasquale (15-21 di Nisan), celebrata in ricordo dell’uscita del popolo israelita dall’Egitto, mangiano il pane azzimo, che in in ebraico si chiama מצה, matzah. I Rabbini affermano che il chamètz rappresenta l’altezzosità, l’istinto al male, l’idolatria. E questo perché una pasta lievitata dà l’idea di un gonfiore inconsistente, senza sostanza. Ma c’è ancora di più! Già ai tempi di Gesù, non si poteva offrire il sacrificio dell’agnello se in tutto il popolo non si è eliminato il chamètz, cioè l’orgoglio, e l’idolatria. Nel Vangelo, dunque, Gesù si iscrive pienamente nella sua tradizione, ma allora, perché i suoi discepoli non capiscono? Perché erano preoccupati e perciò non ricordavano più che con Gesù il pane non manca mai, dato che il Maestro aveva già moltiplicato il pane più volte! Non hanno ancora capito che esiste una fame che solo Gesù può saziare, Lui, che è il pane del cielo! Esiste un pane che apre gli occhi e le orecchie, che intenerisce il cuore, un pane che fa ricordare le meraviglie compiute da Dio in nostro favore, un pane che rende capaci di amare, di condividere, di farsi dono offrendosi per gli altri. Il lievito dei farisei, invece, ci indurisce il cuore, perché ci concentra tutto nelle nostre preoccupazioni e, piano piano, diventiamo spenti, senza vita, col cuore indurito. Allora oggi, facciamo anche noi quello che fanno i nostri fratelli ebrei in occasione della Pasqua: cerchiamo di eliminare il lievito dell’idolatria e dell’orgoglio, non solo in superficie, ma in ogni angolo del nostro cuore, chiediamo la luce dello Spirito Santo perché, eliminata in noi ogni vanagloria e ogni idolatria, possiamo offrire un sacrificio di lode e gustare insieme il pane della gioia, dell’amicizia e della fratellanza con tutti quelli che oggi incontreremo. Buona giornata!

* Giuliva Di Berardino è insegnante di Religione Cattolica nella scuola pubblica. Laureata in Lettere Classiche a Roma, ha poi conseguito il Baccellierato in teologia presso la Pontificia Università Antonianum di Roma e la Licenza in teologia liturgica presso l’Istituto di Liturgia Pastorale di Padova. Attualmente è dottoranda nello stesso Istituto. Consacrata nell’Ordo Virginum della diocesi di Verona, mette a servizio della Chiesa la sua esperienza nella danza biblica e nella preghiera giudaico-cristiana guidando laboratori di danza e preghiera, dedicandosi all’evangelizzazione di strada e all’accompagnamento dei giovani. In seguito ai diversi interventi sulla teologia del corpo e della danza e ai numerosi laboratori svolti in Italia e in Europa, di recente ha pubblicato il libro “Danzare la Misericordia”, ed. dell’Immacolata, in cui descrive una vera e propria spiritualità della danza di lode, a partire dalla Bibbia. E’ anche pedagogista del movimento e guida di esercizi spirituali per giovani, religiosi e laici. E’ autrice di un blog dal titolo “Teologia e danza, Liturgia e vita” in cui condivide ogni giorno la meditazione del Vangelo nella rubrica “La Parola danza la vita”.

 

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