IL VANGELO DEL GIORNO: Gv 10,22-30 martedì 5 Maggio 2020
Ricorreva, in quei giorni, a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Ci troviamo, in questo vangelo che oggi la liturgia ci propone, nella Festa della dedicazione che celebrava la purificazione del tempio fatta da Giuda Maccabeo, un atto di rivolta religiosa ben organizzata dai fratelli Maccabei, seguita alla profanazione di Antioco IV Epifane. Il ricordo di questa festa, di cui si possono rintracciare gli eventi nel Libro dei Maccabei (2Mac 4,36.59), era una festa molto sentita al tempo di Gesù, vissuta in forme rituali di carattere popolare e in essa l’elemento della luce era quello maggiormente evidenziato, per il carattere simbolico che la luce evoca in tutte le culture e religioni. Anche oggi la festa della Dedicazione viene festeggiata dagli Ebrei con il nome di Hannukkà, o festa delle luci. Oggi questa festa cade nel mese di Dicembre, in prossimità del nostro Natale, quì il testo ci conferma che era inverno, quindi siamo nel pieno di questa festa, in un periodo dell’anno in cui, dal punto di vista astronomico, la luce comincia a vincere, gradualmente, sulle tenebre. Ora, sicuramente al tempo di Gesù e quando Gesù era, in quel giorno a Gerusalemme in occasione di questa festa, c’erano tante persone perché era una festa di carattere popolare e Gesù si trovava sul piazzale del Tempio, nel Portico di Salomone. Quì cominciano a interrogare Gesù, chiedendogli di rivelarsi apertamente. Gesù risponde insistendo sul rapporto pecora-pastore, che abbiamo visto ieri, e di cui Gesù ha già parlato, quindi già c’è stato un primo riscontro con questo tema. Ecco, Gesù lo riprende in questa occasione affermando che il rapporto pecora-pastore ha origine dalla voce, dal ri-conoscimento che la pecora vive alla voce del pastore. E’ come se Gesù volesse oggi fondare la rivelazione della sua persona in questa relazione che agisce, lo capiamo, nell’intimità. La voce è un elemento unico, personale che ciascuno di noi possiede in modo specifico, ci possono essere voci simili, ma la nostra è unica, così come è unica quella di colui che amiamo. Nel Cantico dei Cantici lo riscontriamo, in questo libro in cui leggiamo l’inno all’amore umano, ma che è possibile anche leggere in modo spirituale (e questa è stata la lettura che sempre ha proposto questo libro nella tradizione religiosa sia ebraica che cristiana), ecco, nel Cantico dei Cantici 2,8, la sposa riguardo all’amato esclama: “Una voce! L’amato mio!“. Riconosce questo sentimento dell’amore, lo abbina alla persona amata e questo riconoscimento è stato possibile dal semplice elemento della voce. Un elemento fondamentale che viene ripreso anche nel racconto di Giovanni all’alba della Pasqua quando Maddalena, all’alba della Pasqua, riconosce il Signore Risorto proprio dalla voce, non dall’aspetto. Questo riconoscimento di Gesù avviene perché le pecore che lo seguono (akolutheo, verbo della sequela nei Vangeli) e lo seguono perché conoscono la sua voce, lo ri-conoscono dal di dentro, grazie a una relazione talmente forte e intima che arriva a superare la morte: “Non saranno perdute (verbo apollumi, verbo che vuol dire anche rovinarsi, deteriorarsi, morire) in eterno e nessuno le rapirà (verbo arpazo, verbo che indica proprio l’azione di rubare qualcosa come un rapace, strappandolo alla sua vita) dalla mia mano!”. Le parole di Gesù quindi oggi ci confermano che seguire Gesù è vivere al sicuro, in pace, perché seguire Gesù è percorrere il cammino della vita, giorno dopo giorno, sotto lo sguardo amante del Padre che, nel Figlio, ama anche ciascuno di noi. Chiediamo allora al Signore oggi di farci vivere sempre più in profondità questa relazione così profonda con Lui, chiediamogli la grazia di un cuore capace di ascoltare la sua voce, di mettersi alla sua sequela per riconoscerlo sempre e ovunque, così che il nostro cuore possa prendere le dimensioni del suo, possa ampliarsi, si dilatarsi all’ infinito, e così contenere l’amore di Dio per questa umanità. Buona giornata!