«È gravissimo che una sentenza non ancora pubblicata della Corte Costituzionale possa essere trasmessa ad organi di stampa selezionati per una preventiva propaganda politica, come accaduto con l’articolo apparso oggi su Repubblica rispetto all’imminente pronunciamento della Consulta sul fine vita. Si tratta di un vulnus democratico di enorme gravità che getta un’ombra sull’imparzialità della Consulta e sul quale chiediamo l’intervento garante del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Gravissime, nel merito, anche le anticipazioni riportate dalla stampa, secondo cui la Corte Costituzionale, con una sentenza interpretativa di rigetto, sarebbe pronta ad allargare ancora di più le maglie dell’accesso al suicidio assistito da essa stessa arbitrariamente stabilite con la sentenza del 2019 nel caso ‘Dj Fabo’. In particolare, secondo l’anticipazione de La Repubblica, la Corte vorrebbe affidare a ogni singolo giudice la possibilità di qualificare come “trattamento di sostegno vitale” non solo la dipendenza dei malati da trattamenti che costituiscono una vera e propria sostituzione di funzioni vitali di base, ma anche la dipendenza da un piano terapeutico o dall’assistenza di terze persone, una condizione di estrema vaghezza che favorirà il suicidio assistito di persone fragili e psicologicamente provate».
Così Antonio Brandi, Presidente di Pro Vita & Famiglia sulle anticipazioni apparse oggi su La Repubblica, secondo cui una sentenza della Corte Costituzionale affiderebbe ai giudici la decisione, caso per caso, di stabilire i margini di un “trattamento di sostegno vitale”. Sentenza, tra l’altro, arrivata a seguito della richiesta dei legali di Massimiliano, un uomo toscano di 44 anni affetto da sclerosi multipla, aiutato da Marco Cappato a raggiungere la Svizzera per accedere alla morte volontaria assistita. L’uomo, infatti, non era dipendente da un trattamento di sostegno vitale inteso in senso restrittivo (come per esempio la ventilazione meccanica), ma era totalmente dipendente dall’assistenza di terze persone e ciò era considerato, dai richiedenti, alla stregua di un “sostegno vitale”.
«Questa sentenza conferma ciò che abbiamo sempre detto e abbiamo visto accadere anche all’estero quando si pretende di legalizzare il suicidio assistito e l’eutanasia: si comincia sempre con il denunciare casi limite estremi, fissando paletti, ma in poco tempo si aumentano le eccezioni, si allargano le maglie, si aumentano i casi e le situazioni in cui è tollerato aiutare altri a morire o ucciderli direttamente. Anche l’Italia si è quindi messa sulla strada dei pochi Paesi che oggi consentono di uccidere cittadini perfettamente sani ma afflitti da stanchezza di vivere, depressione o gravati da insuccessi e difficoltà esistenziali, anche di natura socio-economica. Rammarica che la Corte Costituzionale abbia voluto confermare questa direzione pro-morte a poche settimane da una importante sentenza con cui la Corte Europea dei Diritti Umani ha invece escluso in radice l’esistenza di un generico e presunto “diritto a morire” e a pochi giorni dal parere del Comitato Nazionale per la Bioetica che ha suggerito maggiore prudenza in tal senso».