Padre Francesco Panizzolo, francescano conventuale, dottore in utroque iure, residente a Padova, è un docente di diritto canonico e giudice del tribunale ecclesiastico del Triveneto. Ha lui abbiamo sottoposto alcune domande relative ai recenti Motu proprio di Papa Francesco Mitis iudex Domins Iesus per la Chiesa latina e Mitis et misericors Jesu per le Chiese orientali, resi noti lo scorso 8 settembre 2015 e riguardanti il matrimonio.
«La dottrina sul sacramento del matrimonio resta immutata», spiega il prof. Panizzolo in esclusiva per La Fede Quotidiana. «Circa il processo per la dichiarazione di nullità, le novità sia in ambito latino che orientale sono diverse e sono elencate nel proemio dei due motu proprio: viene abolita l’obbligatorietà della doppia sentenza conforme perché essa divenga esecutiva; viene dato risalto alla potestà giudiziale del Vescovo, prevedendo che possa essere giudice delle cause, soprattutto in quelle dove la nullità è più evidente; vi può essere anche un giudice unico, sotto la responsabilità del Vescovo; viene istituito il cosiddetto processo breve, presieduto dal Vescovo stesso, lì dove il fondamento della domanda sia più evidente; l’appello è rivolto alla Sede del Metropolita, dove il tribunale sarà in ogni caso collegiale. Il Papa invita anche alla gratuità delle procedure, lì dove essa non fosse già prevista. A queste innovazioni, si aggiunga la possibilità di avere due giudici laici nella terna giudicante».
Sulla stampa, specie quella laicista, si parla di rivoluzione rispetto al passato. E’ davvero così?
«È così soprattutto se confrontiamo la nuova normativa con quella tuttora vigente. Lo è meno se collochiamo la nuova normativa nel solco della tradizione della Chiesa: la doppia conforme non è sempre stata presente nei processi matrimoniali, come pure la centralità del Vescovo diocesano in tema sacramentale e la sua potestà giudiziale era ben nota in altre epoche. D’altronde, è l’auspicio che il Concilio Vaticano II aveva fatto. È una rivoluzione più marcata circa altri punti, come la presenza di due giudici laici nella terna giudicante (sebbene anche questa si collochi sulla scia di quanto già fatto da papa Paolo VI con Causas matrimoniales) o la sufficienza di un solo teste qualificato quale garante dei fatti presentati dai coniugi».
Qualcuno, dal lato opposto, ha parlato di grave ferita al matrimonio cristiano, sostenendo che al favor matrimonii si sostituisce il favor nullitatis, che viene a costituire l’elemento primario del diritto, mentre l’indissolubilità è ridotta a un “ideale” impraticabile. E’ davvero così?
«Non direi. Anche la procedura più breve prevede comunque il Vescovo come garante dell’indissolubilità del vincolo. Su questo punto, a mio avviso avrà giocoforza il ruolo del difensore del vincolo, che probabilmente sarà (come in parte è già) il vero collo di clessidra per la vigilanza sulle procedure prima dell’esecutività della sentenza».
L’attribuzione al vescovo diocesano della facoltà, come giudice unico, di istruire discrezionalmente un processo breve e arrivare alla sentenza è davvero una buona scelta? Non c’è il rischio che la dichiarazione di nullità diventi una pura formalità?
«Occorre notare che non è a discrezione del Vescovo istruire un processo breve: il secondo paragrafo del canone 1676 del Codice di Diritto Canonico prevede che sia il Vicario giudiziale a determinare come procedere. Se si procede con il processo breve, sempre il Vicario giudiziale nominerà istruttore e assessore. Essi devono essere consultati dal Vescovo, prima di emettere il giudizio e sempre che si sia raggiunta la certezza morale necessaria. La procedura è quindi veloce, ma i soggetti coinvolti restano comunque diversi, a garanzia della non parzialità del giudizio. Che poi ci possano essere abusi, ahimé, questo capita anche con i procedimenti attuali, come ci ricordano i discorsi alla Rota Romana di papa Benedetto XVI».
A ottobre ci sarà il Sinodo. Crede che si arriverà a permette la comunione ai divorziati risposati o conviventi o saranno altre le soluzioni?
«Non credo si arriverà a questa soluzione, semplicemente perché non sarebbe una soluzione, bensì un saltare a piè pari il lieto annunzio sul matrimonio. Piuttosto, mi pare che papa Francesco abbia dato con questi motu proprio un segno forte del suo interesse per praticare vie accessibili in questa materia così delicata. Se vi saranno altre soluzioni, auspico che siano sulla linea della seria e prolungata formazione previa (e seguente) al matrimonio come sacramento della fede».
Il diritto canonico, da alcuni, è considerato come il figlio povero della Teologia o, peggio, si invita a evitarlo. Può indicarci i motivi per i quali, invece, servirebbe un rilancio di tale materia, in simbiosi anche con altre discipline teologiche?
«Il diritto canonico è espressione dell’organicità del corpo ecclesiale e strumento di comunione ecclesiale. Eliminare il vissuto giuridico dalla Chiesa significa farla crollare su se stessa, eliminando quanto lo Spirito Santo ha edificato nei secoli su quella “pietra di scarto” che era Gesù. Esso va pertanto studiato e vissuto in sinergia con tutti i saperi che sgorgano dal tesoro di Cristo, da cui d’altronde esso prende vita, per poter riportare tutti a Cristo stesso e alla comunione con lui».
Matteo Orlando
“Occorre notare che non è a discrezione del Vescovo istruire un processo breve: il secondo paragrafo del canone 1676 del Codice di Diritto Canonico prevede che sia il Vicario giudiziale a determinare come procedere.”
Ma il Vicario giudiziale chi lo nomina?
Il Vicario giudiziale è nominato dal Vescovo diocesano:
– can. 1420 §1: “Tutti i Vescovi diocesani sono tenuti a costituire un Vicario giudiziale…”.
– can. 1420 §4: i Vicari giudiciziali “devono essere sacerdoti, di integra fama, dottori o almeno licenziati in diritto canonico e che non abbiano meno di trent’anni”.
Anche i giudici sono nominati dal Vescovo diocesano:
– can. 1421 §1: “Nella diocesi il Vescovo costituisca giudici diocesani chierici”.
Dunque, in ogni caso si continua a fare come già era previsto prima di Mitis iudex.