“Quanto composto dolore e che dignità nei parenti delle vittime del disastro ferroviario di Andria”. Lo dice in questa intervista il cappuccino padre Leonardo Nunzio Di Taranto cappellano del Policlinico di Bari dove, presso l’istituto di Medicina Legale, hanno sostato le salme delle vittime per il doloroso riconoscimento. Il religioso ha assicurato assistenza spirituale in questa circostanza tanto penosa. Lo abbiamo intervistato dopo una certa giustificata resistenza.
Padre Di Taranto, in che stato ha trovato i parenti delle vittime?
” Rispondo ovviamente per quelli che ho potuto contattare. Erano svuotati e lo capisco. Però in tutti ho percepito compostezza, dignità nel lutto. Da religioso e uomo mi unisco al loro dramma e chiedo che sia fatta giustizia, chi ha sbagliato a tutti i livelli, paghi il conto”.
Che cosa fa il cappellano in simili casi?
” Prima di tutto, saper ascoltare, far sfogare chi è nella tribolazione, chi si è trovato davanti alla morte improvvisa di un essere caro. A costui non ha senso parlare subito di Dio, sarebbe un controsenso, spesso vede Dio come nemico. Bisogna prima di tutto accarezzare l’anima, solidarizzare a parole e gesti, mettere una mano sulla spalla, conta anche il silenzio. Successivamente, solo se lo vuole, arriva la preghiera, ma è uno stadio che arriva dopo. Recitare una orazione fuori tempo è come entrare a gamba tesa, si deve fare solo se vi è una richiesta chiara. Il primo compito del cappellano, spesso impossibile, è dare risposta al quesito: perché a me, Dio dove sei? E’ una costante per un cappellano anche nella vita di ogni giorno, quando il malato soffre o si è perduto un parente “.
Che cosa raccontare davanti alla morte e al lutto?
” Anche io sento tanta impotenza, spesso non so trovare risposte giuste e in particolare questo incidente ferroviario ha lasciato tutti sconvolti. Penso che davanti alla rabbia di chi è flagellato dal lutto dobbiamo essere miti anche se ascoltiamo una bestemmia e il rimprovero verso Dio: è persino fisiologico il rifiuto di Dio da parte di chi all’ improvviso affronta il male. Ma il cappellano in questi casi non deve difendere Dio, si sa difendere da solo. Se da sacerdote inizio a fare l’ avvocato difensore di Dio ottengo l’ effetto contrario, la persona diventa aggressiva. Quello è il momento della carezza e della vicinanza, la preghiera arriva dopo”.
Può raccontarci qualche sfogo?
” Mi è rimasta nella mente la delicatezza e la compostezza della vedova di un ferroviere morto in questo disastro. Avrebbe dovuto andare in pensione a dicembre. Ma in tutti i parenti delle vittime ho visto tanta dignità nel dolore, gente silenziosa e pacifica, duramente colpita. Ma ora, dopo il pianto, si faccia giustizia a tutti i livelli”.
E’ importante il ruolo del cappellano di ospedale?
” Certo. Anche se spesso è sottovalutato. Per il senso comune quello che conta è l’ infermiere o il medico. Ci si dimentica di quanto conti la fede nel sopportare lutto e malattia. Pregare aiuta “.
Bruno Volpe