«Se è importante scoprire la radice della misericordia è altrettanto urgente capire quali sono i frutti dell’agire misericordioso di Dio. Sarebbe “grazia a buon mercato” pensare la misericordia come una sanatoria che mette i conti a pari con Dio per poi ricominciare da capo. È vero che la misericordia di Dio va oltre i nostri peccati ma è anche vero che essa richiede una conversione sincera e una vita cristiana che ci faccia essere misericordiosi. Infatti la frase-guida di questo giubileo non è “Dio è misericordioso” ma “Siate misericordiosi come il Padre”. Cioè, sapere che Dio è misericordioso ci deve spronare a essere come Lui». Così insegna il Cardinale Francesco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento.
Il Giubileo «è insieme tempo di contemplazione della misericordia divina e tempo di azione misericordiosa per noi cristiani. Se non vogliamo essere albero che non da’ frutto, o ridurre l’anno santo solo a un insieme di celebrazioni o di pellegrinaggi dobbiamo tener presente e la domanda: “Cosa dobbiamo fare?” e la risposta di Giovanni che ha indicato la via della carità che si fa dono […] della giustizia a tutti i livelli […] e del rispetto di ogni vita umana […] È così che la misericordia diventa operosa e si trasforma in impegno e in responsabilità». Dio ci ha insegnato come si fa ad essere misericordiosi – dice il Cardinale di Agrigento – «ora tocca a noi imitar Lo. Ci ha mostrato che la misericordia consiste nell’aprire il cuore quando ci si accorge delle miserie altrui. Non possiamo invocare il perdono di Dio e poi ritornare a quell’ozio spirituale che diventa indifferenza e ci rende dei “manichini liturgici”. Dobbiamo conoscere le miserie del nostro tempo; aprire cioè gli occhi su ciò che accade nel nostro territorio e intervenire con l’amore che abbiamo ricevuto da Dio».
Attenzione, avverte il Cardinale, «a non essere noi cristiani ciechi che se ne stanno con le mani giunte pensando di piacere a Dio a forza di novene e feste popolari». Il nostro tempo e il nostro territorio «sono pieni di miserie e di povertà che molto spesso si trasformano in tragedie: sono molti coloro che fanno uso di droghe, o che si giocano il poco che hanno nei punti-scommessa disseminati nei nostri comuni, o che cadono nelle trappole mortali dell’usura o della malavita. A loro si uniscono le persone sole che vivono situazioni di malattia senza potersi pagarsi le medicine, anziani che vivono da soli, immigrati abbandonati alla loro sorte, giovani disoccupati in balia del nulla, uomini e donne di tutte le età, che vivono gravi forme di dipendenza da alcool o da gioco d’azzardo; giovani – a volte pure giovanissime – che si prostituiscono anche solo per una ricarica telefonica. Quante miserie! Quanta miseria! E noi, come facciamo a non chiederci: “Cosa dobbiamo fare?” Da anni sto chiedendo di fare la lettura del territorio per capire cosa si vive tra le case e le nostre strade ma, diciamocelo, manca inspiegabilmente l’interesse di tanti presbiteri e operatori pastorali. Mi chiedo, come si può progettare la pastorale senza tale conoscenza? Non riesco a convincermi quando mi si dice che si conosce la parrocchia. In tempi in cui la vita sta cambiando velocemente … noi, lasciatemelo dire, è come se non ce ne accorgessimo. È come se il nostro territorio fosse altro dalla nostra attività pastorale, spesso ripiegata su pochi. Come se la nostra unica preoccupazione fossero le celebrazioni, le chiese, le belle statue da portare per le strade durante feste costosissime…ma poi quello che vive la gente dentro le case e le tante miserie che le affliggono ci scivolassero via. Conosco gli sforzi che fate anche attraverso le Caritas parrocchiali o altro ma vi prego: apriamo gli occhi, andiamo incontro alle tante povertà di questo tempo. Il Papa ci invita a vivere le opere di misericordia corporali e spirituali perché in ogni fratello che aiutiamo, in ogni forestiero che ospitiamo, in ogni affamato a cui diamo un po’ di pane c’è Gesù. Lo stesso Gesù presente nell’Eucaristia, nella Parola e nella Comunità. Se è importante partecipare alla Santa Messa, è altrettanto importante correre dall’ammalato o dal bisognoso o difendere i diritti di chi è ultimo. Anche presso di loro c’è Gesù, lo stesso dell’Eucaristia! Anche i poveri vanno contemplati come si contempla l’Eucaristia. Quando nel giudizio finale giusti e condannati, meravigliati, chiedono al Giudice “quando mai?” hanno fatto o non fatto alcune cose, Lui risponde: “Tutto quello che avete fatto ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Quelle azioni segneranno per sempre la nostra salvezza – se le avremo fatte – o, in caso contrario, la nostra condanna. Saremo giudicati sull’amore concreto e sulla misericordia, non su quello cantato o recitato. Convinciamoci che non possiamo dividere le tre mense che fanno la nostra identità cristiana: la mensa della Parola, quella dell’Eucarestia e quella dei poveri. Se ne manca una le altre due sono falsate e non c’è comunità. Né basta scusarsi dicendo che c’è il gruppo della carità. Perché la carità è di tutti e non si può delegare. Ogni mensa rimanda all’altra: la Parola fa desiderare l’Eucarestia che fa sentire il bisogno di muoversi verso il povero. Non è possibile una vita cristiana schizofrenica! Se abbracciamo la proposta fatta da Gesù, vivere il Giubileo significherà far si che le comunità arrivino finalmente a questa visione equilibrata e armoniosa. Così, ad esempio, sarebbe bello se nelle nostre parrocchie mentre alcune persone stanno in adorazione davanti a Gesù presente sull’altare, altre vanno a visitare e tenere compagnia ai vari malati, anziani o poveri della parrocchia; la settimana successiva quelli che hanno servito si fermeranno ad adorare e gli altri andranno a visitare. Fare giubileo non deve neppure significare andare in massa, soprattutto per Natale, o in altro giorno, negli ospedali o nelle case per anziani a fare festa. Sarebbe meglio se a turno, ogni giorno, per un anno, a due a due si va a fare compagnia a chi ne ha bisogno. La costanza riuscirà a cambiare la vita della parrocchia, perché l’ora della preghiera diventerà l’ora della carità. Così come […] in occasione delle feste popolari proviamo a spendere di meno e investiamo in gesti concreti di carità. C’è troppa povertà in questo nostro territorio. Non tutti mangiano ogni giorno! Certe feste patronali sono scandalose per lo sciupio del denaro. Dio è contento quando aiutiamo qualcuno a sorridere e a vivere! Il nostro sia un cristianesimo pieno di umanità, ma non vissuto con gli occhi chiusi per evitare di essere disturbati».
Dio, conclude il cardinale Montenegro, lo «troviamo sempre dove c’è il povero, dove c’è qualcuno che lotta per la verità, la giustizia, il rispetto, li dove ci sono dei crocifissi! […] Se lasciamo chiusa la porta del cuore, il Giubileo si ridurrà a una semplice manifestazione esteriore. Perciò cuori che si aprono, comunità, parrocchie, gruppi, movimenti, associazioni…che si aprono a Dio, ai poveri, tra loro perché nell’incontro dell’uno nell’altro sperimentiamo la vera gioia».
Matteo Orlando