“La dottrina della Chiesa non può cambiare. Il Sinodo è chiamato, come è giusto che sia, a verificare e cercare nuovi criteri pastorali “: lo dice il cardinale portoghese Josè Saraiva Martins, prefetto emerito per la Congregazione delle Cause dei Santi.
Eminenza che cosa è chiesto al Sinodo?
“Bisogna ricordare che il Sinodo è sicuramente un organismo importante della chiesa, ma ha poteri solo di consultazione. Non ha dunque nessun potere, come è giusto che sia, di modificare la dottrina che rimane sempre quella. Occorre avere rispetto per il deposito della fede. Questo è un punto fermo e non derogabile. Tuttavia, se un Sinodo è stato convocato, questo significa che bisogna saper discutere questi problemi con franchezza e realismo”.
Su che cosa?
“Il tema è la famiglia con le sfide di questi giorni. Ogni tanto si ha la necessità di fare il punto su come stiamo evangelizzando e sulla efficacia della pastorale, adeguandola con criterio ai tempi nuovi. Ma il tutto senza colpi di testa che portano fuori strada e soprattutto senza mutare la dottrina”.
Dare la comunione ai divorziati risposati?
“Nessuno è autorizzato a mettere in discussione il principio della indissolubilità del matrimonio che rimane fermo e inderogabile. Del resto, alterandolo, varrebbe demolire il Vangelo cosa che è impossibile. Non penso che si possa dare la comuione al divorziato risposato proprio in virtù del principio poco prima enunciato. Indubbiamente occorre avere tenerezza e misericordia verso questi fratelli che soffrono, i quali sono nella chiesa, ma le fughe in avanti non aiutano per niente”.
Coppie gay ed unioni civili?
“Anche qui bisogna chiarire. La famiglia, quella vera e sola, è formata da uomo e donna uniti nel vincolo sacramentale del matrimonio. Ogni altra unione non è famiglia in senso cristiano. Le ribadisco: i principi rimangono quelli e dunque anche nei riguardi delle coppie omosessuali, pur avendo delicatezza pastorale, non è possibile dare la comunione. Era e resta il principio di base: le unioni improprie sono fuori dal modello ecclesiale. Tutto questo, certamente, non esclude che si possa cercare un rinnovato linguaggio pastorale adeguato ai segni dei tempi”.
Bruno Volpe