Di Padre Giuseppe Agnello*
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Oggi ci ritroviamo a riflèttere sul matrimònio, non sulla base delle statístiche, delle leggi dello Stato, delle usanze dei varî pòpoli, della durezza dei cuori, ma sulla base della Legge di Dio.
Se parlàssimo di esso seguendo le statístiche ci verrebbe lo sconforto.
Se seguíssimo le leggi degli Stati per capire che cos’è il matrimònio, perderemmo la lògica e il princípio di non contraddizione, perché oggi gli Stati hanno abbandonato la legge naturale e séguono i capriccî delle maggioranze, il che si traduce in una confusione di leggi, di concetti di famíglia, di diritti che reinvèntano tutto, anche la paternità e maternità.
Se facéssimo una ricognizione degli usi e costumi matrimoniali nei varî pòpoli dei diversi continenti, ci perderemmo di casa e avremmo solo segni di benedizione, di festa e di augúrio, che non ci darèbbero notízie delle radici di questo amore, ma solo notízie sulle fronde di questo àlbero.
Sulla base della “durezza dei cuori”, poi, (espressione che usa Gesú per indicare il permesso dato da Mosè riguardo all’atto di ripúdio), possiamo parlare fino a domani di ideologie sull’amore, sulla sessualità, sul corpo, sui divorzî lampo, perché quando l’uomo presume di saperne piú di Dio e piú degli altri, si impegna a spiegare con ogni particolare i vantaggî del male o della parte sganciata dal tutto. Parlare di un mistero di amore e dell’amore di còppia, però, con i cuori duri, vuol dire trattare con freddezza mortale un tema di vitale importanza. L’amore sponsale, infatti, e la famíglia cristiana che in esso si innesta, come sacramento, sono il fondamento di tutto il benèssere, l’órdine, la ricchezza, il futuro materiale e spirituale di una nazione. Piú le famíglie sono sfasciate, sconquassate, e divise, piú la società e la cultura sono imbarbarite. Piú le famíglie sono abitate da egoisti senza cura per le pròprie ànime, piú la società sarà attratta dall’apparenza, dalla vanità, dal consumismo. Piú le famíglie vivranno senza fede in Dio e nella sua Provvidenza, piú si sarà chiusi alla vita nascente, chiusi a piú di tre figlî, chiusi alla giòia di sacrificarsi per il còniuge o per i figlî. Il mondo che non fugge il peccato, ma lo propone come via di liberazione, non può dirci nulla di interessante sul matrimònio: può al piú al piú parlarne come un ideale o come un fallimento, come una condizione temporànea di felicità e, dunque, come un inganno dei sentimenti. Dio, invece, e la Chiesa che da Dio fa dipèndere la sua sapienza, ci inségnano che il matrimònio è il progetto primordiale di cooperazione alla creazione (cosí nàscono i figlî); è il modo in cui due persone di sesso diverso si complètano (cosí nasce la dedizione recíproca dei còniugi); è il sacramento dell’amore di Cristo per la Chiesa, cioè dello Sposo Eterno per la Sposa (da qui nasce l’indissolubilità del matrimònio). Tutte queste cose oggi ce le diceva la Parola di Dio.
Nel brano della Gènesi si parla della volontà creatrice di Dio di non farci indivídui, ma persone che cèrcano di completarsi e di èssere corrisposte nel pròprio bisogno di èssere amate: «Non è bene che l’uomo sia solo: vòglio fargli un aiuto che gli corrisponda» (Gn 2, v.18). A scanso di equívoci su chi sia il vero aiuto dell’altro e il vero completamento dell’altro, Gesú, nel Vangelo, citando sempre la Gènesi ricorda che fúrono creati «Màschio e fèmmina», per sapersi l’uno l’aiuto dell’altro, ma che solo da marito e mòglie «diventeranno una sola carne». Per tutte queste ragioni Gesú dice ai farisei che vorrèbbero il permesso infinito di divorziare e la pace di coscienza di non avér fatto nulla di male: «L’uomo non divida ciò che Dio ha congiunto». Dio ha congiunto il corpo all’ànima e l’ànima al corpo; ha congiunto (nelle nozze) l’uomo e la donna nella condivisione totale di sé stessi finché morte non li separi; ha congiunto il matrimònio a un rito religioso, perché non fosse mai banalizzato il rapporto misterioso che intercorre tra i due innamorati; e ha congiunto questo rapporto al dono della vita e alla generazione (física: per chi può avere i figlî; o spirituale: per chi non può avere i figlî), perché entrambi i còniugi sapéssero uscire fuori da sé stessi e dalle pròprie soddisfazioni per chinarsi sui bisogni dei píccoli, dei figlî, di coloro che sarèbbero stati generati dal loro esèmpio stesso di amore. Chi osa divídere tutto questo, chiamerà il divòrzio una conquista di civiltà; “famíglia” ogni convivenza lussuriosa, e il matrimònio una follia. Noi cattòlici vogliamo fare capire al mondo intero i tre gradi dell’amore e anche il perché se non si tende all’último grado (cioè alla testimonianza da dare a Gesú Cristo nel matrimònio), anche i primi due gradi si degràdano. Il Veneràbile Fulton Sheen, nel suo libro TRE PER SPOSARSI, cosí spiega le tre fasi dell’amore nel matrimònio in un processo ascendente e trasfigurante: l’amore sessuale, l’amore personale e l’amore cristiano. Il primo soddisfa il desidèrio di appagamento nel piacere. Chi si ferma a questo è come colui che ha una casa di tre piani, ma conosce solo il pian terreno in ogni suo angolino. Si perde però la bellezza del primo piano e il paradiso terrestre del terzo piano. Dice Fulton Sheen che questo tipo di amore, basàndosi sul piacere è facilmente sostituíbile. Per evitare la sostituzione esiste dunque il secondo grado di amore, quello personale: «Nell’amore personale non c’è possíbile sostituzione di persona: si ama una data persona e non un’altra», perché ne riconosco il valore, le virtú, le affinità con i miei interessi, l’integrità morale, o la simpatia. Anche questo tipo di amore però ha un límite: ricercando sempre la reciprocità, può fare diventare ciechi, per eccessiva comprensione dell’altro. Chi stravede per il pròprio amato, finirà per chiamare i difetti virtú, giustificando tutto, per ottenere in càmbio l’amore di cui si ha bisogno. Occorre allora salire al terzo piano dell’amore, che è l’amore cristiano, quello che mi fa amare l’altro come Cristo ci ama. Cristo ci ha amati mentre eravamo ancora peccatori e ingrati; senza sperare di èssere ricambiato; con il màssimo spírito di sacrifício e avendo a cuore la salvezza delle nostre ànime. Questa affermazione non vuole sanare i matrimonî nulli o dire che va bene tutto purché si sopporti eroicamente tutto, vuole semplicemente ricordarci che un matrimònio può èssere felice se entrambi i còniugi vògliono imitare l’amore di Cristo e pènsano alla salvezza e santità recíproche; ma resta un matrimònio cristiano, con le consolazioni che solo Dio sa dare, – cito di nuovo Fulton Sheen – «se anche si trattasse di un matrimònio infelice…perché l’altro còniuge verrebbe ugualmente amato per amore di Cristo e per prolungare gli effetti della redenzione».
XXVII Doménica del T.O. anno B, 6 Ottobre 2024. Gn 2, 18-24; dal Sal 127; Eb 2, 9-11; Mc 10, 2-16.
*L’autore aderisce ad una riforma ortografica della lingua italiana