Per il Patriarca di Venezia “fare il presepe non è ipocrisia”. Lo ha detto mons. Francesco Moraglia, alla Radio Vaticana, dopo le polemiche a Padova (dove un prete ha chiesto ai suoi concittadini di non fare il presepe per rispetto dei poveri e dei migranti “perché ormai diventato un segno esteriore dell’ipocrisia imperante”).
“Non è un’imposizione. E’ segno universale d’amore e d’accoglienza per tutti”, ha rilanciato il Patriarca di Venezia. Per monsignor Moraglia il mondo moderno deve riscoprire la potenza dei simboli cristiani, spesso strumento di trasformazione del nostro cuore. “La questione non è se fare o meno il presepe: è la nostra conversione. Certamente, bisogna dire no all’ipocrisia e allo scarto ma non può essere il presepe a rimetterci per colpa di questi atteggiamenti sbagliati”.
“Il presepe contiene un’idea, una proposta. In fondo, è un esame di coscienza vivo. E non è mai un’imposizione. Pensi che in Veneto diversi bambini delle elementari hanno scritto delle lettere per chiedere che non venisse tolto il nome di Gesù da una canzone di Natale. Tra loro c’erano anche bambini di altre religioni. Le idee incidono sulla mentalità”, ha spiegato il pastore delle Chiese venete.
Inoltre, per monsignor Moraglia, il presepe presenta anche “una lettura laica” da proporre ai non cristiani. “L’umanità è fatta anche dagli ultimi e per i cristiani gli ultimi sono rappresentati da Gesù. Il presepe deve diventare un’occasione non per fare polemiche ma per gustare una lezione di vera umanità perché rappresenta l’amore universale per tutti”.
Per mons. Moraglia “il crocifisso e il presepe sono simboli che garantiscono l’accoglienza e l’unità, quindi non si capisce perché si attacchino. Papa Francesco ha parlato di certi mali oscuri che annebbiano l’intelligenza ed il cuore delle persone che li mettono in pratica. Se la prendono con dei simboli che invece potrebbero essere la soluzione di tanti problemi umani”.
Finalmente un Vescovo che parla e parla chiaro. E quelli delle altre diocesi?
Ogni anno in Avvento ci chiediamo: cos’è il Natale? Il Presepe pare fatto apposta per risponderci.
C’è innanzitutto il Presepe originale, quello avvenuto 2000 anni fa e riportato dai quattro Vangeli. Il Presepe di s. Marco non descrive la nascita di Gesù: è già tutto nelle sue prime parole: “Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio”. Il Natale, ci dice, è innanzitutto un atto di fede che vede nel Bambino di Betlemme il Figlio di Dio. Senza fede non c’è Natale cristiano. Il Presepe di s. Matteo si anima di personaggi: la Vergine, s. Giuseppe, la stella, i Magi, Erode. Quello di s. Luca, ancora più dettagliato, ne ricorda il tempo, il censimento, il luogo, la mangiatoia dov’è deposto il Bambino, l’irrompere della luce nella notte, il canto degli Angeli, lo stupore dei Pastori. Il Presepe di s. Giovanni, infine, è racchiuso nel mistero dell’incarnazione: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare fra noi”.
C’è poi il Presepe di Greccio, memoria vivente del Natale voluta da s. Francesco che vi partecipa in paramenti diaconali per incontrare il Bambino nella Messa che vuole vi sia celebrata.
Il Natale dunque è fede in Cristo e accoglienza di Lui non più nella grotta ma nella Chiesa.
Rattrista che si sia diffusa la pessima moda di allestire presepi che ripropongono vecchi temi pagani d’un tempo in versione moderna. Il dio sole, la pax romana, i popoli e le religioni dell’Impero riappaiono come colori dell’arcobaleno, bandiere, reticolati, moschee, barconi e migranti. Portare il mondo nel Presepe anziché il Presepe nel mondo è cancellare il vero Natale: la nascita del Figlio di Dio!
Da notare infine 1 – che la parola “presepe” deriva dal latino “praesepium” che traduce l’equivalente termine greco che significa “mangiatoia”. Doveroso quindi far nascere Gesù su una mangiatoia e in una stalla dove si può pensare vi fossero asino e bue. 2 – Giuseppe e Maria, profughi in Egitto perché perseguitati, si erano regolarmente presentati al censimento per dichiarare la propria identità. Dunque, far nascere Gesù su un barcone assomigliandolo ai migranti clandestini è un abuso, anzi, non è neppure un vero “presepe”.