E’ morto negli scorsi giorni uno dei più noti pensatori cattolici francesci, Michel Tournier. La sua era l’arte del racconto. Dell’inventare, o meglio, nel suo caso, di reinventare. E in questa arte riuscire ad essere sempre originale, sempre fuori dal comune. Ed è proprio perché fuori dal comune Tournier decise di ritirarsi, come un eremita, all’età di 34 anni (nel 1958) a Choisel, un villaggio di 500 abitanti nella campagna francese a un’ora d’auto da Parigi. Non per coltivare l’immagine dello scrittore eremita ma, anzi, «per amore della società», come spiegò in tv quando vinse il premio Goncourt, nel 1970 con Il re degli ontani .
«Ho abitato a Parigi in mezzo a quella folla indistinta — raccontò — in un palazzo dove non conoscevo neanche il nome dei vicini. Credo che il padre di famiglia numerosa che guida un’azienda con molti dipendenti e vive in una grande città soffra di solitudine molto più di me. Qui almeno conosco le poche persone che incontro, ci parliamo, abbiamo un rapporto umano”. Ed era questo amore per le persone che ha sempre animato il suo mestiere, da artigiano della parola. Famoso il suo Venerdì o il limbo del Pacifico, una rilettura del Robinson Crusoe. Disse qualche anno fa in un’intervista alla tv francese che “è il frutto di tre anni di studi che ho fatto al Museo dell’Uomo sotto la guida di Claude Lévi-Strauss. All’epoca in cui seguivo i suoi corsi, aveva appena pubblicato Tristi Tropici, che parla di quest’alternativa idiota tra l’uomo “civilizzato” e l’uomo “selvaggio”. Sono categorie inesistenti. Mentre seguivo le lezioni ho riletto il romanzo di Daniel Defoe Robinson Crusoe e mi sono detto allora che avevo per le mani un tema formidabile. Non grazie a Robinson, ma grazie a Venerdì, passato sempre sotto silenzio. È un romanzo di un’attualità straordinaria. Con Venerdì, il Terzo mondo bussa alla porta di Robinson. Un tema molto contemporaneo, quello dei sans papier”.
L’attenzione all’Uomo in generale, in questo caso diviene attenzione verso i più deboli. Altro libro che lo rende celebre agl’occhi della critica letteraria è una vera e propria favola. Una favola che nasce dal Vangelo. L’attenzione ai ragazzi, ai fanciulli per Tournier è fondamentale. Si tratta della storia dei Re Magi, che nel testo dello scrittore francese diviene “qualcosa” che ben ricorda Le mille e una notte: un’interpretazione ricca di elementi ironici, con finissimi riferimenti storici, letterari, biblici dove mito, realtà e fiaba si mescolano in un gran turbinio narrativo. Si tratta di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre: “E’ il mio libro cristiano e per me è il migliore”, così aveva sentenziato. La sua era vera e propria vocazione, quella di racconatre, di emozionare il pubblico. “Non sono i soldi che mi interessano, è il lettore. È per lui che scrivo. Mi capita spesso di pensare a lui quando sono seduto alla scrivania. “Guarda, questa scena gli piacerà, sarà contento, o commosso”. Questo mi basta per essere felice». E ora, chissà cosa scriverebbe, dopo aver visto il Cielo? Immaginiamolo solamente, come lui stesso avrebbe fatto.
Antonio Tarallo