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Padre Angelo Bellon
Padre Angelo Bellon

«Che il Signore vi benedica tanto in questa ricorrenza. E grazie tante per tutto quello che fate nella e per la Chiesa». Con queste parole, al termine dell’Angelus di domenica 8 novembre, Papa Francesco ha ricordato l’Ordine Domenicano, attualmente guidato da Padre Bruno Cadoré, maestro generale (il Generale dei domenicani), che il 7 novembre ha inaugurato con una Messa nella Basilica romana di Santa Sabina, un anno giubilare indetto per celebrare gli 800 anni dalla fondazione dell’Ordine dei Predicatori. L’anno speciale si concluderà il 21 gennaio 2017, data della Bolla “Gratiarum omnium largitori” con cui Papa Onorio III riconosceva l’Istituto. Il tema che guiderà i domenicani in tutti questi mesi è “Mandati a predicare il Vangelo”.

«L’ordine domenicano comprende: frati (sacerdoti, cooperatori, studenti e novizi), monache e laici (i “terziari” e consacrati che vivono nel mondo, vale a dire i membri degli Istituti secolari domenicani). – spiega padre Angelo Bellon, teologo morale, frate domenicano che su internet risponde alle varie domande spirituali dei lettori sul portale amicidomenicani.it – Tutti questi, ognuno secondo la propria parte, sono sotto la giurisdizione del Maestro dell’Ordine. E si parla di famiglia domenicana: questa è costituita da tutti i membri dell’Ordine, dalle Suore e da altre associazioni che si ispirano al carisma di san Domenico. I terziari in genere sono sposati, padri e madri di famiglia. Si incontrano periodicamente per i loro incontri di formazione e sono assistiti da un sacerdote domenicano. Nel XX secolo sono state belle figure di terziari domenicani il beato Pier Giorgio Frassati, il beato Bartolo Longo e il servo di Dio Giorgio La Pira. I terziari provvedono alla loro vita cristiana attraverso la formazione dottrinale e spirituale, la vita di preghiera, la partecipazione all’Eucaristia e la vita della fraternita. Nel nostro Ordine lo studio costituisce una componente essenziale. San Domenico, proprio per il carattere apostolico che intendeva dare alla sua fondazione, ha sostituito il lavoro (tipico delle comunità monastiche benedettine: ora et labora) con lo studio. Per cui la vita del domenicano, vissuta all’interno del convento e pertanto condivisa con altri, passa incessantemente dalla preghiera allo studio e viceversa, per poi riflettersi sull’apostolato. Posso garantire che non c’è niente di più bello che avere la mente e il cuore sempre occupati da Dio. È una specie di paradiso anticipato, perché l’unione con Dio nella contemplazione è, al dire di san Tommaso d’Aquino, e di quelli che ne hanno fatto l’esperienza, una assaggio di Paradiso. Per questo poi il domenicano dovrebbe annunciare non un Verbum qualecumque, ma un Verbum spirans amorem».

In Italia l’Ordine domenicano è diviso in tre province: nord, centro e sud. E padre Angelo Bellon appartiene alla provincia Nord. «San Domenico – ricorda Padre Bellon – si caratterizzava anzitutto come uno che, secondo quanto ricorda santa Caterina, “attendeva solo all’onore di Dio e alla salute delle anime col lume della scienza”. Non solo san Domenico, ma anche il domenicano è uno che ha dentro di sé una grande passione: l’amore di Cristo e la salvezza delle anime. San Domenico disse al vescovo di Cracovia che gli chiedeva frati per evangelizzare il resto della Polonia: “Datemi degli uomini e io li trasformerò in apostoli”. Se un domenicano non lo si vede incessantemente unito a Cristo nella preghiera, nello studio, nella carità fraterna, nell’esercizio dell’apostolato è come un corpo senz’anima, e cioè un cadavere. Avrà la parvenza esterna del domenicano, come il cadavere ha la parvenza della persona, ma non è un vero domenicano. L’obiettivo primario è lo stare uniti al Signore, l’essere trasformati in Lui e diventare apostoli, come vasi traboccanti per pienezza di vita interiore. San Tommaso ha coniato il motto dell’Ordine domenicano con queste parole: “Contemplari et contemplata aliis tradere” (contemplare e comunicare agli altri le realtà contemplate), contemplazione che è “sguardo di fede fissato su Gesù, ascolto della parola di Dio, silenzioso amore, unione con la preghiera di Gesù e con i misteri della sua vita” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2724).

La predicazione dei domenicani (con l’insegnamento, con gli scritti, con l’arte, con la ricerca scientifica, con la predicazione itinerante e sotto qualsiasi altra forma) «sgorga dalla loro vita, che è una vita di unione con Dio mediante la contemplazione, lo studio, la vita comune, la preghiera personale e corale e la vita regolare. È la loro vita che li induce a predicare in un determinato modo».

Scrive San Tommaso, spiega padre Bellon «Poiché dunque lo Spirito Santo non fa mancare nulla di quanto giova al bene della Chiesa, così egli ha provveduto ai membri di essa anche riguardo ai loro discorsi: facendo sì che non solo parlassero in modo da poter essere compresi da genti diverse, mediante il dono delle lingue, ma anche parlassero con efficacia, mediante il carisma della parola. E tale efficacia si esplica in tre modi. Primo, istruendo l’intelletto dell’ascoltatore: e ciò avviene quando uno parla in modo “da insegnare” (ut doceat). Secondo, muovendo gli affetti, così da fare ascoltare volentieri la parola di Dio: il che avviene quando uno parla in modo “da piacere” agli uditori (ut delectet). Terzo, facendo sì che uno ami le cose che vengono espresse dalla parola, e voglia metterle in pratica: e ciò avviene quando uno parla in modo “da convincere” chi lo ascolta (ut flectat).

Dunque nei veri domenicani è possibile riscontare la “grazia della parola”, quel carisma che Dio dona perché si possa parlare con efficacia. Si parla con efficacia quando il discorso ha queste tre caratteristiche: – è solido, capace di rispondere alle domande dell’intelligenza, – piace e si ascolta volentieri perché suscita entusiasmo, – è capace di piegare l’animo degli interlocutori a fare.

San Domenico formulò, su ispirazione celeste, l’abbozzo del Santo Rosario che la tradizione fa risalire a lui come forma di predicazione e di preghiera, e che troverà poi la sua stesura definitiva ad opera dei suoi figli, in particolare il beato Alain de la Roche e San Pio V.

Matteo Orlando

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