«Accogliamo con soddisfazione la sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani che ha negato il fondamento giuridico di un presunto “diritto a morire”. Dunque non è contrario alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo negare il suicidio assistito o l’eutanasia a un paziente che lo chiede in uno Stato dove la pratica è vietata dalla legge. La sentenza, inoltre, ritiene che “le cure palliative di alta qualità, compreso l’accesso a un efficace gestione del dolore, siano essenziali per garantire un fine vita dignitoso”. Questa sentenza è anche un monito a tutte quelle regioni italiane dove ci sono stati tentativi o sono ancora in corso per sdoganare il suicidio assistito con proposte di legge avanzate dai Radicali che sono totalmente incostituzionali perché violano la competenza esclusiva dello Stato in materia. Pensiamo al Veneto, dove solo grazie all’intervento di una parte del centrodestra è stato bocciato e rinviato in Commissione il progetto di legge sui “suicidio assistito” tanto voluto dal governatore Luca Zaia o in Piemonte dove lo stesso ddl è stato bocciato, o ancora a Liguria, Toscana ed Emilia-Romagna dove sempre i Radicali e l’Associazione Luca Coscioni hanno presentato la stessa proposta.
Auspichiamo che l’Italia prenda esempio e lavori per moltiplicare l’accesso dei cittadini che ne hanno diritto alle cure palliative, così come previsto ma spesso non attuato con la legge 38/2010, per vivere degnamente anche in situazioni di grande sofferenza».
Così Jacopo Coghe, in merito alla sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani, organismo giuridico espressione dei 46 Stati del Consiglio d’Europa, tra i quali tutti i 27 dell’Unione Europea, sul caso di Daniel Karsai, cittadino ungherese malato di Sla che ha rivendicato il “diritto all’autodeterminazione della morte”, e per morire avrebbe bisogno dell’assistenza di qualcuno che lo aiuti a farlo, ma ciò è contrario alla legge ungherese.