“Poesie belle, delicate, che raccontano storie di vita e quotidianità in modo unico”. Così, su Amazon, ha commentato un lettore il libro d’esordio della giovanissima filologa Roberta Conte.
Siciliana d’origine, milanese d’adozione, classe 1993, la Conte fin da bambina ha sempre amato la lettura e la scrittura, ed ha iniziato a scrivere poesie nel 2014.
Adesso è arrivato l’esordio letterario, un modo nuovo per far conoscere i suoi scritti, dopo la partecipazione ad alcuni premi letterari. Il libro, pubblicato dalla case editrice Schegge Riunite (2019), si intitola “Anthoi”.
Il titolo in greco lo spiega la stessa Roberta Conte a LA FEDE QUOTIDIANA. “Ho voluto dare a questa raccolta il nome Anthoi, innanzitutto per il consiglio di un caro amico e poi per il significato così semplice e così profondo della parola che da anthos deriva, antologia. La parola greca anthologhìa, che traduciamo con “raccolta di fiori” o “scelta di fiori”, sprigiona tutto il suo potente significato. Cosa sono le poesie, le parole messe su carta, se non fiori raccolti da un vasto prato che è la nostra memoria e il nostro genio creativo? Ho scelto di inserire in queste pagine quello che ho raccolto in questi anni, legando questi anthoi in un mazzo che resista allo scorrere del tempo e permetta alle parole del cuore di vivere per sempre”.
E, infatti, in una novantina di pagine Roberta Conte si esprime in poesia sul contesto splendidamente delimitato dai mari della sua terra di origine, la Sicilia. “La sua poesia fuori da quel luogo geografico, che è, a un tempo medesimo, luogo del suo cuore e dei suoi affetti, non ha motivo di essere cantata altrove”, ha scritto nell’introduzione Gianni Battista Cauchi. “Gli occhi di Roberta Conte sono perennemente in cerca dell’eternità che solo il sapore agro, terroso e forte, può conferire la terra, la Sicilia in ispecie”.
Nelle trenta poesie proposte Roberta Conte canta della Sicilia e ne definisce l’essenza nel titolo di una preziosa poesia che chiama Treis Akra.
“La Trinacria, la terra dei tre-vertici, dei tre-promontori. La terra che diviene proprio per la sua forma un ideale perfetto di pura astrazione geometrica. Pitagorica è la reminiscenza di questa delicatissima immagine, che ammalia il lettore, in un flusso di prospettive rubate alla vita quotidiana di donne, di splendide donne siciliane, il cui carattere è forgiato con la forza dai mari che sbattono sui lidi e dal fuoco sacro dell’Etna. La Sicilia e le donne. Donne mai simili, gioielli diversi di una corona regale finemente lavorata; donne scure e donne ambrate; donne che hanno la stessa trasparenza delle schegge di zaffiro; donne che amarono e furono amate da uomini di ogni parte del Mediterraneo, che diedero alla Madre Terra figli che ne arassero i profili; donne coraggiose che, dinanzi alla tempeste della vita, alzando le mani al cielo in gesto di supplica, affidavano e affidano tutt’ora alle cure della amorevole Bedda Matri, la Tuttasanta Madre di Dio, i loro uomini e le loro famiglie, i loro affetti e le loro speranze; donne abili che danzando formano la schiera delle ancelle della ‘vera madre perla’, della Sicilia, della Trinacria. Terra madre, terra donna, terra figlia”.
E di questa martoriata terra siciliana Roberta Conte nelle sue poesie non si stanca di cantare la perfezione, la solennità, la sacralità. Nel suo viaggio poetico Roberta Conte scende passo dopo passo nelle fibre più intime del cuore, laddove conserviamo i ricordi, gli amori e i segreti più cari.
Scrive Gianni Battista Cauchi: “la poesia di Roberta Conte è quell’arco splendido che muovendosi tocca le corde del petto e ne fa scaturire musica altissima e sacra, musica solenne. Una musica che se ascoltata con gli occhi chiusi porta il lettore a sentire quel profumo così caro della nostra amata madre terra. Profumo di arance dorate…”.
LA FEDE QUOTIDIANA vi offre, IN ESCLUSIVA, la poesia dal titolo “Un tempo”, in italiano e nella traduzione in inglese curata dalla linguista Lucrezia Loiacono
Un tempo
Così bella vai giornata, primizia
dell’inverno, rifugio dei freddi
sospiri. Così allontani il tuo
passo toccando a filo d’un fiato
lo sporco sterrato del gelido
suolo diafano. E così senza
sentore di cuore, senza sentore
di pelle, solo timore di una
vita che non è. Oggi, domani,
ieri, rintocchi del tempo lontano
che bussano e sospirano alle
porte tue brinose e ferrate.
Fulgida idea del tempo sognato
e aspettato. Dove fuggi?
Before now
You go by, o fair day, early work
by the winter, You nest to the icy
breaths. Thus You lightly
step away tapping with the touch of a whisper
the filthy dirt path on the frozen,
pale ground. And thus, no
heart feeling, nor sensitive
skin, just the fear of
the nonlife. Today, tomorrow,
yesterday, those chimes of a distant time
knocking and sighing at
your frosted and locked doors.
O dazzling guess of a time
so longed for. Where are you fleeing to?
Matteo Orlando
Peccato che “anthos” non sia un nome maschile di II declinazione ma un nome neutro di III, con il tema in -es con elisione del sigma intervocalico. Il plurale quindi non è “anthoi”, ma “anthe” (da “anthesa”). Cosa che fino a pochi anni fa qualunque studente alla fine della IV ginnasio sapeva benone.
Prima di arricchire il panorama letterario con contributi poetici personali sarebbe il caso di imparare bene i testi già esistenti e le lingue in cui essi furono scritti.
“Prima di arricchire il panorama letterario con contributi poetici personali sarebbe il caso di imparare bene i testi già esistenti e le lingue in cui essi furono scritti.” : è una critica notevole, neppure velata! Possibile che da 8 mesi, ormai, nessuno – nè la Redazione, ne l’autore dell’articolo-recensione, nè la stessa poetessa abbiano sentito la esigenza di rispondere/replicare?