Nell’ultimo saggio del sociologo cattolico Emiliano Fumaneri “La liquidazione dell’umano” (I libri del Covile, s.l. 2017, pp. 237 – www.ilcovile.it) troviamo un’analisi critica e ragionata delle due ultime grandi forme ideologiche sopravviventi al “secolo delle idee assassine” (quella dell’omosessualismo è solo un derivato inconsapevole). Dal Novecento, cioè, sono derivate e imperversano oggi l’utopia dell’uomo di superare ogni suo limite naturale, il c.d. “transumanismo, e quella avanzata (o degenerata?) dell’economia capitalistica detta “biocapitalismo” (o “bioeconomia”). Una ideologia che sta cercando di mercificare tutto, compresa la dignità del vivere e del morire, istituendo un business sulla compravendita dei corpi umani, dei figli, della morte delle persone e, chi più ne ha, più ne metta.
Emiliano Fumaneri, sociologo ed editorialista del quotidiano “La Croce” (diretto da Mario Adinolfi), è traduttore in Italia delle opere di Gustave Thibon (1903-2001), del quale ha curato recentemente l’antologia di scritti “La libertà dell’ordine” (Fede & Cultura) e gestisce il blog “Gustave Thibon. Ritorno al reale” (https://ritornoalreale.wordpress.com/). Nelle opere del “filosofo-contadino” francese, in effetti, già troviamo pur con altre parole e altre definizioni le origini di quell’ideologia transumanista che, a partire dal secondo dopoguerra, si è costantemente diffusa nel mondo occidentale ripraticando l’abuso da sempre perpetrato nelle società non-cristiane, vale a dire quello di sfruttare il debole da parte del più forte, passando dalla soppressione e/o strumentalizzazione del non-nato, dalla eliminazione del deforme, del vecchio o del c.d. inutile, per concludere con l’utilizzi del corpo umano come cava di organi o dell’utero femminile come “forno” di bambini da vendere agli sterili. Il nuovo principio del bene e del male, come aveva visto bene quell’“irregolare della cultura” (e della Chiesa) che è stato don Gianni Baget Bozzo (1925-2009), è ridotto in definitiva «nella ricerca della fuga dal dolore e nella ricerca del piacere».
La progressiva spinta all’universalizzazione e legalizzazione del divorzio, dell’aborto e di tecniche sempre più invasive di contraccezione e fecondazione artificiale, da ultimo l’utero in affitto, hanno accompagnato in definitiva quell’odioso passaggio dal vecchio sistema economico-sociale in cui, scrive Fumaneri, «la creazione di valore si avvaleva delle funzioni di trasformazione delle materie prime eseguite dai macchinari e dai corpi dei lavoratori» (=“capitalismo di produzione”), all’attuale biocapitalismo che, «alla pari del finanzcapitalismo, suo gemello siamese», ha dato vita a quel “capitalismo di estrazione” che «produce valore estraendolo, oltre che dal corpo operante come strumento materiale di lavoro, anche dal corpo inteso nella sua globalità» (p. 12).
Per la sua stessa natura «estrattiva», l’attuale biocapitalismo è altamente invasivo, argomenta Fumaneri, abbracciando «ogni momento ed ogni aspetto dell’esistenza umana, dal concepimento alla morte. Il biocapitalismo, nel suo sforzo di espansione costante, sembra non avere limiti e invade ogni ambito» (ibidem).
Richiamando l’efficace formula di “società economica pura”, data da Augusto Del Noce al capitalismo liberoscambista elevato a misura di tutte le cose, Fumaneri mette quindi a tema la derivazione di tutti i falsi miti del Progresso del XXI secolo. Derivazione da una società, come l’attuale, «caratterizzata dall’estensione massima dell’idea di mercato e dall’annichilimento della persona umana, nella quale ogni realtà, anche le idee e i principi morali, è soggetta al consumo» (p. 10). Rinveniamo quindi l’eco del costante magistero sociale di Papa Francesco, soprattutto delle sue condanne «della cultura del consumismo, dell’usa e getta e della cultura dello scarto» (“Nella fedeltà, nella verità e nella carità”. Omelia nella Messa di apertura della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Basilica Vaticana 4 ottobre 2015).
Nel momento in cui tutto diventa merce, afferma Fumaneri, si può dire paradossalmente che non opera nemmeno più un’economia di mercato, «dal momento in cui è diventata essa stessa un mercato. Una società di mercato, per la precisione. La differenza non è affatto di poco conto. Una economia di mercato è uno strumento, anche prezioso e efficace, per organizzare l’attività di produzione. Una società di mercato invece è un modo di vivere in cui i valori del mercato penetrano in ogni aspetto dell’attività umana. Un luogo dove le relazioni sociali sono trasformate a immagine del mercato» (p. 11).
La frantumazione dell’umano diventa così la cifra di una società nella quale ognuno prende il pezzo che vuole, che gli fa comodo, ognuno «sceglie di essere come si sente al momento» (ideologia gender fluid). Ognuno insomma è “liquido”, senza identità storica, spirituale, religiosa, famigliare, sociale e sessuale. È chiaro che questo genere di società è funzionale a chi tenta di fare business con la dignità dell’uomo, con la genetica, con le “banche del seme”, con il “materiale fetale”, etc. etc., mettendo nei suoi listini-prezzo che somigliano tanto al famoso ricettario del Dr. Frankestein. E la “società Frankenstein”, spiega Fumaneri, non è più «semplicemente un mondo che ha perso i valori. È più corretto dire che è un mondo plasmato da altri valori: quelli imposti dal biocapitalismo (o bioeconomia), la forma avanzata dell’economia capitalistica» (p. 12).
Dal testo di questo sociologo cattolico che non a caso vive nella “patria” di Antonio Rosmini, Rovereto, traiamo quindi gli argomenti cruciali che investono le concezioni antropologiche su cui sono edificate tutte le civiltà e le culture umane. Benché abbiano inevitabili ed enormi ricadute anche in campo politico e sociale, questi temi sono prima di tutto pre-politici, in quanto costituiscono le fondamenta su cui i sistemi politico-economici sono edificati. Bisogna quindi ridire, come fa molto bene Fumaneri tanto dal punto di vista sociologico quanto filosofico e morale, che non si può né ignorare né, tantomeno, di superare o contrastare quell’ordine biologico-naturale “dato” contro il quale l’uomo si sta invece ribellando a causa della sua hybris da onnipotenza. Ma il suo rifiuto di ogni limite e il sogno di sostituirsi alla natura o a Dio appartiene inequivocabilmente al novero dei tentativi totalitari di costruire il paradiso in terra e che, ogni volta, si sono sempre tradotti nella edificazione dell’inferno sociale. Meglio ritornare all’antica Didaché che, riportando la dottrina dei 12 apostoli di Cristo, afferma tra l’altro: «Tu non ucciderai con l’aborto il frutto del grembo, e non farai perire il bimbo già nato» (2,2). Questo porta a riconoscere, anche dal punto di vista politico-legislativo, che le persone non sono cose e i figli non si comprano. Ecco, proviamo a ricominciare da qui, per non “liquidare” l’umano.
Giuseppe Brienza