Abramo, ormai vecchissimo, era seduto su una stuoia nella sua tenda di capo tribù, quando vide sulla pista del deserto un angelo venirgli incontro. Ma quando l’angelo gli si fu avvicinato, Abramo ebbe un sussulto: non era l’angelo della vita, era l’angelo della morte. Appena gli fu di fronte Abramo si fece coraggio e gli disse: “Angelo della morte, ho una domanda da farti: io sono amico di Dio, hai mai visto un amico desiderare la morte dell’amico?”. L’angelo rispose: “Sono io a farti una domanda: hai mai visto un innamorato rifiutare l’incontro con la persona amata?”. Allora Abramo disse: “Angelo della morte, prendimi”. Per chi ama Dio, la morte è passaggio da questo mondo al Padre, fonte della vita e dell’amore, pur nel mistero del silenzio e nel dolore del distacco dalla carne e dal mondo. Così è stato per Gesù e così è per i Santi: l’entrata nella Casa del Padre.
“Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono” (Sap 2, 23-24).
Il diavolo ci tenta tutti e ci fa peccare facilmente. “Il salario del peccato è la morte” (Rom 6,23), perché fa allontanare da Dio, fonte della vita e ci fa diventare Suoi nemici. Tutti vogliamo vivere in pienezza: tutti aspiriamo alla felicità. La morte si pone come la più radicale negazione della felicità, il più insuperabile degli ostacoli. La vita, la gioia e la felicità sono cose che non si possono comprare e ben poco durano.
Pur se la morte è un evento ineluttabile, tuttavia non è “naturale”: Dio non ci ha creato per farci morire, ma per darci la vita eterna. Questo è ciò che il nostro cuore “naturalmente” desidera. Dio risponde al nostro naturale desiderio di vita e di felicità dandoci Suo Figlio Gesù: “Via, Verità e Vita” (Gv 14,6). “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). E questo Dio ci ha promesso, se accogliamo Suo Figlio Gesù.
Perciò, “se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la speranza dell’immortalità futura”, dice la Liturgia.
Il fedele che crede in Gesù e si lascia innestare in lui col Battesimo, ormai non appartiene più a se stesso, ma a Cristo. “Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore” (Rom 14,7-8). Bisogna che il cristiano scopra il senso della sua appartenenza al Signore, se vuole capire a che serve la vita e come si affronta la morte: la vita serve a conquistarsi l’amicizia di Dio; la morte a raggiungerlo. Quanto più si vive legati a Cristo, tanto meno si teme la morte.
Cosa ci lega a Cristo? Non solo il Battesimo, ma la carità, lo stesso l’interesse per il Regno di Dio, per compiere la volontà del Padre, per dare gloria al Suo Nome. “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Alla morte, questa presenza amica viene rivelata pienamente e diventa beatificante. Chi come Abramo è “amico di Dio”, non può temere l’abbraccio dell’Amico.
Padre Giuseppe Tagliareni