“Scosso e umiliato. La Chiesa è dispiaciuta. Chiedo scusa per gli errori del passato che così tanto male hanno provocato in tante persone. Come cattolici chiniamo la testa per la vergogna”. Così monsignor Anthony Fisher, arcivescovo di Sydney, in un video messaggio sul sito internet dell’arcidiocesi australiana, interviene in merito ai risultati della indagine condotta, dal 2013, dalla “Commissione d’inchiesta sulle risposte delle istituzioni agli abusi sessuali su minori”, la massima autorità inquirente sul fenomeno della pedofilia nella storia d’Australia. Dall’inchiesta emerge che il 7% dei preti cattolici d’Australia è accusato di aver commesso abusi su minori dal 1950 in poi.
“Con vergogna e tristezza – dichiara il presule – sembra che in tutta l’Australia 384 preti diocesani, 188 sacerdoti religiosi, 597 consacrati e 96 consacrate siano stati accusati di abusi sessuali su minori dal 1950. Le accuse riguardano anche 543 laici e altri 72 di cui lo stato religioso non è noto”. I risultati della indagine realizzata su chiese, scuole, enti di beneficenza, organizzazioni comunitarie, gruppi di boy scout e club sportivi, ma anche governi locali e polizia, ha evidenziato che l’età media delle vittime era di 10 anni e mezzo per le bambine e poco più di 11 anni e mezzo per i bambini. In tutto tra il 1980 e il 2015 sono state presentate 4.444 denunce per episodi di pedofilia avvenuti in oltre 1.000 strutture di proprietà della Chiesa cattolica.
Il messaggio pastorale di mons. Fisher giunge subito dopo quello di monsignor Denis J. Hart, arcivescovo di Melbourne e presidente della Conferenza episcopale australiana, e nel momento in cui ha inizio l’udienza finale che vedrà nelle prossime tre settimane la Chiesa cattolica coinvolta presso la Commissione reale di inchiesta. Questa, spiega mons. Fisher, “si concentrerà su due temi principali: sui fattori che hanno contribuito ai casi di abusi sessuali su minori nella Chiesa e al fallimento nel dare risposte adeguate; in secondo luogo su cosa la Chiesa ha fatto o intende fare per affrontare il problema attraverso modifiche alle strutture, alla cultura, al discernimento delle vocazioni sacerdotali e religiose, alla formazione e alla supervisione di coloro che sono impegnati nel ministero”. Da mons. Fisher anche l’impegno nel “garantire la messa in atto di ogni misura volta a evitare che tali fatti accadano di nuovo.
Le prossime tre settimane – sottolinea l’arcivescovo – saranno traumatiche per tutte le persone coinvolte, specialmente per i sopravvissuti. Resto determinato a fare tutto il possibile per aiutare coloro che sono stati danneggiati dalla Chiesa e a lavorare per una cultura di sempre maggiore trasparenza, responsabilità e sicurezza per tutti i bambini”. Molto è stato fatto nell’arcidiocesi di Sydney, ricorda il presule, mettendo in atto “buone pratiche” come “consulenze, risarcimenti alle vittime, politiche di salvaguardia dei bambini” unite a “rigorosi processi di discernimento vocazionale su clero, religiosi, insegnanti, laici e operatori ecclesiali”. “Sono convinto che alla fine l’umiliazione e la purificazione che stiamo vivendo ci renderà una Chiesa più umile, più consapevole e più compassionevole in questo ambito. Siamo in cammino e c’è ancora molto da fare. Incoraggio chiunque dichiari di aver subito abusi sessuali di contattare la Polizia affinché indaghi e vi esorto a pregare per le vittime e le loro famiglie”. (SIR)