Domani, 22 maggio si terrà in Irlanda un referendum costituzionale sull’equiparazione fra matrimonio eterosessuale ed omosessuale. Il referendum chiederà agli irlandesi di inserire nell’articolo 41 della Costituzione la seguente dicitura: «il matrimonio può essere contratto secondo la legge da due persone, senza distinzione di sesso». La campagna referendaria è stata seguita con molta attenzione dai mezzi di comunicazione di diversi stati del mondo, soprattutto quelli di lingua anglofona, visto che l’Irlanda è un paese a maggioranza cattolica in cui fino al 1993 praticare attività omosessuali era illegale.
Poi, pian piano, le associazioni LGTB sono riuscite a fare entrare in vigore (dal 2010) una legge sulle unioni civili, e adesso tentano l’affondo per ottenere il penultimo obiettivo che si sono prefissate (il matrimonio omosessuale), in attesa di chiudere con l’ultimo grande risultato (il permesso di adozione dei bambini ai gay). Nel caso di vittoria del “sì”, l’Irlanda diventerebbe il primo paese al mondo a legalizzare il matrimonio gay tramite un voto popolare.
Il referendum è appoggiato dal governo di coalizione in carica dal 2011, che comprende il partito di centrodestra Fine Gael e il partito laburista. A opporsi coraggiosamente sono rimasti solo singoli politici, le Chiese cristiane (cattoliche, evangeliche e pentecostali) e le organizzazioni religiose cristiane, gli immigrati provenienti dall’Africa e dall’Europa orientale (molti dei quali cristiani ortodossi e musulmani). I sondaggi pubblicati su diversi giornali internazionali (probabilmente pompati ad arte) danno praticamente per certa la vittoria del “sì”. Sappiamo, però, come i sondaggi hanno clamorosamente fallito durante le ultime elezioni in Gran Bretagna.
Il primo ministro Enda Kenny, che si dichiara cattolico e fa parte del partito di centrodestra Fine Gael, si è espresso in maniera molto netta a favore dell’approvazione del referendum. In un’intervista al giornale irlandese Sunday Independent ha definito il referendum «un’opportunità che non capiterà una seconda volta» e ha sfidato gli irlandesi dicendo: «se una persona dice di essere gay e di volere sposarsi, è corretto che la sua famiglia gli impedisca di farlo? I nostri cittadini avranno il coraggio di impedirglielo?». Ha colto la palla al balzo lo scrittore Colm Tóibín che, al Washington Post, ha dichiarato che la vittoria del sì «dimostrerà che se la società irlandese ha potuto cambiare in maniera così rapida e radicale, allora anche altri paesi che ci appaiono come conservatori potranno cambiare. Sarebbe un esempio per il mondo intero».
E il fronte del “no” cosa dice? L’arcivescovo di Dublino, Mons. Diarmuid Martin, ha avvertito che ogni tentativo di ridefinire il matrimonio, lungi dall’essere una questione minore, potrebbe avere gravi conseguenze per il benessere dei bambini e di tutta la nostra società. «Il prossimo referendum tocca dimensioni fondamentali su ciò che il matrimonio e la famiglia significano». Invitando le autorità dello Stato a sostenere il matrimonio come istituzione umana, piuttosto che cercare di svalutarlo, il primate d’Irlanda aggiunge che «c’è qualcosa di insostituibile nel rapporto tra un uomo e una donna, che si impegnano a vicenda con amore, e che resta aperto alla trasmissione e al mantenimento della vita umana». Pur non dicendo direttamente agli irlandesi come votare al referendum, ha chiesto di riflettere attentamente sulle conseguenze a lungo termine per la famiglia: «siamo tutti figli di un maschio e di una femmina», e questo ha «rilevanza per la nostra comprensione del modo in cui i bambini dovrebbero essere nutriti ed educati». Promuovere e difendere il matrimonio e la famiglia nella società, ha detto Mons. Martin, è «un compito primario delle persone sposate stesse» e ha invitato le coppie sposate ad impegnarsi nelle politiche familiari, sia nazionali che locali. L’arcivescovo ha osservato che «il livello di sostegno alle politiche che un governo dà all’istituzione del matrimonio e della famiglia è il vero barometro della serietà della sua politica sociale». Padre Adewale Kuyebi, pastore di una comunità pentacostale di Dublino, ha dichiarato che tutti i fedeli della sua comunità voteranno il “no” perché «sanno bene che legalizzare il matrimonio gay va contro quanto dice la Bibbia». Lo stesso pastore ha dichiarato di aver contattato tramite Whatsapp altri 30mila fedeli, per incoraggiarli a votare contro l’approvazione del referendum costituzionale.
Alcuni sacerdoti e suore della Chiesa cattolica hanno incoraggiato i propri fedeli a votare “sì”, dice il Guardian. È il caso, ad esempio, di Stanislaus Kennedy, 75enne suora cattolica fondatrice di Focus Ireland (un’associazione per le persone senzatetto), che, in opposizione all’insegnamento della Chiesa, ha dichiarato «accogliere le richieste delle persone omosessuali sarà un modo per renderli cittadini a tutti gli effetti». Un altro scandalo all’interno della Chiesa Cattolica si è registrato nel mese di gennaio scorso quando un sacerdote di Dublino aveva invitato la sua comunità a votare “sì” al referendum, rivelando poco dopo di essere gay lui stesso. Ma a parte questi casi sembra che tutto il resto della gerarchia cattolica voterà contro il referendum.
Matteo Orlando