Stefano Mugnai, classe 1969, fiorentino residente a Montevarchi (Arezzo), sposato, padre di due figli, coordinatore toscano di Forza Italia, da qualche giorno è un neo deputato della Repubblica.
Onorevole Stefano Mugnai, lei ha dichiarato che «la famiglia non è un semplice luogo di affetti ma è una risorsa strategica per lo sviluppo umano ed è il primo e fondamentale nucleo della società». Da deputato come intende impegnarsi in questa materia?
Sì confermo integralmente i virgolettati che lei cita e dico di più: ritengo che la famiglia, nella sua accezione tradizionale che l’articolo 29 della Costituzione definisce come quella «naturale fondata sul matrimonio», sia autentica palestra di società. L’educazione dei figli, la cooperazione allo sviluppo e alla crescita del nucleo familiare, i sensi di tolleranza e rispetto che la tenuta familiare implica sono specchio di quel che poi, fuori dalle mura domestiche, è il vivere civile. Il mio impegno da deputato sarà lo stesso che ho sempre mantenuto per tutti questi anni sia come uomo che come politico: prima di tutto, l’esempio. La testimonianza. Poi tutto questo a livello istituzionale, e in questo caso parlamentare, io ho il privilegio di poterlo tradurre in atti legislativi e di indirizzo che orientino l’azione di governo e il quadro normativo nazionale alla tutela della famiglia fondata sul matrimonio. Ciò non significa sottrarre diritti ad alcuno. Significa però dare piena attuazione al dettato costituzionale da cui ho iniziato il mio ragionamento, ovvero riconoscere «i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio».
Presso la regione Toscana ha criticato fortemente la decisione della Sinistra di organizzare un convegno sul gender. Come desidera impegnarsi in Parlamento per contrastare questa ideologia l’Onorevole Stefano Mugnai?
Innanzitutto attraverso le azioni a tutela della famiglia fondata sul matrimonio di cui abbiamo appena parlato. Inoltre, ritengo che vada messa in campo un’azione proprio culturale di contrasto a questa che è un’ideologia fondata sul nulla. Il genere non può essere ideologia. Il genere «è». In sé per sé, per dirla nel lessico filosofico hegeliano. Siamo uomini. Siamo donne. Non è una realtà fluida e indistinta come l’ideologia gender vorrebbe far pensare ai nostri ragazzi e alla società tutta. Altra materia sono invece i disturbi legati all’identità di genere, che sono un fatto clinico per il quale coloro che ne sono portatori debbono poter trovare una rete sanitaria di supporto. Altra questione ancora è l’orientamento sessuale, che nell’ambito degli adulti rientra nella sfera privata e altrimenti sconfina nel giudiziario. Ma nulla di tutto ciò è né può essere ideologia. Proprio sono cornici differenti. Ideologizzare il genere teorizzandone l’indistinzione è una superficializzazione del tema. Non costruisce educazione sentimentale, ma forse addirittura il suo opposto. Come minimo, quando penetra in ambito scolastico, fa una gran confusione presso i nostri ragazzi.
Onorevole Stefano Mugnai parliamo delle vittime del Forteto. Lei ha parlato di vittime di Stato, di vergogna per la sinistra ed ha criticato il sistema cooperativistico rosso. Può spiegarci meglio?
Spiegare Il Forteto in poche battute non è banale. Veda: al primo impatto con questa vicenda io stesso mi sono trovato catapultato in una surrealtà dove il verosimile fa a botte con l’inverosimile e l’innaturale. Io per primo, e con me i miei colleghi della prima commissione d’inchiesta regionale che ho presieduto, mi sono posto il dubbio su quanto stavo apprendendo. E purtroppo però è accaduto tutto veramente. E’ accaduto che lo Stato – magistratura minorile e tribunali – affidava al Forteto quell’umanità indifesa che sono i bambini bisognosi di affido per disagi familiari perché tutti ne parlavano bene. Perché rappresentava, dalla sua nascita negli anni 70, il totem del comunitarismo che era un vessillo ideologico del veterocomunismo prima e della sinistra poi. Purtroppo era un totem senza tabù, privo di ogni freno agli impulsi più biechi, luogo di violenze a abusi che mi sono dolorosamente trovato a dover addirittura classificare, nel tentativo di rendere oggettivo qualcosa che strappa il cuore. E’ ciò che solo in seguito avrebbe fatto la magistratura, con un iter giudiziario giunto al terzo grado con condanne definitive a fine 2017. Non le prime, già che gli stessi vertici del Forteto erano stati condannati per reati specifici nel 1985 e che su di loro pendeva anche una sentenza della Corte europea del 2000. Non si è voluto vedere, in un gigantesco – e gravissimo – meccanismo collettivo di sottovalutazione e rimozione. In questo senso parlo di vittime di Stato e vergogna della sinistra: proprio in Consiglio regionale della Toscana dai banchi della Democrazia Cristiana si levavano allarmi su ciò che poi la giustizia ha cristallizzato. C’era chi vedeva, dunque. E c’era chi, la sinistra di governo in Toscana, si girava di là foraggiando in termini di fondi pubblici e di credito istituzionale la realtà del Forteto che nel frattempo, da comunità agricola, era cresciuta fino a divenire una delle principali realtà cooperative della Toscana. Si è innescata una tenaglia di risonanze positive che ha stretto in mezzo bambini, stritolandone troppi. Ed è avvenuto per mano dello Stato. In Parlamento la battaglia per fare luce su questa complessa e drammatica vicenda andrà avanti. Tra i primi atti che intendo presentare c’è la proposta di legge per l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta, che ha prerogative più ampie rispetto agli organismi regionali.
Le sue impressioni su Papa Francesco e sulla Chiesa Cattolica in Toscana?
La Chiesa è in marcia perenne. E’ innegabile che oggi più che in altre epoche, anche sotto la spinta di velocizzazione che gli orizzonti culturali, sociali e del pensiero subiscono dai media e dalle nuove tecnologie, anch’essa si trovi ad allungare il passo. Accade ad ogni livello e in ogni territorio, non solo della Toscana ma nel pianeta. L’operato di Papa Francesco si colloca a mio modo di vedere in questo solco che è il medesimo su cui si sono mossi – in contesti storico-sociali differenti – anche l’amato Santo Padre Giovanni Paolo II e, successivamente, Papa Ratzinger. Poi ognuno ha i propri carismi, il suo modo di dialogare con l’umanità e di esercitare il magistero. Ma la mia impressione è che la strada sia questa.
Come vive quotidianamente la sua fede l’on. Mugnai?
Attraverso le pratiche che le Scritture e la Chiesa mi mettono a disposizione: preghiera, accesso ai sacramenti di confessione ed eucarestia con partecipazione regolare alla Santa Messa. La fede, nel senso del rapporto con il trascendente, come ogni fatto relazionale vive di declinazioni individuali. Sono tuttavia convinto che la tensione a coltivarla non possa prescindere dalla pratica attraverso rito e preghiera. Certo, da ex catechista ed animatore sono rammaricato di non avere più il tempo necessario a fare ‘vita di parrocchia’. Questo è in parte dovuto anche a motivi logistici, diciamo così, dal momento che la parrocchia che continuo a sentire come ‘mia’ è Santa Maria bambina di Terranuova Bracciolini, e però in realtà non lo è più da quando, 14 anni fa, mi sono sposato andando a vivere in altro comune.