di Padre Giuseppe Agnello*
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Il Vangelo di questa Doménica, con questo secondo annúncio della Passione, contínua a parlarci del mistero della Croce e della lògica della Pasqua, che è morte e risurrezione del Servo per amore, del Primo che si è fatto último, dell’Amore eterno che si è fatto squarciare il cuore per noi. Gli apòstoli sono ancora troppo presi o distratti da altre lògiche, tant’è che oggi li vediamo a discútere lungo la strada di grandezze e di onori temporali: chi fra loro fosse il piú grande. Gesú, allora, spiega a che serve èssere primi o volér èssere primi: «Se uno vuole èssere il primo, sia l’último di tutti e il servitore di tutti» (Mc 9, v.35). Il servízio ai fratelli è la lògica che deve guidare le nostre scelte, il fine di ogni primato, ma anche il fine di ogni esistenza: èsserci per servire e servire con il cuore dei bambini. Sí, perché la seconda indicazione che oggi Gesú dà è quella di accògliere Lui come un bambino, nel bambino che Egli abbràccia, col il cuore di un bambino che è contento di èssere custodito dal Grande. Accògliere col cuore di un bambino vuol dire non sentirsi adulti quando ci si riferisce a Dio: i cuori adulti sfòciano nella presunzione, non per l’istruzione che è necessària agli adulti; non per le esperienze di vita che aumèntano man mano che si diventa adulti; e nemmeno per la maturità a cui Dio stesso vuole portarci col diventare adulti; ma a càusa del volere èssere primi rinnegando ogni croce e ogni umiliazione. Il cuore adulto smette di èssere giusto quando si sente grande rispetto a Dio. Il bambino invece, o il cuore bambino, non si sente mai grande rispetto a chi è grande: sa di èssere píccolo. In questo caso, si procede sicuri e senza pene interiori, anche nelle tribolazioni e angherie di cui ci parlava la prima lettura. Il brano della Sapienza descriveva un giusto contro cui congiúrano quanti si sono sentiti rimproverati dalla sua vita e dalle sue parole (e noi sappiamo che in quel giusto possiamo vederci Gesú Fíglio di Dio): «Mettiàmolo alla prova con violenze e tormenti, per conóscere la sua mitezza e saggiare il suo spírito di sopportazione. Condanniàmolo a una morte infamante, perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà» (Sap. 2, 19-20). Parole chiare nella prepotenza, ma anche chiare nella risposta alla prepotenza. La mitezza vincerà le violenze; lo spírito di sopportazione vincerà i tormenti e le angherie; il cuore bambino rimetterà tutto nelle mani di Dio.
Al contràrio, quando il cuore comíncia a crédere di non avere bisogno di Dio (questo chiamo: cuore “adulto”!), ¿che cosa comíncia? Comínciano le liti, le gelosie; e le passioni disordinate non sono piú tenute a freno, perché il nostro cuore è presuntuoso. E san Giàcomo, nella seconda lettura, ci spiegava molto bene che le cattive azioni dipèndono dai disórdini della nostra ànima, dai disórdini delle nostre passioni. Non ce l’ha con le passioni, ma con i loro disórdini! Le passioni infatti, se ordinate, sono il carburante della vita e ci stímolano a fare grandi cose. Pensate a uno che àbbia la passione per lo sport: riuscirà da atleta a raggiúngere grandi obbiettivi o traguardi. Pensiamo a uno che àbbia la passione per il volontariato: sarà disposto a fare sacrificî per gli altri, togliendo del tempo per sé stesso. E cosí tante altre passioni: per la política, per la cucina, per le língue straniere, per la scrittura, per le ànime da salvare. Persino quella passione che unisce un uomo e una donna, e che porta poi al matrimònio, se è in Cristo rimane una passione ordinata; fuori da Cristo e dalla lògica della croce (perché qui continuiamo a parlare della morte e risurrezione di Gesú Cristo e di quello che porta all’umanità) crea il disórdine.
Il disórdine a volte si manifesta con i litigî, con le ingiustízie, con le guerre: tra le famíglie, fra i fratelli e fra gli stati; altre volte si manifesta coi desiderî immondi e proibiti, oppure con la prepotenza, cioè con quell’atteggiamento típico di chi vuole prevalere sull’altro. Il Salmo spiegava bene questo atteggiamento, dicendo che i prepotenti «Non pòngono Dio davanti ai loro occhî». Ora è chiaro che noi non dobbiamo pensare che prepotente sia solo chi mi vuole rubare qualcosa; chi fa il bullo e si comporta da gradasso con il compagno di classe meno espansivo e piú fràgile. Si può èssere prepotenti anche all’interno di una relazione di amore: quella tra due sposi. Quando si dice: «Si fa come dico io» o «Qui comando io», non si pone piú Dio davanti ai nostri occhî, ma solo noi stessi abbandonati a noi stessi.
¿Qual è allora la soluzione che ci propone la parola di Dio? L’invito o soluzione della parola di Dio è quello di chièdere secondo la volontà di Dio. San Giàcomo infatti diceva: «Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni» (Gc). Noi non dobbiamo chièdere a Dio per soddisfare le nostre passioni: non è Dio che deve piegarsi alle nostre passioni, ma noi alla Sua passione. Noi dobbiamo chièdere con la libertà di figlî e con la fidúcia che Dio sa ciò di cui abbiamo bisogno mèglio di noi. Quando diciamo la preghiera del Padre nostro, c’è questa frase: «Sia fatta la tua volontà come in cielo cosí in terra». Badate che se queste parole si realízzano nella nostra vita, cioè: se noi riusciamo a tenere a bada le nostre passioni ed accògliere tutta la volontà di Dio nella nostra vita, scompare tutta la sofferenza nel portare la croce. Scompare quella sofferenza e quella fatica di portare la croce, perché ho aderito cosí bene alla volontà di Dio, che non mi pesa piú. Gesú ¿si è lamentato nel portare la croce? Nella via crucis noi non meditiamo alcuna parola di lamentela di Gesú nel portare la croce, perché ha aderito perfettamente alla volontà del Padre. E a quel punto, i nostri desiderî, di cui siamo pieni e che avremo sempre, troveranno pace in Cristo, perché il nostro cuore è rimasto bambino e ci siamo fatti abbracciare da Dio in modo da restare a Lui unitíssimi. Avete sentito, infatti, questo passàggio del brano evangèlico di oggi: «Preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciàndolo, disse loro: “Chi accóglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accóglie me; e chi accóglie me, non accóglie me, ma colui che mi ha mandato”». Questa accoglienza trasforma persino la croce. Dice infatti Gesú alla serva di Dio Luisa Piccarreta: «Fíglia mia, quando due volontà sono opposte tra loro, una forma la croce dell’altra; cosí tra me e le creature: quando la loro volontà è opposta alla mia, io formo la croce loro e loro la croce mia, sicché io solo l’asta lunga e loro la corta, che incrociàndosi fòrmano la croce. Ora, quando la volontà dell’ànima si unisce con la mia, le aste non rèstano piú incrociate, ma unite tra loro, e quindi la croce non è piú croce. Hai capito?».
XXV Doménica del T.O. anno B,
22 Settembre 2024. Sap 2,12.17-20; Sal 53; Giac 3,16-4,3; Mc 9,30-37.
*L’autore aderisce ad una riforma ortografica della lingua italiana