Come si sono comportate le nazioni e i responsabili della “comunità internazionale” durante l’emergenza sanitaria in corso? Nell’ultimo semestre non sono mancati gli appelli, fra gli altri, di Papa Francesco, che ha provato a invitare i “reggitori dei popoli” ad essere costruttori di ponti, anche dal punto di vista economico-sociale, per aiutare i bisognosi e lavorare al grande obiettivo dell’edificazione della solidarietà tra le nazioni. Ne parliamo con Matteo Orlando, giornalista cultore di geopolitica, direttore del quotidiano online InformazioneCattolica.it e cronista de Il Giornale.it.
A tuo giudizio, quali relazioni internazionali verranno fuori al termine di questa crisi?
Al di là di un’eventuale seconda ondata, annunciata da alcuni esperti per i prossimi mesi, la pandemia del coronavirus ha già lasciato praticamente tutte le economie del mondo in una situazione di crisi senza precedenti. Io credo che si registreranno notevoli problemi di carattere economico e sociale e non escludo un aumento delle violenze sociali e dei conflitti, anche militari, in particolare se verrà eletto negli Stati Uniti Joe Biden. Mi ha colpito molto leggere (tra i tanti) uno studio che è stato fatto in California sugli effetti economici della pandemia. Questi ricercatori hanno analizzato attentamente ciò che a livello finanziario ed economico è avvenuto dal XIV secolo in poi a seguito delle pandemie. Loro non le hanno analizzate tutte ma solo 12, cioè quelle che hanno superato le 100 mila vittime. Secondo questi studiosi i problemi post pandemia potrebbero durare decenni. Infatti, le pandemie passate sono sempre state seguite da periodi molto prolungati di risparmio precauzionale da parte delle famiglie e crolli negli investimenti. Un ulteriore problema, a mio avviso, è quello che dal post coronavirus usciranno rafforzate due posizioni geopolitiche anticristiane. La prima di queste posizioni è quella mondialista. Le posizioni mondialiste, basate su una ideologia politica laicista, evoluzione odierna di ideologie condannate dalla storia, tenderanno a togliere poteri ai governi nazionali per concederli ad entità sovrannazionali che potrebbero ottenere così pieni poteri in campo economico-finanziario. Una seconda possibilità che mi preoccupa e quella liberal-nazionalistica. anche queste posizioni sono anticristiane. Potremmo assistere ad intere nazioni che si chiuderanno in se stesse sempre di più, sia sotto l’aspetto economico iperliberista sia sotto l’aspetto geopolitico, restringendo quasi tutti i possibili legami con gli altri stati. Partendo dal ridurre le loro “perdite di sovranità” interne dovute alla partecipazione a realtà sovrannazionali, invece di puntare a modificare quelle realtà sovranazionali che non funzionano, arriveranno ad isolarsi sempre di più.
La Dottrina Sociale della Chiesa parla di “unità della famiglia umana”. Come si potranno rilanciare gli sforzi per cercare questa unità dopo la c.d. pandemia?
La risposta è una sola: mettere Gesù Cristo al centro dell’economia e della società post-pandemia, perché lui è il prototipo e fondamento della nuova umanità. Dio è il Signore della storia e del cosmo: la sua azione abbraccia tutto il mondo e l’intera famiglia umana, alla quale è destinata l’opera della creazione. La decisione di Dio di fare l’uomo a sua immagine e somiglianza, come leggiamo nel libro della Genesi, conferisce alla creatura umana una dignità unica, che si estende a tutte le generazioni e su tutta la terra anche oggi. Lo stesso libro della Genesi mostra che l’essere umano non è stato creato isolato, ma all’interno di un contesto che gli assicura la libertà (il giardino), la disponibilità di alimenti (gli alberi del giardino), il lavoro (il comando di coltivare) e soprattutto la comunità (il dono dell’aiuto simile a lui). Dio vuole garantire all’uomo, anche a quello di oggi, i beni necessari alla sua crescita, la possibilità di esprimersi liberamente, il positivo risultato del lavoro, la ricchezza di relazioni tra esseri simili. Ma è necessario mantenersi alleati con lui.
Il cattolicesimo, per nome e vocazione, è aperto all’universalità. Con quali mezzi va costruita?
Il messaggio cristiano offre una visione universale della vita degli uomini e dei popoli sulla terra. I padri del Concilio Vaticano II hanno chiaramente spiegato che la missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è d’ordine politico, economico o sociale ma di ordine religioso. Tuttavia, proprio da questa missione religiosa scaturiscono compiti, luce e forze, che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la legge divina. Basti ricordare le opere di misericordia, destinate al servizio di tutti, ma specialmente dei bisognosi. La Chiesa Cattolica è per una sana socializzazione e per la più ampia solidarietà civile ed economica ma, come sappiamo, una vera unione sociale esteriore discende dalla unione delle menti e dei cuori, ossia da quella fede e da quella carità, con cui la sua unità è stata indissolubilmente fondata nello spirito santo. La forza che la Chiesa riesce a immettere nella società umana contemporanea consiste in quella fede e carità effettivamente vissute, e non in una qualche sovranità esteriore esercitata con mezzi puramente umani.
Su quali valori si potrà ricostruire, negli anni a venire e se ci sarà la buona volontà delle classi dirigenti degli Stati, la Comunità internazionale?
Io credo che la centralità della persona umana e la naturale attitudine delle persone e dei popoli a stringere relazioni tra loro sono gli elementi fondamentali per costruire una vera comunità internazionale. Ma nonostante sia ampiamente diffusa l’aspirazione verso un’autentica comunità internazionale, l’unità della famiglia umana non trova ancora realizzazione, perché ostacolata da ideologie anticristiane e da comportamenti morali inaccettabili. Mentre la convivenza tra le nazioni dovrebbe essere fondata sugli stessi valori che devono orientare quella tra gli esseri umani: verità, giustizia, solidarietà e libertà. La chiesa, in merito ai principi costitutivi della comunità internazionale, chiede che le relazioni tra i popoli e le comunità politiche trovino la loro giusta regolazione nella ragione, nell’equità, nel diritto, nella trattativa, mentre esclude il ricorso alla violenza e alla guerra, a forme di discriminazione, di intimidazione e di inganno.
Da quali ideologie è principalmente ostacolato il percorso perarrivare ad una equa e giusta Comunità internazionale?
Come ricordavo prima gli ostacoli ideologici ad una equa e giusta comunità internazionale sono l’ideologia politica mondialista e quella nazionalista che dal punto di vista economico ha conservato il modello iperliberista. Se sono facilmente comprensibili i motivi per i quali l’ideologia mondialista ostacola il percorso per arrivare ad una equa e giusta comunità internazionale, vorrei concentrarmi sul nazionalismo. Come sappiamo il magistero della Chiesa riconosce l’importanza della sovranità nazionale, concepita anzitutto come espressione della libertà che deve regolare i rapporti tra gli stati. la sovranità rappresenta la soggettività di una nazione sotto il profilo politico, economico, sociale e anche culturale. Perché la dimensione culturale è un punto di forza per la resistenza agli atti di aggressione o alle forme di dominio che condizionano la libertà di un paese: la cultura costituisce la garanzia di conservazione dell’identità di un popolo, esprime e promuove la sua sovranità spirituale. La sovranità nazionale non è però un assoluto. Le nazioni possono rinunciare liberamente all’esercizio di alcuni loro diritti in vista di un obiettivo comune, nella consapevolezza di formare una «famiglia» dove devono regnare reciproca fiducia, sostegno vicendevole e mutuo rispetto. In tale prospettiva, secondo me merita attenta considerazione la mancanza di un accordo internazionale che affronti in modo adeguato «i diritti delle nazioni», la cui preparazione potrebbe affrontare opportunamente le questioni relative alla giustizia e alla libertà nel mondo contemporaneo. Ed è quello che manca alle ideologie nazionalistiche attuali. E poi, non dimentichiamo, le difficoltà che presenta per un ordine internazionale migliore l’islam politico.
Quale potrà essere il ruolo delle Organizzazioni internazionali (ONU,Ue, etc.) dopo la c.d. pandemia?
Il valore delle organizzazioni internazionali dovrebbe essere fondamentale ma, purtroppo, difficilmente credo che lo sarà. La Dottrina sociale della Chiesa, in generale, considera positivamente il ruolo delle organizzazioni intergovernative, in particolare di quelle operanti in settori specifici, pur esprimendo riserve quando esse affrontano in modo scorretto i problemi. Il magistero di tutti i Papi ha sempre raccomandato che l’azione degli organismi internazionali risponda alle necessità umane nella vita sociale e negli ambiti rilevanti per la pacifica e ordinata convivenza delle nazioni e dei popoli. Oggi il cammino verso un’autentica «comunità» internazionale, che ha assunto una precisa direzione con l’istituzione dell’organizzazione delle nazioni unite nel 1945, come abbiamo sotto gli occhi, è ancora incompleto.
La Santa Sede, come soggetto di diritto internazionale, quale ruolo potrà giocare nel futuro della comunità internazionale?
La Santa Sede, che gode di piena soggettività internazionale in quanto autorità sovrana che realizza atti giuridicamente propri, esercita una sovranità esterna, riconosciuta nel quadro della comunità internazionale, che riflette quella esercitata all’interno della Chiesa e che è caratterizzata dall’unità organizzativa e dall’indipendenza. La Chiesa si avvale di quelle modalità giuridiche che risultino necessarie o utili al compimento della sua missione (legazione, accordi, trattati, partecipazione a organizzazioni intergovernative,mediazione in caso di conflitti), cercando di offrire un servizio disinteressato alla comunità internazionale, poiché non cerca vantaggi di parte, ma si propone il bene comune dell’intera famiglia umana. In tale contesto, la Santa Sede si giova particolarmente del proprio personale diplomatico che, a mio modesto parere, è il migliore del mondo ed è il frutto di un’antica e consolidata prassi. È uno strumento che opera non solo per la «libertas ecclesiae», ma anche per la difesa e la promozione della dignità umana, nonché per un ordine sociale basato sui valori della giustizia, della verità, della libertà e dell’amore.
Se un Capo di Governo volesse ascoltarti prima di partecipare ad un summit sociale internazionale, potresti dirci tre punti che potrebbe cercare di mettere in agenda rispondendo ad altrettanti principi della Dottrina sociale della Chiesa?
Intanto ricorderei che la legge morale che dovrebbe reggere la vita degli uomini dovrebbe anche regolare i rapporti tra gli Stati. Papa Pio XII in un radiomessaggio natalizio del 24 dicembre 1941, che conserva ancora tutta la sua attualità diceva che la legge morale deve «venir inculcata e promossa dall’opinione pubblica di tutte le nazioni e di tutti gli stati con tale unanimità di voce e di forza, che nessuno possa osare di porla in dubbio o attenuarne il vincolo obbligante». È necessario che la legge morale universale, scritta nel cuore dell’uomo, venga considerata effettiva e inderogabile. Il rispetto universale dei principi che ispirano un ordinamento giuridico in armonia con l’ordine morale è una condizione necessaria per la stabilità della vita internazionale. Poi ricorderei che la riflessione giuridica e teologica, ancorata al diritto naturale, ha formulato principi universali che sono anteriori e superiori al diritto interno degli stati. Questi principi, ben spiegati da Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco sono: l’unità del genere umano, l’uguaglianza in dignità di ogni popolo, il rifiuto della guerra per superare le contese, l’obbligazione di cooperare per il bene comune, l’esigenza di tenere fede agli impegni sottoscritti, il famoso pacta sunt servanda, cioè “i patti vanno rispettati”. Quest’ultimo principio va particolarmente sottolineato per evitare la tentazione, purtroppo molto attuale, come ha recentemente sottolineato Papa Francesco, di fare appello al diritto della forza piuttosto che alla forza del diritto.
Dottrina sociale della Chiesa ma anche diverse ONG incoraggiano forme di cooperazione internazionale per garantire il diritto allo sviluppo. Ce ne puoi parlare mettendo eventualmente in evidenza le differenze d’impostazione tra i vari approcci?
Le comunità politiche si condizionano a vicenda ed ognuna di esse si riesce a sviluppare se contribuisce allo sviluppo delle altre. Intese e collaborazioni tra le comunità sono fondamentali. Il sottosviluppo odierno, che si registra anche in molte parti d’Italia, non è solo il frutto di scelte umane sbagliate, ma anche il risultato di meccanismi economici, finanziari e sociali perversi e di “strutture di peccato”, come le mafie e la dilagante corruzione internazionale, che impediscono il pieno sviluppo degli uomini e dei popoli. La collaborazione allo sviluppo di tutto l’uomo e di ogni uomo è un dovere di tutti verso tutti e deve, al tempo stesso, essere comune alle quattro parti del mondo: est e ovest, nord e sud, ricordava san Giovanni Paolo II nell’enciclica Sollicitudo rei socialis, del 1988. Nella visione cattolica il diritto allo sviluppo si fonda sui principi di unità d’origine e comunanza di destino della famiglia umana, sull’eguaglianza tra ogni persona e tra ogni comunità basata sulla dignità umana, sulla destinazione universale dei beni della terra, sulla integralità della nozione di sviluppo, sulla centralità della persona umana e sulla solidarietà. Purtroppo, mentre alcune organizzazioni non governative rispettano questi principi, la maggior parte delle Ong ne segue solo alcuni o quasi nessuno. Ed è sempre più comune vedere Ong impegnate su alcune tematiche, che propongono poi contraccezione e aborto, droghe libere e distruzione della morale cristiana in tema di famiglia e di vita.
Al termine della c.d. pandemia la povertà in diverse parti del mondo quasi sicuramente aumenterà. Come far fronte, da parte della Comunità internazionale, a questo drammatico problema di giustizia?
La povertà di milioni di uomini e donne, che aumenterà dopo queste ondate pandemiche, è la questione che più di ogni altra interpella la nostra coscienza umana e cristiana. La povertà pone un drammatico problema di giustizia: la povertà, nelle sue diverse forme e conseguenze, si caratterizza per una crescita ineguale e non riconosce a ogni popolo l’eguale diritto, per usare una categoria teologica, a partecipare alla mensa del banchetto comune. La povertà rende impossibile la realizzazione di quell’umanesimo cristiano che la Chiesa auspica e persegue, affinché le persone e i popoli possano essere di più (e non di meno come vorrebbero i fautori di certe ideologie che vogliono sopprimere la vita umana considerata inutile per lasciare spazio ad altri) e vivere in condizioni più umane. La lotta alla povertà trova una forte motivazione nell’opzione, o amore preferenziale, della Chiesa per i poveri, come sta continuamente spiegando Papa Francesco. In tutto il suo insegnamento sociale il Pontefice non si stanca di ribadire i fondamentali principi della destinazione universale dei beni, della costante riaffermazione del principio della solidarietà, del passare finalmente all’azione per promuovere il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti. Il principio della solidarietà, anche nella lotta alla povertà, deve essere sempre opportunamente affiancato da quello della sussidiarietà, grazie al quale è possibile stimolare lo spirito d’iniziativa, base fondamentale di ogni sviluppo socioeconomico, negli stessi paesi poveri. per questo è anticristiana qualsiasi iniziativa basata sul dirigismo o sul social-comunismo. I poveri vanno guardati non come un problema, ma come persone che possono diventare soggetti e protagonisti di un futuro nuovo e più umano per tutto il mondo.
In molti parlano della cancellazione del debito estero dei Paesi poveri come volano di sviluppo delle economie più fragili. Che ne pensi?
Sono d’accordo, la comunità internazionale non può trascurare l’opportunità di cancellare il debito estero dei paesi più poveri. Il diritto allo sviluppo deve essere tenuto presente nelle questioni legate alla crisi debitoria di molti paesi poveri. Tale crisi ha alla sua origine cause complesse e di vario genere, sia di carattere internazionale — fluttuazione dei cambi, speculazioni finanziarie, neocolonialismo economico —, sia all’interno dei singoli paesi indebitati — corruzione, cattiva gestione del denaro pubblico, distorta utilizzazione dei prestiti ricevuti. Le sofferenze maggiori, riconducibili a questioni strutturali ma anche a comportamenti personali, colpiscono le popolazioni dei paesi indebitati e poveri, le quali non hanno alcuna responsabilità. Se è vero che il principio del debito contratto che va onorato è legittimo, bisogna trovare le vie per non compromettere il fondamentale diritto dei popoli alla sussistenza ed al progresso.
Uno dei temi scottanti dell’attualità internazionale sui quali la solidarietà tra le nazioni, diremmo, è davvero venuta meno, è quello dell’immigrazione. Puoi dirci cosa insegna al proposito la Dottrina sociale della Chiesa?
La Dottrina sociale della Chiesa spinge i governi a sentirsi incoraggiati ad un impegno concreto per rispettare i diritti umani, anche quelli dei migranti. Mediante gesti concreti di solidarietà e di pace, tante persone che operano anche nelle organizzazioni non governative e nei movimenti per i diritti dell’uomo, cercano di dare una mano. Visto però che hai recentemente scritto un libro appositamente intitolato “Comunità internazionale e ruolo degli Stati. L’attuale fase storica” [(Aracne editrice, Roma 2016, pp. 134, € 12 (ndr)], mi permetto di rilanciarti la palla e t’invito a completare tu la risposta sulla base, in particolare, delle informazioni e considerazioni che hai sviluppato nell’introduzione al volume.
Raccolgo l’invito partendo da una considerazione preliminare: il “diritto delle nazioni” si fonda anche su quello a non essere invase da flussi migratori incontrollati. Nell’Introduzione del libro, a questo proposito, ho sostenuto sulla base di vari studi il nesso di causalità esistente fra i due grandi processi storico-politici operanti negli ultimi decenni a livello mondiale, cioè la “globalizzazione” e l’“immigrazionismo”. Quella di immigrazionismo è un’espressione a mio avviso da considerare attentamente per valutare la realtà dei fenomeni sociali attuali. Coniata dal politologo francese Pierre-André Taguieff, ripresa e divulgata dal giornalista statunitense Christopher Caldwell nel libro L’ultima rivoluzione dell’Europa (poco significativa traduzione del titolo originale inglese: Reflections on the Revolution in Europe), costituisce una delle ideologie del XXI secolo. Gli immigrazionisti vedono infatti e presentano sempre e comunque l’immigrazione come un fenomeno socialmente, eticamente e culturalmente buono, oltre che economicamente vantaggioso. Negare che lo sia, in parte o nella sua totalità, è oggetto di accuse di nazionalismo, xenofobia o razzismo. Se le migrazioni costituiscono oggi un dato generale della globalizzazione, è pure vero che, determinando inedite problematiche sociali, religiose e culturali, stanno di fatto accentuando per molti aspetti i conflitti aperti dall’altro fenomeno critico dal punto di vista identitario e comunitario, ovvero l’iperliberismo. L’imposizione centralista, unilaterale ed esclusiva del libero movimento di merci, prodotti e capitali, senza un “governo” globale della parallela evoluzione dei flussi di persone e lavoratori, non può essere accettabile. L’incontrollata dinamica delle migrazioni globali dell’ultimo periodo, del resto, è stata definita da una personalità che è al di sopra di qualsiasi accusa di xenofobia o razzismo come l’ex segretario generale delle Nazioni Unite (dal 2007 al 2016) Ban Ki-moon come «la più grande crisi migratoria dalla fine della Seconda Guerra mondiale». Questa è l’attuale fase storica di cui parlo nel libro. Non tenerne conto sarà foriero di grandi e peggiori di adesso conseguenze per la comunità internazionale.
GIUSEPPE BRIENZA