Nell’Antico Testamento, tra Dio e le donne sappiamo esserci un abisso. Tanto che, nel Talmud, si afferma che il Signore parlò solo con una donna, Sara, la moglie di Abramo (Berakot, R. 20, 6). Un’unica conversazione che servì solo ad allargare l’abisso che già separava le donne e Dio. Così, quando il Signore annunciò che sarebbe diventata madre, nonostante l’avanzatissima età, Sara si mise a ridere. E quando le fu rimproverata la sua incredulità, ella negò di aver riso (Genesi 18, 1-15).
Da allora, a causa di questa menzogna, la testimonianza delle donne non fu considerata credibile (Shebuot, M. 4,1).
In realtà, malgrado il Talmud ponga lo sguardo solo sulla conversazione con Sara, nell’Antico Testamento ci sono altri scambi di parole (comunque, pochissime parole) tra Dio e le altre donne. Conversazioni brevi che consistono quasi sempre in rimproveri e minacce. Come accade, ad esempio, con Eva (Genesi 3, 13) o con Zippora (Esodo 4, 24-26).
Con Eva, dopo che ebbe assaggiato il frutto dell’albero della conoscenza. E con Zippora, quando recise il prepuzio del figlio Ghershom, per convincere il Signore a non uccidere Mosè (in una delle scene più strane e difficili da interpretare dell’Antico Testamento). In ogni caso, al di là del numero e del contenuto specifico di quelle conversazioni con le donne nell’Antico Testamento, alcune delle espressioni del Talmud lasciano il segno, come quando, per esempio, assicura che è meglio che “le parole della Legge siano distrutte nel fuoco piuttosto che essere insegnate alle donne”.
La stessa natura delle donne le allontana da Dio, perché le mestruazioni le rendono impure per sette giorni. Inoltre, ogni unione con il loro marito (che poteva verificarsi solo una volta purificate), le rendevano nuovamente impure (Lv 15, 19-30).
Molto peggio era la situazione delle donne che soffrivano di perdite costanti, dal momento che erano considerate permanentemente impure. Se erano nubili, non potevano sposarsi. E se erano sposate, i mariti avevano il dovere di ripudiarle, e le donne non avevano neppure il diritto di recuperare la dote (Niddà, b. 12B). Al punto da essere evitate come lebbrose (Zabim 5, 1-6) e, se entravano in un tempio, potevano essere uccise (LV 15, 31).
Con la predicazione di Gesù, però, tutto è cambiato.
Una donna con perdite emorragiche irrefrenabili e che (pur avendo speso tutte le sue risorse in cure mediche) non era stata stata guarita da nessuno, si avvicina a Gesù da dietro e tocca il bordo del mantello. E “immediatamente l’emorragia si fermò” (Lc 8, 43-44).
Allora, Gesù chiede, “chi mi ha toccato?” (Lc 8, 45). Consapevole di aver commesso un atto proibito dalla Legge, la donna vorrebbe dissimulare, ma “vedendo che non poteva rimanere nascosta, si fece avanti tremando e, gettatasi ai suoi piedi, dichiarò davanti a tutto il popolo il motivo per cui l’aveva toccato, e come era stata subito guarita” (Lc 8, 47).
Secondo la tradizione religiosa, quella donna aveva commesso peccato, ma secondo Gesù, è stata protagonista di un atto di fede. E, quindi, piuttosto che condannarla come prevedeva la Legge, le dice affettuosamente: «Figlia, la tua fede ti ha salvata, va’ in pace!” (Lc 8, 48).
Il rapporto di Gesù con le donne rompe gli schemi precostituiti.
La tradizione considerava che uno studioso di testi sacri non poteva parlare con nessuna donna per strada, nemmeno con sua moglie, sua figlia e sua sorella. E che l’uomo che parlava assiduamente con una donna finiva nel fuoco della Geenna infernale.
Invece, nel Vangelo di Luca, troviamo che tra i compagni di Gesù, oltre ai dodici apostoli, c’era “Maria chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni. Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni” (Lc 8, 2).
Curiosamente, gli altri tre evangelisti “ufficiali” quasi solo parlano delle donne che accompagnano Gesù nel momento della crocifissione. Mentre, negli “apocrifi” troviamo versioni abbastanza diverse sul ruolo delle donne nella congregazione di Gesù (al punto che uno degli apocrifi, attribuito a Maria Maddalena, presenta la sua presunta autrice come la seguace preferita dal Maestro).
Almeno in alcuni casi, il modo di agire di Gesù supera tutti i limiti, al punto di turbare profondamente quasi tutti coloro che hanno interpretato le sue azioni nel corso dei secoli.
Diamo un’occhiata ad un esempio alquanto incontestabile.
Gesù era stato invitato a pranzare a casa di un fariseo, di nome Simone, quando, sorprendentemente, entra nella stanza una nota “peccatrice di quella città” (Lc 7, 37). Con sè, porta gli strumenti della sua professione. Si dirige verso Gesù, si rannicchia piangendo ai suoi piedi e comincia a bagnarli di lacrime, poi li asciuga con i suoi capelli, li bacia e li cosparge di olio profumato.
Il padrone di casa, il fariseo Simone, esclama: ” Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice” (Lc 7, 39).
A quel punto, Gesù riprende la parola, per raccontare la storia di un creditore che condona il debito di due debitori. In un caso si condonano due mesi di debito. Nell’altro due anni. E poi domanda: quale dei due debitori sarà più riconoscente al creditore?
Il fariseo sa che la domanda lo compara alla prostituta e sa che ne uscirà male dalla risposta. E così, a malincuore, egli risponde: “Suppongo quello a cui ha condonato di più ” (Lc 7, 43).
Per terminare, Gesù spiega perché il comportamento della prostituta è stato migliore di quello del fariseo, “poi si rivolse alla donna e disse a Simone [il fariseo]:” vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m’hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi” (Lc 7, 44-46).
Le conclusioni che Gesù espone sono devastanti per qualsiasi concezione religiosa basata sul perseguire e condannare i peccatori. E, d’altra parte, esaltano una fede che si esprime attraverso la generosità e l’amore: “Perciò ti dico che i suoi molti peccati le sono perdonati, perché ha molto amato” (Lc 7, 47). In altre parole, è l’amore che purifica i peccati. Ancora di più, non c’è peccato nell’amore o in ciò che viene fatto con amore.
I peccati non determinano la natura o la condizione delle persone. Non ci sono persone peccatrici. Tuttavia, ci sono persone che peccano. Mentre il fariseo quando parla della prostituta, sempre la qualifica come la “peccatrice”, Gesù parla semplicemente “di questa donna”. Inoltre, non solo non è una peccatrice, ma i peccati che può aver commesso (anche se molti) sono stati purificati dal suo amore.
L’espressione di Gesù è chiara. Non è Lui a perdonare i peccati di quella donna, bensì usa una frase in forma passiva (non attiva) e senza un complemento d’agente (ovvero non c’è un protagonista dell’azione): “I tuoi peccati ti sono perdonati” (Lc 7, 48). Una frase in cui compaiono solo un pronome e un aggettivo possessivo. Entrambi sono in seconda persona singolare. Non c’è nessuno oltre lei stessa nel perdono dei suoi possibili peccati, per molti che siano stati. Solo lei e la sua capacità di amare. Solo la sua fede che si esprime attraverso il suo amore. Solo l’amore che nasce dal perdono, dalla misericordia. Da un perdono che è sempre gratuito, da una misericordia eterna e infinita.
Ancora una volta Gesù non impone alcuna punizione, nessun sacrificio, nessuna contrizione e neppure alcun proposito di correzione.
Malgrado ciò scandalizzi i “puri”, la conclusione di Gesù è chiara: “La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!” (Lc 7, 50).
La scena finisce con questo “Va’ in pace!”. Non c’è nient’altro. Nemmeno una raccomandazione a non peccare più. Niente di niente. Nel corso dei secoli, una buona parte del mondo cristiano esprimerà un disagio più o meno grande come quello che i farisei sperimentarono davanti a questa scena e, in particolare, davanti alle parole finali di Gesù.
Ai potenti non sempre piace il perdono e l’amore. Spesso preferiscono imporre punizioni e chiedere pentimenti.
Il disagio causato dal testo evangelico di Luca era così difficile da gestire che, cinque secoli dopo, le autorità scelsero di mentire. E così, nel suo “Omelie sul Vangelo”, Papa Gregorio Magno fuse in una sola figura tre diverse donne… La prostituta anonima descritta da Luca, Maria di Betania (la sorella di Lazzaro) e Maria Maddalena. In questo modo, “nacque” una falsa “Maddalena penitente”.
Si tratta, dunque, di un epilogo “inventato”, con mezzo millennio di ritardo, per rassicurare i “moralisti”, incapaci di coesistere con un passaggio evangelico che, semplicemente, non apprezzavano, in quanto non si conformava alla loro visione del mondo.
Gran parte del mondo cristiano mostrerà anche una grande resistenza ad accettare, nel Vangelo di Giovanni, il perdono di Gesù all’adultera, che i farisei e gli scribi pretendevano lapidare “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8, 11).
Per secoli, molte autorità e comunità cristiane considerarono intollerabile che Gesù avesse concesso il perdono senza nemmeno esigere il pentimento di quella donna accusata di adulterio. E soppressero questo passaggio dai loro Vangeli.
Nelle parole di Sant’Agostino, “alcuni [individui] di fede debole, o addirittura nemici della fede autentica, per timore, credo, di concedere alle loro mogli l’impunità del peccato, tolsero dai loro codici il gesto di indulgenza che il Signore ebbe verso l’adultera , come se colui che diceva “da ora in poi, non peccare più” avesse concesso il permesso di peccare”.
Questa testimonianza del vescovo di Ippona mostra come, in molte occasioni, la mancanza di fiducia in se stessi si trasformi in un impulso malsano per controllare e punire gli altri.
Il cristianesimo nacque con l’intento di garantire tre condizioni paritarie: l’uguaglianza tra ebrei e gentili, l’uguaglianza tra liberi e schiavi, e l’uguaglianza tra uomini e donne.
La prima è stata garantita praticamente dall’inizio, in gran parte grazie alla predicazione e al prestigio di San Paolo, conosciuto in modo significativo con il soprannome di “l’apostolo dei gentili”. Il secondo si è consolidato, in termini legali, solo verso la seconda metà del XIX secolo (e ha ancora limiti in diversi luoghi del mondo, come evidenziato da questioni come la tratta di esseri umani o il lavoro minorile). Mentre la parità tra uomini e donne, nonostante alcuni incontestabili progressi nelle società occidentali, è ancora lungi dall’essere una realtà effettiva quasi ovunque nel mondo.
C’è una lunga strada da percorrere e il nostro impegno deve essere quello di percorrerla pienamente.
di Oriol Junqueras*
Articolo in lingua originale: https://elmati.cat/les-dones-i-jesus/
*ex vicepresidente Catalogna