Parla con il nostro sito la guida alpina, Lino Zani, che ha seguito fedelmente San Giovanni Paolo II nelle sue escursioni sull’ Adamello. Le sue parole, commosse, confermano quanto affermato da altre fonti.
Zani, lei ha portato Giovanni Paolo II sull’ Adamello e nelle sue escursioni alpine. I ricordi..
” Tanti, tanti. Non era solo un sacerdote, ma mi ha insegnato a vivere, un uomo santo e di buon senso. Semplice, prima di tutto, ma allegro e gioviale”.
Qualche particolare
” Amava mangiare nei rifugi alpini, ad esempio. Naturalmente nella sobrietà, ma con gusto. Se aveva qualche cosa da dire, non faceva giri di parole, era molto diretto, però senza ferire. Pensi che bonariamente una volta mi ha rimproverato”.
Che cosa le ha detto?
” Naturalmente era un rimprovero bonario ed anche scherzoso. A quel tempo ero giovane ed un bel ragazzo, lo ammetto , cambiavo spesso fidanzata. Avevo presentato la mia al Papa nella precedente escursione. Quasi un anno dopo, in altra uscita montana, gli presentai altra ragazza e pensavo che non la ricordasse ed invece mi disse: ma questa è diversa dalla precedente. Vuoi mettere la testa a posto? E rideva. Poi finalmente ho trovato un giusto equilibrio e mi sono sposato”.
Di che cosa parlavate?
“Argomenti semplici, piccole cose. Ma erano per me grandi insegnamenti pratici. Una volta sull’ Adamello gli dissi che vi si era svolta la Grande Guerra e allora lui mi spiegò la bruttura dei conflitti e della violenza e la bellezza della pace. Era sconvolto dall’ idea della guerra”.
Che cosa la ha colpita maggiormente durante le vostre escursioni?
” Il suo modo di pregare. A volte si bloccava dopo una curva, restava fermo ore in piedi o su un sasso, guardando in alto al cielo. Si estraniava da tutto. Lo faceva spesso anche mentre sciava. Quando pregava era come se fosse in una dimensione diversa, non terrena. Una volta rimase persino tra le due e tre ore , immobile”.
Il massimo insegnamento..
“Lo traggo da un fatto che veramente mi è accaduto con lui. Dopo essere stato nel rifugio da me, volle ricambiare e mi invitò a Roma. Aveva l’ abitudine di affidarmi croci da porre sulle cime alte dei monti che scalavo. Tornai da una mia escursione su una montagna di 8.200 metri, gli dissi che avevo mantenuto fede all’ impegno e posto la croce. Lui mi rispose che una volta arrivati su una cima si può solo scendere, che questo è l’ importante. Io non capii allora che cosa mi volesse dire. Lo ho compreso e me lo ha fatto capire dopo: voleva dire che la vera difficoltà della vita è tornare indietro e rinunciare quando si sbaglia o si è fuori strada. Mi insegnò la lealtà, e a rinunciare a piccoli piaceri e cose inutili. E soprattutto la ricerca della verità. Gli devo molto, come uomo e cristiano”.
Bruno Volpe